|
(Fonte : Angelo De Gubernatis - Dizionario degli artisti italiani
viventi - 1889)
|
Francesco Paolo Michetti
|
Celebre pittore abruzzese, nacque a Tocco da Casauria
(provincia di Chieti), il 2 ottobre 1851. Diamo qui le
principali notizie dei suoi lavori, che abbiamo compilato da
quanto intorno a lui hanno scritto alcuni suoi biografi.
Appena colla mente infantile poté conoscere che c'era
un'arte che si chiamava pittura, e che riproduceva uomini e
cose per mezzo dei colori, il Michetti se ne innamorò, e
volle fare il pittore; e così vivi erano i lampi del suo
talento artistico, che i suoi compaesani più distinti
vedevano nel giovinetto i primi bagliori di un'artista
eccezionale. E non sbagliavano. Nel. 1868 il Michetti,
grazie a una pensione della provincia di Chieti, si portò a
studiare all'Accademia di Napoli. La vecchia Accademia,
quasi in segno di protesta contro i sistemi d'insegnamento
fin allora prevalsi, non si chiamava più col nome antiquato
ed antipatico di Accademia, ma era diventata "Istituto", né
solo il nome avea mutato, ma lo spirito artistico che
l'animava. Palizzi e Morelli, che ne erano alla testa, vi
aveano introdotte molte riforme, iniziando la scuola
moderna; scuola che ebbe poi tanti valenti campioni nella
Promotrice.
Ma Paolo Michetti, con un fare tutto proprio, si chiariva
fin dal principio più avanzato de' suoi professori e de'
suoi condiscepoli: fra i progressisti era un rivoluzionario.
Intorno al di lui nome sconosciuto si fece da prima gran
chiasso a Napoli, nel 1877, colla sua Processione del
Corpus Domini a Chieti quadro che esaltato da alcuni
come il migliore della Mostra, fu da altri buttato a terra
colle critiche più acerbe. Era una tela luminosa dall'
impressione abbagliante: una festa di colori vivaci
sprigionatasi dalla fantasia di un artista poeta, una
accolta di quanto v'è di più bello. Figure ridenti e
passionate di donne, di fanciulle, di bambini, affollate,
aggruppate, strette le une alle altre, alle quali il pittore
aveva dato quanto di grazia e di leggiadria possedeva la sua
tavolozza, profondendo loro intorno stoffe e piogge di fiori
e uno scintillio d' ori e di colori, finché la tela ne fosse
riempita. Davanti a tanta giovinezza, tanto brio, tanta
potenza, s'avrebbe voluto notare i difetti del disegno e del
colorito e si finiva per ammirare.
L' anno dopo, a Parigi, ugualmente attirava gli sguardi di
tutti la sua Primavera dell'amore: una spiaggia piena
di sole, dinanzi ad un mare scintillante ed un cielo di
purissimo azzurro. Sullo sfondo spiccavano le tinte vivaci
degli alberi in fiore, carichi di bambini aggruppati in pose
strane e svariate, per terra un intrecciamento di donne e d'
altri bambini, belli come gli amori, allegri, ridenti,
compiacentisi nel godimento di quella vita materiale. La
cornice di terra cotta continuava, completava la concezione
dell'artista: il tema si ripeteva negli strani
abbracciamenti di rospi, di uccelli, di serpi in amore. Alla
Esposizione Nazionale del 1880 a Torino, dove la nuova Arte
italiana si presentò in tutta la freschezza e la esuberanza
di una giovinezza rigogliosa e turbolenta, il Michetti
espose diversi quadri: Domenica delle Palme, le
Pescatrici di tondine, i Morticelli, intorno ai quali
nuovamente si accesero le dispute più vivaci. A chi pareva
che il successo di Napoli avesse inebriato la mente del
giovane artista e deplorava amaramente che traviato nella
ricerca dello strano e dello inverosimile, fosse naufragato
nell' indecifrabile, mentre altri proclamava che in quelle
tele appunto si affermava in modo indiscutibile la sua fama.
Certo quelle sue opere ebbero un successo maggiore di quel
che meritassero. Da ogni parte si esagerava, e veramente il
Michetti si abbandonava ai propri difetti, lasciandosi
trasportare dalla sua foga di colorista in uno sfoggio che
rasentava spesso il barocco, tanto da parere che talora
l'ebbrezza della sua tavolozza sconvolgesse il criterio
dell' artista. Ma accanto a questi difetti si rivelavano
qualità più positive: il sentimento e la poesia del vero, a
differenza di moltissimi altri, anche fra i buoni, i quali
non vedono che dietro un dato indirizzo d'arte, dietro la
scuola cui sono affigliati. Michetti aveva dipinto come
aveva visto, e la impressione, che aveva vibrato nella sua
anima d'artista, era passata intieramente e con uguale
intensità nelle sue tele. Così in quelle sue Pescatrici
di tondine, erano povere donne non belle e poveramente
vestite dei loro cenci, dinanzi a un mare tranquillo, ed il
pittore non s'era preoccupato della ricerca di un effetto
strano; non aveva fatto la natura più bella che non l'avesse
vista, ma aveva riprodotto rapidamente con semplicità la
scena, che aveva sott'occhi, ripetendo sulla tela tutta la
potenza della impressione provata.
A Milano, alla Mostra di Belle Arti del 1881, nel palazzo
del Senato , occupava da solo due pareti di una sala con
trentaquattro dipinti, che non portavano altra designazione
all'infuori di questa: Studi a tempera. Erano studi
di teste, bozzetti arguti e vivaci della vita campagnola,
pieni di sentimento, di grazia, di verità, vedute di mare
azzurro, solcate da file di paranzelle dalle vele gialle....
una fantasmagoria di forma e di colore, che rivelava tutta
la fecondità e la bizzarria dell' artista, il quale con la
velocità meravigliosa della mano aveva riprodotto tutto
quanto di bello gli si era presentato alla vista nei vari
aspetti del vero. Sin qui l'arte del Michetti poteva essere
soltanto considerata come la espressione di una indole
semplicemente pittorica, le sue facoltà intellettuali
parendo concentrate negli occhi; ma l'ultimo suo quadro
intitolato Il Voto, completava l'eccellenza dell'
artista con un' opera nella quale alla novità della forma si
univa la massima novità del pensiero. Il Voto
rappresenta un sacro rito nell'interno di una chiesa, in uno
di quei paesi dell'Italia meridionale, dove la superstizione
religiosa manda ancora barlumi di delirio. Sono contadini
che strisciano carponi sul pavimento della chiesa, e
fregandovi la lingua vanno ad abbracciare e a baciare un
reliquiario di argento posato a terra: uomini e donne che si
trascinano faticosamente a quel modo, stanno sul davanti: il
fondo del quadro è tutto coperto di devoti, che assistono a
quella strana ginnastica, coi ceri in mano. Le lingue
lasciano traccie di sangue sul pavimento e sul reliquiario.
Tutta la scena è azione, è vita, senza nulla di
convenzionale e di accadedemico. Guardando questo dipinto,
si scorge al tempo stesso l'apoteosi della fede e la punta
dell'epigramma contro la superstizione. Le figure di quei
villani che strisciano, sono il non plus ultra del verismo;
nello slancio di quel vecchio contadino, che è arrivato al
reliquiario e lo abbraccia, c'è un trasporto di fede
selvaggia; in quel villano corpulento, che viene dopo, si
scorge la tensione di muscoli sentita e forte. La altre
figure, comprese quelle moltissime del fondo, sono una
varietà di caratteri e di tipi dominati da un profondo
sentimento religioso. Il colorito è largo, gettato a fiotti
crostosi; in alcuni punti sembra messo colla cazzuola. Il
Voto fu acquistato dal governo per cinquantamila lire, e
fa parte della Galleria Nazionale d'Arte moderna. Dopo quel
quadro il Michetti non ha fatto più lavori di gran mole, ma
anche i suoi studi esposti in seguito, conservano sempre
l'impronta potente del genio di questo artista, che alcuni,
con frase di ardente ammirazione chiamarono un tempo pittore
fenomeno.
|
Angelo De Gubernatis |
|
|
|
|
|