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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte, 1929-30)
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Un autoritratto di Vincenzo Gemito
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Eccovi tre immagini di una testa, in creta cruda, non più
grossa di un pugno : l'unico autoritratto che si conosca
modellato da Vincenzo Gemito (1). In un estro di grandezza
il Maestro, una quindicina d'anni fa, lo regalò al suo
barbiere. Oggi il fragile capolavoro è stato recuperato da
un signore napolitano; e a me è parso, ammirandolo qualche
giorno dopo la morte del gran vecchio, un suo regale segno
di addio. A guardarla di fronte, questa faccia è tutta un
trattato delle passioni, tanto è come attratta da ciascun
lato e scomposta per ogni verso; e bisogna scrutare nella
immagine rovescia, per trasparenza del foglio, se vogliamo
che quella umanità compatta, quella fulminea autobiografia
non ci sviino dal cogliere il convulso movimento plastico e
l'asimmetria quasi sgarrata e ossessa, resi alla armonia
dello spirito per virtù di un miracolo distacco (pag. 652).
Sembra che questo volto, — questa anima, — si sia aggrumato
a caso nel groppo di una tempesta. Così il vecchio sapeva
che dovevano rivelarsi gli iddii a quegli antichi che egli
amava. E invece, ecce artilex. Antico, a lui l'arte
era un operare nella natura: e tanto egli è qui natura a se
stesso, che non si può dire fin dove possa geminarsi e
sconfinare in immagini ciascun momento della sua immagine
medesima: se in nuvole e venti, o in pietre scavate e
corrose dalle acque, secondo la libertà dei primi elementi.
Così, ancora oggi, il mito cosmogonico e naturalistico è
filosofia estetica e morale, in questa italica Magna Grecia.
Quello che l'un occhio afferma, l'altro nega; la maschera
tragica si rovescia nel ghigno satiresco; e solamente
l'arte, — istantanea sintesi degli opposti, ricondotti alla
loro pura possibilità, - fa un vivo essere di tanta
discordia. Quale maraviglia se, poi, contemplando l'uno e
l'altro verso di questo ritratto d'anima, dalla gota destra
spira la dolce maestà di uno Zeus, come da un frammento
ellenistico salvato dal mare; e la tempesta si schiara tutta
nel mito e nel sogno? Questa olimpica calma imita ancora per
noi, come in quei marmi, la mansuetudine dei bianchi bovi:
sazia si asside nella armoniosa necessità. Eppure, quanto è
nervosa e incerta! Ogni attimo sta per disfarla nel moto
delle passioni: conquista mirabile e fuggitiva. « L'arte, -
diceva il vecchio, - è potenza ». Ma dalla sinistra gota
risorge il Gemito nostro, l'uomo dell'Ottocento; e ci
ricorda quelle generazioni corte di collo e massicce, con la
barba e i capelli posati sulle spalle e sul petto alla
maniera dei leoni: la semplice e fiera dignità della «
coscienza » borghese, qui come impastata da una sorta di
scaltra e popolana bonomia (pag. 653).
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Se
l'arte del fotografo mi avesse assistito ancora, avrei
tentato più oltre la virtù generatrice di questa scoltura;
ma, forse, mi è già riuscito di illuminare in un rapido
scorcio il vero problema critico della « composizione », in
questo unomultiplo ch'è l'individuo estetico: immagine come
sintesi di immagini; parola centuplicantesi; parola che si
rigenera e attivamente in noi si fa storia, discorso della
esistenza. Nè mi par, poi, che siano da spender troppe
parole circa il generico «ellenismo» della ispirazione, qui
tutta ormai così nostra, che anche gli elementi decorativi,
e direi meglio esornativi, quali la barba e le fronde dei
capelli, vi ritornano tutti senso e energia di accenti. Per
un attimo s'è toccato, dunque, il vivente spirito di questo
grande scomparso, in uno di quei rari momenti in cui ci si
rivela, — fuori dagli industriosi tentativi del l'orafo e
prescindendo dai molti disegni bellissimi,— come nei rottami
di un vasto mondo, infranto da una geologica tempesta. Ma si
vuol qui aggiungere qualche indizio circa codesta mania o
follia che lo ha disgregato e quasi travolto: che mi pare
l'oscuro segno di quella crisi etica, di quella tragica
scepsi, che, a un certo grado di autocoscienza, spezza
d'improvviso, ma come avendo operato nascostamente
nell'organismo, l'armonia spirituale dell'artista, e gli
oppone l'uomo derelitto e sgomento di questo estremo
arbitrio creativo, che lo estrania dal mondo sociale, di
questa sua solitaria libidine delle immagini.
Ma più terribile ancora, per lo scaltro talento che intuisce
quale fascino possa avere sulla folla il suo stesso orrore
deserto, e in questo gode una sorta di strana vendetta, è
l'inevitabile mimetismo della follia: triste pena di quel
Tantalo in terra, ch'è l'«imitatore universale», cui, a ogni
sguardo, dietro l'immagine del desiderio la vita decade. -
Io non ti ho mai incontrato alla corte di Alessandro. — Così
sconcerta i seccatori presuntuosi il vecchio sornione dalla
barba di Re Lear; e invitato ad anguste nozze, si affaccia,
dopo gli sposi, al balcone reale, salutando a gran gesti di
buffone il popolo che applaude. Amara beffa della gloria,
con la quale, quasi a un tempo, egli si accomiatò dalla
vita. Ora possiamo pensarlo negli olimpici sereni del
passato, come i grandi greci che egli frequentava in sogno:
riparato anch'egli in quella luminosa perfezione, alla quale
sono condotti dai secoli quegli spiriti sommi, cui nemmeno
la gran fortuna di vivere in un'« epoca d'oro » aveva
ispirato pace. Si domanda Aristotele: «Come mai tutti gli
uomini eminenti nella filosofia, nella politica, nella
poesia o nelle arti, sono stati malinconici; e taluni al
punto di soffrire i mali che questa disposizione comporta? »
(De Problemotis, XVIII, I). Ecco un inaspettato commento
alla «divina facilità » dei classici.
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Sergio Ortolani |
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