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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, 1926-27)
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LA RACCOLTA FIANO
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Di Giacinto Gigante, qualche paese che ancor ritiene del
«vedutismo» posillipesco, non ha l'interesse di una testa;
cosidetta di Ferdinando II; una delle non tanto
numerose pitture di figura del Gigante. E, così, una
ragazzina del popolo, dipinta da Filippo Palizzi, in atto di
portatrice, con uno staglio ardito sulle macerie pompejane,
non persuade a sacrificare, del poco spazio a nostra
disposizione, quello per un Fontainebleau di Giuseppe
Palizzi (pag. 715, dove l'impeto del colore e il frizzo
della pennellata non si sono ancor distesi in quella un po'
generica dignità che Giuseppe acquistò alle scuole
straniere, non senza scapito di doni più nativi.
Dalla collezione di Diomede Marvasi è qui accolta la
Odalisca (pag. 717) che, insieme al Ritratto della
marchesa Pateras, rappresenta nell'aspetto migliore un
artista, come Domenico Morelli, a seconda di come si sceglie
nella sua opera, autorevole quanto i grandi maestri, o
irritante come un borioso pompier. Non si contesterà
che il Fiano abbia ben scelto. Secondo il De Rinaldis
(7) l'Odalisca va datata fra il
1875 e il 1876, epoca del « Cristo deriso»; ed è il ritratto
della signora Concetta Tufani, che servì al Morelli anche
per altri dipinti.
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D'importanza
poco inferiore a quella dell'Odalisca una testa del
Celentano (pag. 718), che mi sembra porger testimonianza di
rare virtù pittoriche, come talvolta si cerca inutilmente
nei più celebrati quadri «storici» di questo artista. L'Autoritratto
di Gioachino Torna per vivacità chiaroscurale si presenta
con vantaggio al paragone di quello, più noto, della
raccolta Gustavo Torna. E, insieme ad uno studio per la
prima Sanfelice, una replica, con leggere varianti,
dell'Onomastico della maestra
(pag. 720), ha quella dolcezza cromatica e morbidezza di
impasti che, sul tardi, il Torna sostituì con un fare più
sprezzato.
Numerosi i lavori d Antonio Mancini: figure femminili; con
dietro un abbagliante paravento rosso, un grande, ilare
ritratto dello scultore Jachia; bozzetti di scugnizzi, del
periodo di prima gioventù; ma per fierezza e grandiosità
d'impianto, preferiamo una fulva testa puerile ( pag. 724)
che di poco precede l'affermazione del Mancini a Napoli nel
'77; come fra i pastelli, le tempere di figure e fiori e i
disegni di F. P. Michetti, preferiamo il gigantesco pastello
su tela che reca, sopra una faccia, l'effigie del poeta
Carmelo Errico, dalla cui raccolta l'opera proviene;
sull'altra, un Ritratto muliebre (pag. 719) che par
fuso nel bronzo.
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La illustrazione particolareggiata degli artisti che
svolsero la loro attività a Roma: da Scipione Vannutelli ad
Enrico Coleman, col bozzettone dei Centauri (pag.
725), superiore al quadro di Valle Giulia; a Pio Joris, con
un ritratto del periodo «spagnuolo»; Alfredo Ricci;
Sartorio; Raggio, benissimo rappresentato, ecc., ci
porterebbe troppo lontano. E dobbiamo limitarci a Luigi
Galli che, oltre al Medico, già della raccolta
Amadeo, e un piccolo tondo della
Madonna col figlio, che fa pensare ad un Piccio più gracile e perlato, ha
una Bagnante meno nota; due piatti con «bambocciate»
e una serie di quelle incisioni, inviti per conferenze, ecc.
ch'egli andava a vendere al Caffè Greco, con la famosa
intimazione: «Sei forte per mezza lira?», o somme simili. E
a Luigi Serra, che si ricorda in parecchi disegni; nel
Flautista, odioso quanto vigoroso; e nella Balia
(pag. 721) dove il suo squilibrio fra disegno e colore si
compone con leggerezza quasi macchiaiola.
Francesco Hayez, col ritrattino della Signora Franchi
(pag. 723) e il disegno dell'Autoritratto, riprodotto
(1890) nella grande edizione delle «Memorie», apre la serie
degli artisti delle scuole settentrionali: Mosè Bianchi; il
Previati, con un Putto non ancor staccatosi dalla
tradizione chiaroscurale; Emilio Gola, con un fosco ritratto
di signora; Cesare Tallone, con un ottimo paesaggio, In
val Brembana; Filippini, Pittara, Delleani, Fornara,
Tavernier, e il Grosso, con due nature morte; Favretto,
Marius Pictor, i tre Ciardi, Milesi, Discovolo, Fragiacomo,
Nono. Ma, davanti a questo soavissimo volto femminile (pag.
722) chi penserebbe al Tito delle frenetiche composizioni,
nelle quali, come di Tintoretto scriveva il Boschini, il
Tito sembra affaticarsi, «con mine sotterranee e fornelli,
bombe e cose simili, di far balzare le figure fuor della
tela?» Dipinto nel 1887, e tenuto in una sommessa armonia di
biondo e bianco, sopra il fondo corallino, il ritratto
appartiene al periodo d'influenza dell'olandese van Haanen;
che, nella raccolta Fiano, ha due tele non immeritevoli
d'attenzione.
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E chi penserebbe al Cressini, al malinconico Cressini delle
solitudini alpestri filtrate attraverso il setaccio
divisionista, davanti all'elegante soggetto di genere, Nello
studio; immune anche dalla sfumatura sentimentale che
diminuisce Et propre et procul, e motivi analoghi
dello stesso pittore? Pur togliendo quanto di suggestività
proviene al quadretto dalla grazia del «costume», non si può
reagire ad un senso di squisita sorpresa.
La raccolta Fiano non trascura d'ornarsi d'opere d'artisti
di più recente affermazione. Un autoritratto di Augusto
Mits. sini; un paese del Soffici; alcuni lavori del Carena
ancora sotto l'influenza del Carrière; la Comunicanda
di Oscar Ghiglia; dipinti di Innocenti, Irolli, Alciati,
Siviero, Moggioli, De Chirico, Oppo, Colao, ecc. quasi
sempre scelti assai felicemente, stanno a testimoniare un
interesse che non vuol limitarsi soltanto all'arte del
passato.
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Quanto agli stranieri, non ci resta ormai che l'opportunità
di pochi nomi ed anche meno riproduzioni. I. Sorolla y
Bastida: di Josè Villegas, con altro, un interno di San
Marco di Venezia. Lenbach ha tre ritratti (Regina
Margherita; Principe Marcant. Borghese; Principessa di
Trabia Bandini), Feuerbach, un caratteristico studio di
figura, Franz von Stuck, un busto muliebre, fra le sue cose
meno truccate; J. J. Henner un macabro ritrattino di signora
dal gran cappello piumato; e l'olandese A. H. Bakker Korff
un motivo di genere, miniato in toni d'ebano e d'avorio.
Non vorremmo insistere, per l'incompletezza delle garanzie
di attribuzione, sopra un Nudo che si ritiene del
Corot, e non è indegno d'appartenergli. Ma un Manet di
un'epoca ancora di studii e ricerche critiche,
favorevolmente giudicato da buone autorità del Louvre, con
le raffinatissime alternazioni del bianco lenzuolo, del
cuscino giallo e di quell'incarnato che s'orla di freddezze
azzurrine nel contrasto del tendaggio rosso, ci sembra
pittura da lasciare il ricordo migliore di questa e d'ogni
più ambiziosa raccolta.
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EMILIO CECCHI
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