|
(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte - 1924-25)
|
|
TRE RITRATTI CINESI DI PRIMO CONTI
|
|
Per la prima volta Primo Conti ha esposto, in una sala della
Biennale romana, un numero ragguardevole di sue opere. Credo
che un pubblico più largo di quello a cui finora egli è
noto, riconoscerà a questo fiorentino ventiquattrenne un
posto cospicuo nella nuova generazione dei nostri pittori: e
intendo generazione in senso artistico, non cronologico.
Come tanti anche il Conti dalla scapigliatura è arrivato
alla tradizione. Adolescente (ha esposto la prima volta a
tredici anni) fu preso nel vortice futurista e
post-futurista : e dipinse anch'egli bambolotti ironici e
umanità caricaturale, non senza mele distorte e boccali
bislacchi: quando non erano "scomposizioni". Ma fin da
allora, tra le prave intenzioni, egli metteva in mostra con
la più inconsapevole ingenuità, il bisogno di definire ogni
più svagato capriccio entro certezze disegnative organiche e
conchiuse, e un istinto quasi sensuale del bel colore
profondo, risonante, polposo.
E' bastato così a Primo Conti, caduta l'eccitazione
cerebrale di quel tempo, di dare il passo sulle
esasperazioni programmatiche alle innate forze e voglie
espressive, se anche sorvegliandole e dominandole, e di
ascoltare in sè quella serena humanitas di cui ogni
uomo, purchè voglia, in sè sempre riesce a udire la voce,
per poter poggiare sopra solidi fondamenti i modi della sua
arte e conquistarsi uno stile. A che cosa egli già sia
giunto lo mostrano questi tre ritratti di cinesi. Altre
belle cose ha condotto con mano sicura, come il Gesù tra
i dottori, ed altre ricerche egli persegue, come nella
Crocifissione e nel Ratto delle Sabine ultime
sue pitture. Ma di pienamente raggiunto, il meglio che egli
abbia lavorato sono queste tre figure umane così pure ed
austere.
|
Voi vedete: non un fronzolo, non un diversivo, non un
passatempo, non un tentativo di eludere la difficoltà
dell'opera. Non un gesto inventato sol per aiutare di
nascosto uno sviluppo lineare difficile; non una espressione
sentimentale accentuata per accivettare la frivola
sensibilità dello spettatore; perfino la ricchezza
decorativa delle vesti è severamente ridotta in servigio
delle volontà coloristiche dell'artista, anzi, da un punto
di vista veristico è alterata in servigio delle sue volontà
formali. Staticità, volume, simmetria, sono le grandi
categorie figurative che han regolato il nascere di queste
tre figure: cioè, dalla statuaria greca in poi, le più «
classiche » che ci sia dato di indovinare. Ora se pensate
quanto era facile che un esotismo romantico, di costume o di
arte, prendesse in questo caso la mano al pittore, potete
misurare come spontanea, indistruttibile, e perciò sicura di
un avvenire, sia la sua classicità. Difatti voi v'accorgete
quanto essa è diversa da quella di troppi che oggi stanno
combinandosene una con un ricettario di scuola, a fondamento
del quale è, invariabilmente, una modellatura di tutto tondo
a ogni costo, e più contraffà una qualche non identificabile
ma durissima materia e meglio è; e mediocre interesse, se
non addirittura un disdegno, per il colore è la madre luce. |
Nel Conti la sensibilità di colore predomina e signoreggia;
anche se, come spesso gli avviene, è di tonalità bassa e
quieta, pur sempre ricca di sostanza. Ma egli è rimasto
almeno per l'intimo del suo lavoro, un disegnatore accurato
e anzi a volte scolastico. Prepara coscienziosamente i suoi
quadri sulle carte con la matita, sottile, diligente, minuto
come un discepolo di Ingres; voglioso prima di tutto di
chiarificare a sè stesso proprio quelle cose che nel quadro
sembrerà relegare in sott'ordine, la definizione della forma
e i volumi del modellato. E quando poi la sua pittura, che
di impasto e di tono, è quella di un innamorato del più
denso e orchestrato colore veneziano da Tiziano e Tintoretto
a Bernardo Strozzi, costruisce come d'impeto, quegli studi
sempre presenti e attivi nello spirito dell'artista valgono
ad offrirle uno schema solido e certo, di sostegno contro la
flaccidezza e di limite contro gli sbandamenti.
Egli ama provarsi nei grandi temi tradizionali: leggende
sacre, o drammi di umana storia, dal Martirio di San
Sebastiano al Ratto delle Sabine. Egli cioè, come altri oggi
fortunatamente, è persuaso che la vera ricchezza di un
artista è interna, e che le novità, gli impreveduti, le
curiosità d'arabesco e di illustrazione sono, se mai, un
accidente e un resultato, non una essenza e una causa.
Questo misurarsi in compiti ardui lo limita a nuovi
tentativi e ricerche e migliorie. Il valore e la serietà di
quello che ci ha dato, meritano che i suoi sforzi sieno
seguiti con attenzione e con fiducia.
|
L. D. |
|
|
|
|
|