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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti - Milano -
Roma - 1920)
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IL PITTORE ARMANDO SPADINI
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A Roma Spadini capitò in occasione della sua vincita del
Pensionato Artistico Nazionale, già ammogliato, e in una
condizione finanziaria piuttosto allarmante, una diecina
d'anni fa. Quello ch'egli facesse prima d'allora non so con
precisione. Soltanto, cosi all'ringrosso, ho raccolto dalla
sua voce, che, figlio di un ottico, invece di seguitare la
professione paterna, fu da ragazzo tanto inclinato nel
disegnare e nel colorire, che divenne presto un buon pittore
di ceramiche. Poi dopo fu scolaro di Fattori. Ma,
soprattutto, iI suo grande amore e quindi la viva funte
d'ispirazione e di passione furono le ricche gallerie di
Firenze. La, dalla contemplazione ansiosa dei
quattrocentisti, come testimoniano alcuni suoi saggi
giovanili, passò man mano ad una calda ammirazione per la
sensualità dei veneziani. Ed era a questo punto quando vinse
il posto del Pensionato Artistico Nazionale. Centonovanta
lire n'ebbe al mese, e una soffitta nll' Istituto di Belle
Arti di Roma, per la moglie, i figli e la Pittura.
Cercherò di chiarire subito il mio punto di vista nel
giudicare l'arte di Armando Spadini; e desidererei che tale
premessa fosse tenuta ben netta nella mente tua, lettore,
per tutto il tempo the dura questo mio scritto. Due saranno,
partenti da opposte direzioni, i rapidi sguardi che
bisognerà dare all' opera dell'artista perché riescano a
convergere sino a trovare il fuoco
giusto: uno sui rapporti che passano tra il nostro e l'epoca
nella quale vive l'arte sua : I'altro su quelli che
vorrebbero essere il suo punto d'arrivo : la comunanza di
vedute con gli antichi grandi pittori italiani. Mi sembra
che Armando Spadini meriti tutta la severità di una simile
inquisizione. Perchè come prima affermazione, visto il pro e
il contro, io dico ch'egli è il pittore che ha dato di più
come risultati complessivi, di tutti i pittori che oggi
vivono in Italia.
Al tempo che Spadini venne a Roma la cultura artistica
italiana era ad un livello si basso che, figurarsi ! Si
discuteva nelle giurie delle esposizioni se accettare o no i
divisionisti. Come se quella tecnica fosse un fine
artistico. Si discuteva ancora intorno a Segantini e a
Pelizza da Volpedo, e Balla passava per un rivoluzionario.
Le molte esposizioni veneziane, eppoi quella del 1911 a Roma
avevano portato dei feticismi per alcuni trucchisti
stranieri. Si parteggiava per Anglada e Zuloaga, o per
Stuck, o per Klimpt, o per Zorn, o per Meunier, o per
Mestrovic. Nell'arte ufficiale c'erano ancora sopravviventi
simpatie per il morellismo, per il preraffaellismo e per
certe sciocchezze chiamate impressioniste soltanto perchè
trascurate e bravonaccie, alla Sorolla e alla Lieberman. Non
c'è dunque da ,meravigliarsi se giovani intelligenti come
Boccioni, Soffici, Carrà, ecc., vivendosene in sbalordito
provincialismo a Parigi si sentissero bruciare da voglie
dinamitarde.
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Fu appunto dopo gli articoli di Soffici sugli
impressionisti e su Cezanne, Van Gogh, Gauguin. Rousseau il
doganiere, ecc., dopo le vaghe notizie e le prime buffissime
riproduzioni su per i giornali italiani dei quadri cubisti
francesi, che scoppiò la bomba futurista. La quale sorprese
Spadini a dipingere venezianeggiando il quadrone " Mosè
salvato dalle acque ". " Quello che fu fatto dura :
quelle cose che son per essere furon già, e Dio rinovella
quello che passò ". Ma chi pensava allora alla saggezza di
Salomone ? La furia distruggitrice, era in tutti i giovani
una baldanza la quale, tanto più vivace e orgogliosa perché
nasceva dall'avvilimento circostante, doveva avere il suo
scopo. Non credo si possa dire che sia stato proprio tempo
perduto : se sì per la nostra generazione, no certo per
quella che verrà. Mentre, dunque i più giovani,
saltando a pie pari I'impressionismo, male avendolo capito,
si slanciarono sulla via del postimpressionismo o si
abbandonarono all'ubriachezza futurista, Armando Spadini, a
Dio spiacente e ai nemici suo, si rimase per un po'
sorpreso, dubbioso : ma, come è un uomo sensibile, non
potendo sfuggire completamente alle stringenti tenaglie del
suo tempo, anche lui fu tocco dalla intelligente ventata di
moda francese. Anzi, per la prudenza del suo innato
tradizionalismo, prese di quell'aria la sbuffata più fresca,
più pura: gli piacquero Courbet, Renoir, Manet, e non Van
Gogh, Gauguin, Cézanne, Matisse dei quali a stato sempre
diffidentissimo.
Guardiamoci, lettore, francamente intorno. E non per fare
pettegolezzi. Diamo a tutti il merito loro, per quello che
hanno realizzato, se pure pochissimo, per quello che hanno
contribuito a far realizzare ad altri. per il martirio al
quale si sono sottoposti al fine di sondare sino in fondo
l'assillante della rinascita italiana della pittura: ma
occorrendo venire alla dimostrazione del nostro assunto, si
sia senza debolezze. Eppoi, non occorre far nomi. Lasciando
da parte gli artisti ufficiali che d'altra parte
appartengono ad una generazione diversa, i giovani che si
son fatti notare in qualche modo, chi per un verso, chi per
un altro, sono rimasti, quando sono riusciti a realizzare,
al piccolo tentativo, al frammento; e non perché l'opera,
essendo incompiuta, sia stata risolta soltanto in qualche
parte, ma piuttosto perché è nata con intendimento di comoda
modestia, frammento, esperienza, pezzo di pittura.
Del resto ecco un riassunto che mi sembra abbastanza
intero della situazione, nella sua
realtà pratica (mi si scusino queste due parole che
possono a prima vista sembrare brutali e superficiali) della
pittura giovane in Italia. Vediamo alcuni, deliberatamente
scartata come inutile ogni idea di composizione di grandi
dimensioni, o in tutti i modi scartata ogni complessità
soggettiva, contentarsi di piccole preziosità o di morbose
interpretazioni; altri, inconsciamente o per non volerci
pensare, rimandata senza alcuna speranza o sincerità,
l'attuazione, la messa in valore delle singole esperienze,
contentarsi pigramente di abbozzi e di ingegnosità; altri
ancora, negata ogni possibilità di riallacciare
l'intelligenza artistica d'oggi ai grandiosi risultati
dell'arte passata per inconfessata mancanza di sola abilità,
predicare di doversi rifare il mestiere cominciando
daccapo daccapo, magari da Cimabue; infine altri, ben
disposti al contrario a riprendere il filo della rete della
tradizione gloriosa, dimenticati ogni abbandono, ogni
generosità, ogni sensualità, al mestiere già conosciuto
pensare soltanto; e gli smalti di quella antica materia
invidiare, le esperienze tecniche a guisa di chimico
moltiplicare, e l'arte propria far quindi pericolare verso
l'accademia. Insomma caratteristica principale del tempo
nostro è la smania di realizzare compiutamente, entro
piccoli spazi, facili soggetti, senz'altra ispirazione che
un arido, e, se anche onesto, gretto verismo, prendendo a
prestito le più banali, inanimate cose domestiche o le
vedute di paese, più a portata di mano.
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Un merito di Spadini è dunque quello di dipingere quadri
composti di figure, di oggetti e di paesi, senza preconcetti
di moderne teoriche, senza elaborazioni critiche. Basterebbe
questo suo intendimento a metterlo già al disopra degli
altri, se è vero,com'è vero, ch'è più difficile saper fare
dieci cose insieme (cercando di farle bene) piuttosto di una
sola. Mi si vorrà concedere, che le nature morte che si
incontrano cosi spesso, sui tavoli ove i bambini
dell'artista fan colazione o si divertono (pani come quelli
nel quadro della Galleria d'Arte Moderna di Roma, tazze di
caffellatte come quelle nella " Famiglia ? di proprietà del
Dr. Signorelli, fiori come quelli della boccia dipinta in un
canto del quadro qui riprodotto, della "Madre e bambino" o
alberi come quelli di sfondo del quadro, anch'esso qui
riprodotto, della "Famiglia a Villa Borghese ?) liberano già
il nostro pittore da ogni concorrenza contemporanea ?
E poniamo pure il caso che non mi si voglia concedere
questo: vorrei sapere cosa, come grandiosità di sforzo, si
può contrapporre di contemporaneo alla composizione sì
armonica e complessa del vecchio abbozzo per il quadro del
"Mose salvato dalle acque ?. Che prendo ad esempio, non
perchè sia il quadro più importante di Spadini, (anzi egli
non ci tiene affatto) ne perchè sia il solo composto di
molte figure, ma appunto per prenderne uno qualunque a
dimostrazione della sua innata (il quadro è stato dipinto
dieci anni fa) disposizione al ben comporre, al ben
disegnare, al ben colorire, e della larghezza dei suoi mezzi
pittorici. D'altronde, ch'egli sia un pittore nato, lo si
vede subito da quella sua sgorgante facilita di fermare
insieme disegno, colore e chiaroscure, anche in una prima
sistemazione del suo lavoro, con uno spreco di forze che un
calcolatore, un cerebrale, terrebbe in serbo per l'effetto
finale, gelosamente. (Vedasi u esempio nella " Donna the
dorme ?). Anzi, questo suo dilapidare è uno dei maggiori
appunti che io gli faccio. Perchè, prodigalità e il
contrario di avarizia. Come anche, libertà non è licenza
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Spadini e un lavoratore instancabile, produttore a getto
continuo. Per lui la funzione del dipingere è come quella
del mangiare e del bere, un bisogno fisico. Ecco perché non
si può parlare della sua arte analiticamente, ne
singolarmente si può fermare, in un breve studio come il
presente,l'attenzione su questa, o su quella tela. D'altra
parte si starebbe freschi a voler dire delle due o tremila
pitture che gli sono uscite finora di mano. Cercherò di
rendere con le parole le caratteristiche dell'arte sua nei
quattro periodi nella quale sino ad oggi si divide. Il primo
periodo è quello che dirò veneto-spagnuolo. Le intenzioni
sono non poco presuntuose e lo slancio nel lavorare
veramente ammirevole. E' il periodo delle grandi
composizioni e quindi de' rapidi abbozzi di moltissime idee.
Rifulgono in questo ardente, febbrile lavoro, qualità
veramente straordinarie: e quasi sempre felice il disegno, e
sicura a l'impostazione delle masse; il colore è cupo e
dorato alla maniera veneta e il chiaroscuro e aspro di
contrapposti alla maniera goyesca; ma la tecnica ora
incerta, ora violenta risulta senza unità, come anche la
visione appare poco personale appunto per i modelli troppo
importanti ai quali il pittore ha in modo palese pensato.
Cosi, nel "Saggio per il Pensionato ? nel "Mosè
? nella "Donna che dorme
? nella "Figura muda ?, nell' "Autoritratto
? di proprietà dell'avv. Fiano, nel "Ritratto della
moglie in abito da sposa ? di proprietà Giosi, e nei
molti schizzi di "Corride di tori ? i ricordi del
Tintoretto, del Bassano, del Vecellio e del Goya sono
stranamente mescolati. Ma che il pittore non fosse contento
di quella abilità alcun poco scolastica a da museo lo
dimostra lo svolgimento successivo, che comincia dalla
ricerca di maggior chiarezza di tavolozza e di maggiore
controllo veristico, di tecnica più unita e di impasti più
raffinati e che va fino al periodo impressionista. La
caratteristica più visibile del nostro pittore è la continua
contraddizione tra un cominciare l'opera con ardore e fede
quasi cieca e un smorzarsi improvviso della fiducia in se
stesso, un tentennare, uno scoraggiarsi, non trovare sempre
troppa distanza tra la bellezza del suo sogno e i risultati
ch'egli vede uscire dai pennelli. Cosicché quasi tuta
l'opera sua del periodo del quale si parla e di parte del
susseguente è piena di bellezze e di viltà. (Altrimenti non
possono chiamarsi la mancanza dell'insistere e la paura del
concludere con il pericodo della sconfitta).
Ecco dunque le pitture ispirate dalle scene domestiche,
che tutti i giorni capitano sotto gli occhi appassionati
dell'artista (la moglie e i piccoli figli mescolati alle
ortaglie rovesciate di fresco sui tavoli di cucina: i bimbi
the succhiano le poppe materne agitando manine e piedini tra
bocche di vino giallo, dorati ciambelloni di pane, e
disordinate pieghe di tovaglie sulla tavola del dopo pranzo:
e sempre la moglie, magari nuda, con un bimbo nudo sulle
ginocchia; e ancora la moglie incinta di nuovi modelli)
sfilare numerose e incomplete, piene di frammenti preziosi e
di segnacci, e di cancellature e di colpevoli sbavature.
La materia è ora sporca e sorda, ora aspra e divisa, ora
smaltata in superfici madreperlacee che ricordano il
Correggio. Ma, s'è visto avanti, come al momento
dell'invasione delle teorie ribelli, covate nei cabarets
parigini dai nostri provinciali d'ingegno, teorie che ancora
oggi viziano tanta produzione artistica giovanile, Armando
Spadini, credette sentirsi in dovere anche lui di rinnovarsi
un poco. Mentre tutti correvano allo sbaraglio egli scivolò
silenziosamente nell'impressionismo. L'arte sua è
generalmente identificata, dalla maggioranza del pubblico,
con quella soltanto di questo periodo. Il che non è senza
suo grave danno. Perché, se da un lato la felicità raggiante
delle chiare colorazioni e le imbrillantature piacevolmente
abili (dei prati assolati, dei viali maculati di oro
luminoso, degli alberi luccicanti, delle figure aureolate,
delle folle trasparenti e chiazzate di sole) aumentano il
patrimonio coloristico della sua tavolozza, diminuiscono,
con la loro immediata e superficiale bellezza, le facoltà
dell'invenzione, le possibilità di realizzazione che non
siano soltanto illusionismi da istantanee a colori.
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S'è voluto rimproverare alla pittura impressionista di
Spadini, la molta incertezza di contorni e il disordine
tecnico. (Il quale disordine faceva si che la materia, in
alcuni punti assai grossa di sovrapposizioni grumose, in
altri punti appena di velo come d'acquarello, in altri trita
e grattugiata, fosse mosaico di maniere diverse). Ma nessuno
ha pensato quanta parte di queste colpe si dovesse
attribuire all'acuta miopia dell'artista, e quant' altra
soprattutto all'impressionismo e alle sue presunzioni
luministiche e veristiche. S'è anche voluto dire che questa
pittura di Spadini somigliasse troppo a quella di Renoir. A
me sembra che nulla a conti fatti, sia stato più sbagliato
della suddetta attribuzione di parentela, nulla di più
superficiale. Spadini, pur essendosi imbrancato, con quei
chiari rosa e cilestri sfavillanti, nell'atmosfera violastra
dell'impressionismo, è sempre rimasto nelle grandi linee, in
una sodezza formale, (se anche annebbiata) che risente del
suo amore e dei suoi studi, ne' riguardi dei grandi italiani
del rinascimento.
Il momento attuale dell'artista, nelle fotografie
che ornano queste pagine, è rappresentato dal magnifico "Paesaggio"
dai "Bambini che scrivono" dalla' "Annetta che
legge" . Nei "Bambini che scrivono" il colore
diventa grigio perlaceo e assai raffinato nel rosa delle
carnagioni e contenuto in forme precise ed accurate di pura
tradizione toscana. Ma non si può dar notizia critica e
particolareggiata delle moltissime tele che da due anni il
pittore accumula. Egli studia, disegna, dipinge, distrugge,
s'arrabatta a nascondere quello che dipinge, sempre in pena
se ripensa la grandezza degli antichi. Come quelli, egli
vorrebbe conoscere i mezzi più semplici per esprimere ciò
che sente, come quelli racchiudere nel breve spazio d' una
tela un mondo astratto ch'abbia il ricordo del vero, fermato
e pur sempre vivo, sapiente e sereno, gioia per gli occhi di
tutti.
L'impressionismo spadiniano pare sia finito. Spadini ha
ora idee semplici e chiare. Torna spesso a passeggiare
nei musei e ai modernisti chiude la porta dello studio sul
naso. A meno che, lettore, non sia Sabato sera o Domenica
quando conversa co' letterati che non capiscono niente di
pittura, davanti la pergola del giardinetto rustico dov'è la
piccola casa bianca che abita.
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C.E. OPPO
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