Molti fra gli amatori di belle arti che si estimano
profondi conoscitori intenderebbero di ridurre a due o tre
le scuole di pittura, e pieni di questo falso principio,
rifiutano ogni altro stile che non sia da essi vagheggiato.
Questa opinione è torta, servile, pregiudizievole e stolta.
E' torta, perchè nella varietà delle scuole e de' mezzi
artistici che s'adoperano vien mostrata l'abbondanza e la
fertilità degl' ingegni; è servile perchè i buoni autori
s'hanno a rispettare e non idoleggiate in tutto ed anco
negli errori; è dannosa, perchè si chiude ai nascenti
artisti la via di seguire lo stile che più loro aggrada e
che seconda meglio la indole di ciascuno; è stolta, perchè
le opinioni strette sono delle piccole menti. Raffaello e
Michelangiolo si guardanano, per cosi dire a vicenda, ma
ciascuno faceva a suo modo. Venne Tiziano e operò in altra
guisa, sopravvenne Correggio e guardando tutti, non seguì
nessuno. Prima di essi i Bellini, Lippo Dalmasio, il
Carpaccio, il Solatio avean fatto alla loro guisa e gittati
i fondamenti delle rispettive loro scuole. Eran
tuttieccellenti, nè però le sole Madonne del Dalmasio erano
belle, nè le sole Giottesche diedero sempre legge a que' che
dipinsero poi.
Lo stesso dovrei dire della pittura di paese, della quale
altra volta parlai. Ella ebbe le sue scuole, e fu dal
principio per total modo innestata con la pittura di figure,
che ogni quadro, ogni immagine della scuola Peruginesca e
anche Giottesca lascia veder sempre il fondo di un paese e
qualche volta di architetture leggiadre, come soventi volte
fecero i Bellini. Que' Verdi vivaci e caldi usati dagli
Antichi, quella minuzia cercata fino nei fiorelli del prato,
venne compendiata poi in più vasta apparenza di verità, e
Salvator Rosa gittò gli elementi delle grandi masse che non
danno certo effetto minore dell'antico particolareggiare.
Queste cose ho cennato non oziosamente, ma per aver dritto
di spiegar più netta la mia opinione, quella cioè che alcuni
nel corrente secolo innamorano di una sola scuola e quella
predicano come vera ed eccellente. Ma il vero non si
presenta a tutti nella stessa guisa ? Chi ne vede un lato,
chi un altro, e quegli che maggiori elementi del vero
riunisce nell'oprar suo, è più dotto in arte, e pia ratto
corre alla meta.
II nostro egregio cav. Fergola ereditò la dolcezza di
tinte della passata scuola, la dolcezza di Hackert, una mano
rapida, una fantasia temperata. Le sale di corte, quelle di
principi e privati ridondano de' suoi dipinti, ne' quali il
tuono e sempre amabile, ridente, e rifuggente da quelle
ombre che coll'andar del tempo si rendono visibilmente
odiose per oscurità - Fergola ha toccato tutti i diversi
ordini del paese - II paese storico, paese tutto campestre,
il paese romantico o nordico, il paese prospettico cioè
adorno di linee architettoniche, il paese decorativo o di
effetto, ed anche la marina. Egli è già molto indietro, la
pubblica mostra di belle anti (1843) offriva a' curiosi
riguardanti una veduta d' Ischia ove l'acqua, mossa, faceva
spruzzi e rimbalzi, e Ia luce cadendovi sopra, ravvivava le
lucide stlle con tal tocco di verità , che solo un pittore
esperto per lunga età di marine avrebbe potato fare
altrettanto. In quella medesima mostra osservavasi il fatto
di un famoso nuotatore, che in orrenda tempesta correva a
salvare su piccolo schifo presso Nisida alcuni naufraghi
infelici. E l'acqua che colava dai sospesi remi, l'onda che
frangevasi, era non men degna di un pittore invecchiato in
quella maniera di fare.
Quelle opere appartenevano al cav. Salvatore Fergola, che
già chiarissimo per gli alberi, le fronde, le frappe, erasi
dato cosi di lancio a dipinger marine, e con mirabile
maestria i placidi ruscelli aveva cangiato in onde
burrascose, i sassi in iscogli, i grandi tronchi in barche;
sicchè quanti videro allora quelle opere esitarono a dame un
giudizio, non intendendo come in si breve spazio si potesse
cangiar di studi e di natura. Ora il nostro Fergola è
tornato agli alberi, alle rupi, ai torrenti, e vi è tornato
più vigoroso di prima, perchè la natura e un esemplare che
non si finisce mai di studiare, e la tavolozza di un pittore
non deve adottare un sistema, nè rimanere invariabile negl'
impasti di convenzione. Chi guarda il paese dipinto dal
nostro Fergola con una sola figurina fra mezzo a tante
asprezze di selvaggia natura, tosto si persuade che il dolce
pittor di cieli e di campi sa ben essere vigoroso e
gagliardo. Dalla incisione, colla quale accenniamo Ia
pittorica tela, ognuno potrà scorgere di leggieri che la
natura e sconvolta a furore. L' uragano percorre il campo.
Gli alberi più annosi cadono arrovesciati nel mezzo delle
selve, rimugghia il tuono, l' aere è gonfio, il sibilo del
vento scorre e vola irrefrenbile, Odi quasi il cupo
mormorare delle acque che si rompono fra sassi della china,
e avvolgono nello scendere precipitoso quanto presentasi a
loro argine. Fra gli schioniati alberi, i rami spezzati, le
smosse radici, v'ha qualche cosa che si muove, e il colore
par che non solo espria il nodo, il taglio, la fenditura, la
corteccia, la luce riflessa, ma indichi il moto altresì, il
moversi de' rami piegati dal vento, l'ululare del fogliame
tempestato e disperso. Fra tanto orror di natura vedi Caino,
figura sola, spiccante nel verde cupo e nel frondoso
elemento. Caino disperato, fuggente, desideroso di posare in
Iuogo ove la terra nol discacci, ove l'ira di Dio nol
perseguiti, ove il passo dell' ucciso fratello non gli suoni
alle spalle.
Il monte, la rupe, il ruscello lo respingono; tutto gli
grida: « va maledetto - e l'albero che si rattorce, per cosi
dire, intorno a lui, par che nello stridere esclami: « Va
fratricida ! - e il tronco che galleggia precipitando con le
acque del torrente, e lt sentiero stesso che per ciottoli e
sassi gli arresta la fuga, ripete : « Fratricida fuggi ! - E
gli elementi in guerra gli dicono: «Muori! hai insozzato la
terra di sangue, hai contaminato la natura, muori! Ed egli,
va maledetto, va senza posa, abbrutito nell'aspetto,
precipitoso e barcollante nell'andare, volgendosi addietro
con terrore, perchè reietto dalla umana progenie, della
quale ha denigrato il principio. Ed è questa una bellezza
vera e sentita del dipinto, e si appartiene all'estetica
dell'arte; imperocchè mentre sulla spinosa via ti si mostra
Caino; lontano lontano, fra la bufera e la selvosa traccia
vedi un cielo nebbioso, a traverso del quale il sole
riverbera misteriosamente sua luce in sul la catena de'
monti. In quella nube chiara sta Dio, e la sua voce che
minaccia il fratricida parchè vada di nube innrube suonando,
e giunga lino a Lui. II quadro comincia e finisce in quel
punto, ed è così legato da quell' anello di connessione che
è alto pregio di ogni artistico lavoro.
Come è ben da supporre, tutto in questo dipinto torce da
un sol lato, perchè lo stesso aquilone piega in un senso gli
alberi e le nubi che si muovono con lui, ma lo artista ha
saputo evitare la monotonia delle linee, facendo in senso
opposto muovere il vorticoso torrente. A qualcuno fece
maraviglia veder le radici d'ogni pianta cacciate fuor della
madre terra, non parendo possibile che a ciò bastasse
l'uragano, ma costoro errarono grandemente, anzinon intesero
una delle bellezze del dipinto, quella di veder che le acque
abbiano portato via la terra e sfranati i colli e le vie,
abbassando il volume della terra medesima, per modo che
fuori n' escano le radici ed ogni vena del sentiero resti a
undo. Al quale giudizioso pensiero s'accoppia l'altro che
Dio, cioè, abbia tutto scoverto. II sasso, l' aria, opposti
elementi l'uno dirudezza, l'altro di elasticità, sono
studiati e gittati sulla tela da maestro, e se nella stessa
bellezza di colore v'è qualche uguaglianza a notare, chi non
esclude un tipo di singolare bravura, che la singolare
natura del dipinto richiedeva.
Tale sublime, poetico e grandioso subietto fu dato a
trattare al nostro Fergola da Sua Altezza Reale il Conte di
Trapani, nella cui splendida dimora s'accoglie una pregevole
raccolta di quadri moderni. E il Fergola seppe corrispondere
all' imposto argomento con larghezza di concetto e con
coscienza di lavoro. Egli non guardò punto i suoi quadri
anteriori, e fino nel modo di usare i colori ci è sembrato
questa volta si grasso, succoso, e gagliardo, da farne
desiderare che mai più lasci questa che noi chiameremo
seconda maniera, nella quale non campeggiano già i consueti
verdi e gli azzurri, ma il più vigoroso mescersi delle
tinte, senza aver ricorso a que' neri che non sono in
natura, e che alleviano soltanto il pittore, nel dargli più
pronto e sicuro l'effetto scenico del quadro. Serva il già
detto a mostrare che lo scopo delle nostre parole non è già
pompa di eruzione, ma unicamente desiderio di far chiaro che
noi non siamo ligi a nessuno, ma guardiamo l'arte nella
varietà sempre piacevole de' suoi cultori e delle sue forme.
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