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(Fonte : Emporium - nr 635-654 - Giugno 1949)
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La retrospettiva di Antonio Fontanesi
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L'Ente del Turismo di Reggio Emilia ha allestito, nelle
sale del ridotto del Teatro Comunale, una mostra delle opere
più significative di Antonio Fontanesi, che è la più grande
esposizione fontanesiana dopo quella di Torino del 1932.
Il solitario pittore, una delle poche personalità di tutto
l'Ottocento italiano realmente dotale di capacità creative
poetiche, è stato, così, degnamente onorato nella città che
gli diede i natali e in cui foce i primi passi nell'arte.
Rimane infatti il Fontanesi, allievo di P. Minghetti, a
Reggio fino ai trenta anni. Va nel 1848 a Torino, diventa
garibaldino e si rifugia a Lugano. Passa poi a Ginevra, dove
lavora quindici anni sotto l'influenza del Calam. Nel 1855
visita a Parigi "paesaggisti del '30", che costituirono
efficace stimolo nel suo tentativo di rinnovare in senso
lirico il paesaggio. Viaggia e lavora in Liguria, nel
Delfinato, a Torino, a Firenze, a Londra, a Lucca, fino al
1869, anno in cui ottiene la cattedra di paesaggio
all'Albertina di Torino. E non abbandona più Torino, tranne
che negli anni dal 1876 al 1878, durante i quali accetta Una
cattedra di pittura a Tokio.
Fondamentalmente romantico il Fontanesi, pur risentendo nel
continuo peregrinare di influssi formativi varii, maturò un
suo linguaggio di sottile, malinconica intimità espressiva,
con una sorta di velato chiaroscuro intriso e a momenti
vibrante di luce, di cui i paesaggisti francesi gli avevano
fatto capire l'importanza. Per lui infatti il paesaggio era
"la luce, lo spazio, l'atmosfera e tutto ciò che si contiene
nell'immensità, cioè nell'nfinito". Malgrado che egli
rimanga, conte ha scritto un suo biografo, un paesista che
compone, o, almeno, adatta poeticamente la sua visione al
taglio tradizionale del paesaggio europeo, quale, tra sette
e ottocento l'avevano creato olandesi e italiani, inglesi e
francesi, i suoi quadri acquistano un nuovo e del tutto
personale accento poetico e una precorritrice schiettezza
antiaccademica. E così si giustificano, in un valido piano
creativo, le sue opere migliori.
Rimane poi controversa la questione se egli debba o meno essere
considerato, in questo senso, un vero caposcuola e un
precursore. "Le polemiche. scrive uno degli organizzatori
della mostra, Spaggiari, non sono ancora sedate e, forse, si
riaccenderanno ed è fatale che così sia. E' fatale perchÃ?
Fontanesi rappresenta anche una fase di transizione tra la
tradizione italiana e la nuova pittura sorta da influssi
cosmopoliti che in Fontanesi ancora si fondano in una
interpretazione personalissima che poi ben presto
obbediranno ad una fatale forza centripeta nelle varie
tendenze degli allievi". La mostro di Reggio, con i suoi
oltre cenni quadri, scelti dalle più importanti collezioni
pubbliche e private, ha dato comunque la misura se non di
una effettiva importanza nel rinnovamento del linguaggio,
della sua capacità a sublimare liricamente il vero, un vero
simbolicamente composto in "classiche" inquadrature: quadri
che ampiamente documentavano di tutte le fasi della sua
complessa evoluzione. Ricordiamo, tra i più noti e i più
significativi. La quiete, del museo Civico d'arte
moderna di Torino, Il pascolo della Galleria
Nazionale d'arte Modena di Roma, Le nubi, anche
questo del Museo di Torino, La roggia, Donna ala fonte,
Bufera imminente.
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f. e. |
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