Con Niccolò Cannicci, spentosi per lento ma inesorabile
morbo la mattina del 19 gennaio a Firenze, in mezzo al
compianto di tutta la cittadinanza, che da lungo tempo già
ammirava l'artista valentissimo e stimava ed amava l'uomo
cosi semplice e buono, scompare uno dei rappresentanti più
schietti, più garbati e più simpatici dell'odierna scuola
pittorica toscana. Nelle sue numerose tele, di cui alcune
anche di recente avevano ottenuto il più vivo successo alle
esposizioni di Firenze e di Venezia, trovavansi, infatti,
quasi sempre una gamma di colore tenue, delicata, dolce alla
pupilla; figure disegnate con sapiente solidità; gruppi di
uomini, donne e fanciulli ed assai di sovente di pecore o di
mucche atteggiati con eleganza, ma di una eleganza
spontanea, naturale, punto manierata; un sentimento del
paesaggio, pieno di poesia gentile se non profonda. Non sono
forse questi i caratteri salienti della pittura toscana
dell?ultimo trentennio, una pittura sobria, mite, nemica
delle audacie eccessive, che, se appare talvolta monotona e
se di rado trascina fino all?entusiasmo, si contempla sempre
con piacere, una pittura di gente seria, prudente e bene
equilibrata, la quale per tradizione ama la grazia delle
forme e delle tinte e che, pel timore costante del ridicolo,
in cui incappano sovente i novatori, fa mostra di un senso
perfino eccessivo della misura ? Fra le sue tele più
largamente note, ricorderò Triste inverno, Sosta in una
vergheria, Ave Maria, Gaiezza, All' ovile, Etruria e
Maternità, tutte esposte a Venezia, e poi ancora il
Sogno dorato, Il filo elettrico, Notte tranquilla, Il
ritorno dalla festa, La famiglia, Le gioie materne, Il
chierico violinista, La sementa del grano, La benedizione
dei campi e quel Biondo autunno, che suscitò
l'anno scorso un cosi unanime e fervido coro di lodi.
Niccolò Cannicci era nato nel 1846 a San Gemignano, la
pittoresca cittadina alpestre dalle snelle torri
profilantisi sul cielo, così gloriosa nella storia
dell?arte.
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