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(Fonte : Angelo De Gubernatis - Dizionario degli artisti italiani
viventi - 1889)
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Stefano Ussi
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Ussi (Stefano) celebre ed illustre pittore toscano, nacque a
Firenze il 3 settembre 1822. Studiò all'Accademia di Belle
Arti di questa città, e fino da quando, nel 1849, dipinse
pel concorso di detta Accademia e sotto la Direzione del
Pollastrini, la Risurrezione di Lazzaro quatriduano,
mostrò per l'arte attitudine tale da, far nascere la
speranza di un'artista eccellente. Andato a Roma, si dette
fin d'allora a studiare la sua celebre tela del Duca
d'Atene, quando assalito in palagio è costretto dai
Fiorentini a rinunziare per sempre la usurpata signoria
della loro città; tela che poi compiuta alcuni anni appresso
in patria, lo disse davvero pittore non secondo a nessuno
degli italiani. Ed infatti la posa delle figure, la vigoria
e verità che spirano da questa tela, colpiscono vivamente
l'osservatore costretto ad ammirare non solo la bellezza e
la grandiosità della scena che gli si mostra dinanzi, ma
benanche la somma valentia dell'artista nel riprodurre con
evidenza certe pose, certe espressioni, certe movenze, nel
renderci con verità straordinaria e le lucenti armature, e
le ferree maglie, i velluti, e le stoffe, come pochi altri
artisti hanno saputo fare. Dopo il quadro che sopra, Stefano
Ussi si recò in Egitto, ove per il Viceré esegui un gran
quadro rappresentante: La festa del Tappeto o
Pellegrinaggio alla Mecca, opera colossale anche questa
e che gli fruttò nuovi e ben meritati allori. Fece inoltre
altri quadri di minore importanza che espose raramente, ma
che sempre mostrano la potente forza pittorica di questo
artista al quale forse può rimproverarsi di avere, dopo il
suo primo lavoro, prodotto troppo poco.
A Torino, nel 1880, espose i quadri: La Scorta del
governatore Ben Anda ed il giovanetto suo figlio che
precedono l'Ambasciata italiana; Fantasia
marrocchina in onore dell'Ambasciata italiana; La famiglia
dell'arabo nel deserto; e a Milano, nel 1881, espose
ancora: Festa di Maometto a Tangeri, bel quadro di
genere e di costumi, ed una splendida tela dal titolo:
Un intermediario d'amore. Altri suoi quadri di soggetto
orientale sono: Cavalcata araba; Fantasia araba attorno
all'Ambasciata italiana al Marocco; Festa a Fez, data
dall'Imperatore del Marocco; Araba al .fonte; Usi Dervich in
pompa solenne. Ricordiamo inoltre di aver ammirato di
lui alcuni ritratti ed un bel quadro: Bianca Cappello,
di recente eseguito. L'Ussi è commendatore, ed insignito di
altre onorificenze; fu membro di varie commissioni e giurì
tanto nelle Esposizioni italiane, quanto in quelle
straniere; è socio di molte Accademie. Il suo quadro
maggiore venne acquistato dal Governo e trovasi esposto alla
ammirazione del pubblico, nella Galleria dei quadri moderni
a Firenze. Riportiamo ora quanto a proposito di questo
quadro e dell' artista, scrissero in differenti tempi ed
occasioni, i più valenti critici d'arte. Guglielmo Enrico
Saltini, nel suo libro Le Arti belle in Toscana,
dopo aver parlato del quadro, così si esprime: "Nel 1794,
quando comparve alla vista del pubblico il San Donato
del Benvenuti, si gridò da ogni parte la pittura risorta, e
da un secolo non essersi veduto altrettanto; noi innanzi al
dipinto dell'Ussi, proviamo molto maggior commovimento,
contemplandovi, come per incanto, riunite quelle maggiori
perfezioni che l'arte ha raggiunto fin qui, e che fanno
sperare non lontano il giorno in cui l' Italia avrà, come
nei suoi bei tempi, artisti degni della presente civiltà."
Un valente critico nella Rivista: L'Esposizione Italiana
del 1861, pubblicata nell' occasione della Mostra Nazionale
tenutasi a Firenze, in quell'anno, e dove il quadro,
La cacciata del Duca d'Atene, era esposto, cosi scrive:
"Io considero ogni giorno lungamente questo quadro, e faccio
ogni sforzo per iscoprirvi qualche piccola menda, perchè
quale lo veggo mi avvilisce e mi fa paura! E per verità
potrei risparmiare di parlarne, poiché né scrittore, né
artista, ha diritto d'aggiungere o di togliere verbo al
giudizio che ne diede il popolo fiorentino. Il quale,
versato da secoli fra quanto ha l'arte di più maraviglioso ,
al primo vederlo non finito ancora, tanto se ne invaghì, che
per oltre un anno fece la processione allo studio
dell'artista per deliziarsi nella contemplazione di cotanta
opera, e lungamente lo impedì dal condurla a termine. Dopo
tal fatto che mi resta a dire ? Leggi la storia che vi è
rappresentata, in quegli antichi cronisti fiorentini, che
nelle narrazioni loro hanno tanta efficacia da trasportarti
di schianto in mezzo ai tempi e agli uomini che descrivono,
e da farteli udire e vedere come se fossero presenti, e poi
confronta le sensazioni ch'e' ti fanno provare con quelle
che eccita in te la veduta di questa tela, e dimmi quindi se
codeste sensazioni non ti tornano all'unisono. Da quel
finestrone aperto nel fondo, dal quale i popolani che hanno
invaso il palagio, fanno sventolare la bandiera del popolo
in segno di vittoria, ti pare udire il muggito dell'onda
popolare concitata che batte furiosamente alle porte e
minaccia prorompere. A sinistra, pure nello indietro, vedi
gli sforzi disperati dei satelliti del tiranno, Giulio
d'Assisi e il figliuolo, che i soldati inesorabilmente
trascinano e spingono fuori per abbandonarli alla plebe
sitibonda di vendetta e di sangue, la quale ad alte grida
con rabbiosa insistenza ne dimanda le teste. E quel
Cerretieri Visdomini, pessimo cittadino, ch' è la terza
vittima dimandata, vedi come accanto al seggiolone del Duca,
mal ritto in piè, sembra del tutto venir meno, e par che
senta già la morte nelle ossa.
A destra, pure nel fondo, i Borgognoni del Duca, già
combattuti dal popolo nelle vie di Firenze, e per la paura
fatti ribelli, agitano le alabarde, e minacciano ucciderlo,
s' egli abdica, trattenuti a stento dai loro capi. Parecchi
di costoro sul dinanzi a sinistra si affollano al banco,
accanto al quale egli risiede, e con varii atti risoluti e
pieni d'ira gl' impongono di firmare; mentre (bellissimo
contrasto) a sinistra lo Arcivescovo degli Acciaiuoli, il
conte Simone da Battifolle, capitano del popolo, e qualche
altro notevole cittadino colla bandiera del Comune rizzata,
attendono risoluti, ma sicuri, tranquilli e gravi, che si
risolva. Ed egli, il protagonista, nel mezzo, colla penna
tra le dita e la sinistra (mirabile per lo scorcio e per l'
atto quasi convulso) sul foglio dei capitoli imposti, pende
ancora per uno istante, coll' animo combattuto fra la
ostinazione e la inevitabile necessità, e collo sguardo
torbido e la concentrazione dell'animo impressa sul volto,
tra lo insistere concitato de' Borgognoni suoi e la calma
risolutezza de' Fiorentini capi del popolo, sembra ancora
cercare una via di scampo, per non rinunciare per sempre al
mal tenuto dominio. Quà invero non è ombra di quelle
composizioni artifiziose e di scuola, che ti ricordano il
palco scenico lontano un miglio. Qua tutto è storia, tutto è
natura, tutto è vita, tutto è passione vera e non esagerata
mai. Giustissima l'intonazione piuttosto sicura, come
conviene ad un luogo chiuso, e il colore tanto vero da farti
assolutamente prendere quelle figure per uomini vivi e non
per invenzioni d'artista. Del disegno non si parla neppure,
né del panneggiare, né degli accessori, che tanta
straordinaria illusione non si ottiene ove queste cose non
segno perfette.
Ho a dirla tutta come la sento? Io non vidi mai quadro
moderno che agguagli questo, e sì degli ottimi ne ho veduti
parecchi: ond' è che di gran cuore mi congratulo col giovine
artista, perch' egli mi fa vedere davvero che l'arte in
Italia s'avvia a gran passi verso la sua antica grandezza.
Ora pensi egli molto sul serio allo impegno, nel quale s' è
messo verso la nazione con questo terribile quadro, e si
difenda cosi dall' ammirazione altrui, come dallo sgomento;
proceda animoso e cauto nella bene intrapresa via, sia
indefesso nell'operare, fidente nella virtù propria,
noncurante delle invidie, sordo alle lodi , di sè scontento
sempre, e si farà grande."
E sempre a proposito dello stesso quadro: La cacciata
del Duca d'Atene, ecco quanto scriveva nel giornale L'
Esposizione internazionale di Parigi, il valente
critico prof. Jacopo Cavallucci: "L'artista, da pochi
periodi del Machiavelli, ha saputo cavare una scena piena di
movimento, di effetto e profondamente intelligibile.
Guardiamola dal lato del sentimento e della evidenza e ci
apparirà meravigliosa, inquantochè si l'uno che l'altra
sieno parventissime anche alle intelligenze più ottuse e da
chi per avventura ignorasse quell'episodio delle nostre
storie. Osserviamolo con attenzione e dopo brevi istanti di
raccoglimento ci si farà comprensibile, per le
caratteristiche espressioni dei volti e delle movenze, il
dramma che si sta compiendo, il contrasto di affetti che si
agita in cuore agli attori di quello. A me poco importa
sapere se quel principe titubante a firmare una pergamena,
sulla quale sono fitti gli occhi di tutti, e di una
ammutinata soldatesca, si chiami Gualtieri di Brienne, o
porti altro nome. Io veggo in esso un tiranno che il timore
fa vile; i lineamenti del volto me lo dicono straniero, ed
in quella carta, ei non può segnare che la propria condanna
e la liberazione di un popolo da una esosa signoria. La
collera che ei reprime nel fondo del cuore, perché ha paura,
vorrebbe farsi strada e prorompere da quelle labbra pallide
e contratte. Su quella faccia cupa e dissimulatrice, balena
una speranza che fa tarda la penna allo scrivere. Ei cederà,
ma non è vinto.
Accanto ad esso, livido, disfatto, allibito dal terrore
vero, un famigliare di quel principe, certo un perfido
consigliere, pronto a cadere sulle ginocchia ad implorare
per Dio il prolungamento di un'agonia che pure è vita per
lui. Egli è tutto intento alle voci del popolo, che per le
aperte finestre gli giungono alle orecchie, minacciose,
annunziatrici di morte. Oh quanta potenza d'espressione è in
quello sguardo incerto ed errabondo, nel pallore terreo di
quella faccia i cui muscoli cedendo alla interna commozione
vi dipingono lo smarrimento delle facoltà fisiche e morali.
L' abbandono delle forze appare sensibile nelle gambe e
nell'appoggiarsi ch'ei fa al bracciuolo della sedia ducale e
tutto si compendia lo stato morale nel baloccarsi da
smemorato col pendaglio della correggia che lo cinge ai
fianchi. Torni per lui un momento d'aura propizia e quei
muscoli torneranno di ferro, il riso della jena sederà su
quel volto, e gli occhi sfavilleran di odio, di libidine e
di vendetta. Però l'anima contristata dalla vista di quei
due ribaldi viene a riposarsi nella nobile fisonomia del
vecchio condottiero di eserciti, ed in quella calma e serena
del Vescovo. Non cerco se essi avessero nome di conte di
Battifolle e di Angelo Acciajuoli, mi basta rinvenire in
essi personificato il ministero di quella religione che
dovrebbe essere fautrice di libertà, e la forza cittadina
che sostiene il diritto e la ragione dei popoli, ottimo
contrapposto alla forza brutale dei gregarii che tutto
tiranneggia ed opprime. Le figure secondarie completano il
quadro, e giovano alla maggior intelligenza del fatto in cui
si racchiude la vittoria del diritto e della forza
intelligente sul despotismo e la forza venale che lo
puntella.
Altri giudichi quest'opera con il compasso delle regole, o si schieri a
lato del signor Massimo Du Camp, e s'appaghi de' suoi
giudizii. che non si possono in coscienza chiamar giudizi.
Con lui certo non fu il giurì internazionale che lo giudicò
meritevole d'uno degli otto gran premi della pittura."
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A. De Gubernatis |
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