Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 144 - Dicembre 1906)

Il busto del "Moncalvo", opera di Leonardo Bistolfi


LONARDO Bistolfi ha effigiato nel bronzo, con mano maestra, i lineamenti vigorosi di Guglielmo Caccia. Pittore e scultore, mentre la materia rude andava trasformandosi in bella opera d'arte, ebbero forse istanti di ideale comunanza, udirono nel silenzio dei tempi che li disgiunsero palpitare le loro fraterne anime lontane; l'uno spirito e l'altro s'allietò d'una gioia improvvisa che richiama alla mente la trepida gioia commossa onde fu invaso il gran cuore di Dante ritrovandosi, nei regni oltremondani, in conspetto di quella sovra ogni altra diletta "anima cortese mantovana". Così all'accesa mente piace raffigurare il Bistolfi al lavoro, quale per verità egli traspare da ciascuna opera sua resa dalla potenza del concepire e dal fervore dell'esecuzione opera dí poesia; egli ha la sottile virtù del sentimento di cui altri troppo spesso fa getto, come di vieto arcaismo, accecato da idolatria estetica per la forma sapiente nella quale ripone il pregio supremo.

Lo scultore casalese non s'adonta quando lo si vuol battezzare poeta dello scalpello con la mira di convertire l'elogio in biasimo, interpretando cioè visionario, astratto; considera per contro, nella scala dei valori, come sovrana l'idea e questa ricerca e incide magistralmente; reputa il ritrarre il viso, l'umana figura, assai più che scaltra perizia di virtuoso del pennello o dello scalpello, ardua impresa di psicologo.

Il busto del Moncalvo è novella conferma dei suoi modi e dei suoi abiti che lo fecero eminente e che mai non fallirono la meta. Leonardo Bistolfi e Guglielmo Caccia vissero di spirituale vita comune, e le tele sentite dalla patina del tempo, rifulsero con la vivacità dei loro colori primitivi agli occhi del moderno artefice che meditò e lesse con fine intuito nei volti in preghiera, nei multiformi atteggiamenti ieratici, il fervido pensiero di chi le vagheggiò e le volle sue intellettuali creature.

Guglielmo Caccia, pittore piemontese, è noto in arte col nome onorevole della città monferrina ove ebbe, se non i natali, dimora costante. Moncalvo infatti accolse entro le sue mura forti l'artista oriundo da Montabone e predilesse le virtù gentili del suo alacre pennello che venivano evocando, con gran copia di tele, scene liturgiche, raffigurando santi, madonne, putti angelici nelle architettoniche chiese cittadine. L'impronta mistica, il calor di fede onde lo stile del Caccia è nitidamente contraddistinto, trovò largo consenso nello spirito pubblico di quel finir del cinquecento e del successivo primo seicento.

Principi e privati gli affidarono incarichi, ne crebbero con le lodi la fama, ne seguirono con compiacenza le frequenti chiamate in chiese, conventi, santuari del Piemonte e della Lombardia, furono orgogliosi di ribattezzarlo proprio concittadino e alla sua morte compianta gli diedero pia sepoltura nella parrocchia di S. Francesco.

 Chi scrive ebbe altra volta ad occuparsi, con qualche ampiezza, della produzione pittorica del Moncalvo, nè vuole, in questi fugaci cenni, ripetersi. Le vicende della vita del pittor monferrino (1568-1625) furono amorosamente ricostrutte su documenti d'archivio da un sagace cultore di patrie memorie. A entrambe codeste monografie (1), sì per la parte artistica sì per la parte storica, rimandiamo pertanto quanti abbian vaghezza di leggere più distesamente del Caccia e dell'opera sua.


Di questa fanno, o, piuttosto, facevano parte le pitture, ond'egli adornò il già famoso santuario di Crea, oggi per incuria miserevolmente scaduto. Degna di rilievo, per contro, è una cappella tutta moderna che fra le ghirlande di verzura e i bei festoni d'edera viva del boschetto che la circonda, mette una nota di poesia gentile e canta la gloria d'una fede semplice, di cuori umili raccolti in muta orazione. Chi si sofferma a contemplarla può in verità sgombrare dal cuore ogni rammarico. Leonardo Bistolfi ha in essa sceneggiata la Salila al Calvario con tale evidenza di plastica e di pittura da rendere quasi sensibile l'ora di passione, la triste e divina ascesa verso la meta dolente. Più l'occhio spazia nella grande visione e più l'animo vi si immedesima; considerata nel suo complesso e parimenti nei suoi particolari, essa appare calda di vita, con pensose figure accasciate, con aspro sentiero rupestre, con isfondo di paesaggio mesto e pur sereno, consolatore quasi, come soave speranza. L'opera bistolfiana, unica fra i moderni rabberciamenti, è degna dell'antica tradizione artistica che ebbe colassù, momenti di qualche fulgore; il senso poetico che esprime, mirabilmente s'accorda con la venustà dei colli che fan corona alla selvosa vetta ove torreggia, con aspetto monastico, la bianca cupola del Paradiso.

Nessun altro artista a noi contemporaneo poteva adunque meglio rendere, in una fedele riproduzione, il volto del Moncalvo, animandolo dell'interna genuina espressione. Leonardo Bistolfi si presentava invero quant'altri mai opportuno; la sua rara valentia dava pieno affidamento. il teologo don Costantino Lipano ebbe felice pensiero quando a lui si rivolse, interprete dell'ammirazione della cittadinanza per Guglielmo Caccia; la lodevole iniziativa ha trovato consenso e già si discorre di innalzare il busto, provvisoriamente esposto al pubblico sovra modestissimo piedestallo, sovra artistico basamento che ne completi l'aspetto estetico ponendolo in tutta la sua miglior luce. In tal modo, per volontà del parroco donatore, del Municipiò e dei cittadini, il Moncalvo avrà in Moncalvo - come ben disse il noto romanziere Agostino Della Sala Spada che con calda parola pronunciò il discorso d'inaugurazione nell'agosto scorso - un onorevole ricordo, un "simulacro muto" e pur parlante alla commossa fantasia di chi ne pregia le tele ormai vetuste.

L'arte del Caccia, se pure ebbe periodi di troppo facile accondiscendenza, riducendosi a moltiplicar copie per iscopo commerciale, vanta tuttavia eccellenti opere che sfidano il tempo e attraggono a questa faccendiera cittadina monferratese il visitatore che ama seguire, nella sua fase evolutiva decrescente, la scuola pittorica che riconosce il suo principale vanto dal magistero geniale di Gaudenzio Ferrari. (2)

 

Francesco Picco