Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr 325 - Gennaio 1922)

 

Pietro Gaudenzi e Carlo Prada alla Galleria Pesaro

Riprendiamo le cronache milanesi con un cenno, che per essere oramai retrospettivo non sarà diffuso, sulle due ultime mostre personali alla Galleria Pesaro: quella di Pietro Gaudenzi e quella di Carlo Prada.

La mostra Gaudenzi, presentata con un'eleganza di addobbi e, sarei per dire, con un apparato scenico quale non si vede di solito nemmeno nella stessa Galleria di Via Manzoni, dove pur vige la buona e rara consuetudine di curare, con l'avveduta scelta degli espositori e delle opere, anche l'ambiente, è stata una delle più discusse, nei circoli non sempre spassionati e sempre un po' maligni, dei colleghi e degli amatori di professione, ma è stata insieme di quelle che il pubblico, semplice e sincero, frequenta volentieri perchè le trova di suo gusto.

E si capisce: fra le diatribe estetiche, nell'odierno furore di teorie, le une pseudo-rivoluzionarie le altre pseudo-restauratrici, il pubblico, in fondo, si conserva tradizionalista nel fatto assai più che a parole, e per parere egli pure al corrente coi tempi e con la moda, non dimostri. Ama la misura, si regola, non meno in arte che in altre cose, sul buon senso, ed è sensibile, come forse a nessun mezzo d'espressione pittorica, al netto disegno, al bel chiaroscuro, alla forma solida, plastica, precisa: alla chiarezza, in brevi termini, e all'evidenza.

Le tele di Gaudenzi questi requisiti ce li hanno ed anzi li sfoggiano. E poi, un altro requisito, che finisce sempre per piacere al maggior numero, checchè si dica: non la ricerca vera e propria del « soggetto », come s'intendeva una volta, ma la ricerca, in ogni quadro, d'un motivo, lirico poetico e magari anche aneddotico, che trascenda ed arricchisca il puro motivo pittorico. E infine, se non il gusto esclusivo, la predilezione per la figura, che riguardando più da vicino la nostra umanità, tocca in modo più diretto il nostro sentimento.

L'arte del Gaudenzi non è mai sentimentale, ma è materiata di passione. Non occorre, per sentirla, entrare nei fatti privati dell'artista e nelle vicende del suo cuore d'uomo, ma la vita di lui, come uomo, v'ha gran parte. La storia biografica e la storia estetica delle sue opere, se non si confondono, si fondono. E perciò è utile conoscere la sua biografia. La quale si trova narrata in un sontuoso volume dell' « Eroica » — L'anima e l'arte di Pietro Gaudenzi da Ettore Cozzani, ore rotundo, con quel suo stile ricco, che il Giordani loderebbe se tornasse al mondo a impacciarsi di critica letteraria.

Rimandiamo il lettore a questo libro. E' già adesso una rarità bibliografica: diventerà introvabile fra poco tempo. A parte certi fregi un po' wildtiani (il difetto di Gaudenzi, per trovargliene uno, consiste nella sua facilità, del resto geniale, d'assimilarsi ora l'uno ora l'altro modo d'arte, e spesso non i più affini tra loro, dagli antichi e dai moderni), bellissima pubblicazione, piena poi di splendide tavole monocrome e colorate. Ma rimandandovi il lettore, tralasceremo di rilevare questo, ad onore dell'artista, dal racconto di Cozzani: che l'arte del Gaudenzi, quale essa sia o paia ai suoi ammiratori e detrattori, non è un frutto maturato in dolce temperie, sotto cieli clementi, sibbene fra vicissitudini e bufere, sotto la grandine e la pioggia.

Storia drammatica, quella del pittore genovese. E il dramma comincia dall'infanzia. Suo padre, un po' artista anche lui musicista, se non erro: gran brav'uomo. Ma non gli riusciva, con la sua professione e col suo carattere, di campare e far campare in pace moglie e figliuoli. Sempre al verde e sempre irrequieto. Una vita zingaresca: ad ogni poco, via con le sue quattro scarabattole, di paese in paese. Per aiutarlo a tirare innanzi, la povera moglie aprì financo, a Genova, una piccola panetteria. Un giorno, che è che non è, il musicista, trovandosi in bottega e non garbandogli l'aria poco riguardosa di certo cliente, piglia una pagnotta di sul banco e glie la scaglia sul muso. Così la clientela si diradò e il bisogno, se non la miseria, ricomparve alla porta dei Gaudenzi. Pietro, già innamorato della pittura, si mise ad esercitarla nell'unico modo redditizio per allora, dipingendo scene e paesaggi in una fabbrica di mobili, sulle testiere dei letti. E così, aiutando i suoi, s'aiutava. Poi entrò all'Accademia di Genova, vinse il pensionato Duchessa di Galliera, andò a Roma, s'arrabattò con la magra pensione pur d'imparare, lavorare, studiare, dinanzi al vero e nelle pinacoteche, tanto che, da quegli studi, il gusto degli antichi gli è rimasto e si scorge anche in certi quadri d'oggi, che son quasi esercizi stilistici condotti sui grandi modelli.

Cominciò a farsi conoscere con I Priori, acquistato dalla Galleria romana d'Arte Moderna, robusta pittura, cui seguono, dello stesso ciclo realistico, I Sacerdoti, esposti nella mostra presente, che riassume l'attività sua di parecchi anni e un poco anche la sua vita intima, della quale è insieme il commento e il racconto: un racconto idillico che rompe d'improvviso nel dramma per poi innalzarsi, dalla prova del dolore, a un tono di liricità mistica e quasi religiosa. Se si eccettuino, con I Priori e I Sacerdoti, taluni dipinti d'ispirazione rusticana e regionalistica, come quelli che ritraggono figure e costumi di Ciociaria (con qualche reminiscenza michettiana, ma d'un michettismo — se il vocabolo è lecito - potentemente assimilato), quasi tutte le fonti dell'ispirazione di Gaudenzi sgorgano dalla calda e affettuosa intimità familiare. La madre, la moglie, i figliuoli gli offrono temi inesauribili. E questo suo poemetto della famiglia egli lo canta con un gaudio intenso, con una gentilezza d'immagini sempre nuova, con una varietà di tecniche e di modi pittorici, in cui l'artista si rivela per quello ch'egli è sopratutto: un felice e rapido e forte assimilatore.
Poi, il lutto s'abbatte sulla sua casa: in breve tempo gli muoiono due figli e la moglie. E il ricordo si fa religione, l'arte s'adegua al culto, le care sembianze dei trapassati ritornano d'oltretomba coi tenui contorni delle ombre, pigliano evanescenze e luci serafiche, la grazia degli angioli e la purezza delle madonne. In questo periodo la sua espressione pittorica s'aiuta, anche, con elementi sartoriani: Sartorio della prima maniera preraffaellita.

Versatile pittore, il Gaudenzi: tanto che a mettere accanto tre o quattro quadri più tipicamente rappresentativi de' suoi diversi stati d'animo e modi di dipingere, non li riconoscereste della stessa mano. Quale salto dai Sacerdoti ai pastelli monocromi, e, fra questi stessi pastelli, dalla Preghiera a Verso il Mistero! Ma anche, che sicurezza e facilità e scaltrezza di tecnica, e che calore di sentimento Ed è al calore appunto del suo sentimento, alla passione dell'uomo trasfusa nell'artista, che si fondono, nelle sue opere, affinità derivazioni reminiscenze, fino a comporre di molte cose non tutte sue una cosa tutta sua. In questo senso Gaudenzi è un pittore personale.

A lui, del quale si può dire, come il Foscolo di Polinnia, che "molte lire a un tempo percote", o — per evitare ai fredduristi l'occasione di perpetrare un bisticcio — che possiede molte corde alla sua cetra, è succeduto — sempre nella Galleria Pesaro un artista delicatamente monocorde : Carlo Prada. II Prada è giovine; e si tratta, per intendersi, di giovinezza autentica. La sua fede di nascita si trova nell'ufficio di Stato Civile di Milano, sotto l'anno 1884. Ma non tanto, in ogni caso, da spiegarci come mai egli se ne sia rimasto fino ad oggi quasi nell'ombra, e il suo nome, almeno agli orecchi del pubblico, suoni presso che ignoto.

O piuttosto, la spiegazione si trova, a conoscerlo un poco di persona: così schivo com'è di carattere e riservato, silenzioso, chiuso. Un artista, insomma, pel quale l'arte conta più del successo, il piacere di esercitarla per sè più del piacere di comunicarla ad altri, l'intimità laboriosa e pensosa del suo studio più della lusinghiera pubblicità d'una mostra. E questo sia detto senza esagerare, che la sua parte di gusto, a sentirsi intorno, nella esposizione presente, lodi e consensi, e a vedersi portar via dai compratori un numero abbastanza considerevole di quadri, in barba alla famosa crisi, il Prada ce l'ha avuto: e si leggeva fin nella sua faccia, di solito così seria immobile e impassibile.

Non c'è, nei suoi paesaggi, una penetrazione del vero molto profonda, quella forza imperiosa di stile che s'impadronisce delle cose e ci si stampa. La tecnica — i tecnici mi correggano se sbaglio — è un po' preformata: è, direi, anteriore al soggetto. L'artista se l'è composta di certi elementi, che rimangono fissi, che non denotano inquietudini e sforzi e nervosità di ricerche. Ha un po' della formula, e il lavoro per Prada non consiste tanto nell'elaborarla volta a volta, quanto nell'applicarla. I motivi di questi paesaggi sono anch'essi un po' immobili: composizione, taglio, effetti di luce, gamme cromatiche si ripetono con frequenza. Da ciò, forse, quella lieve monotonia della quale parlavamo. Ma c'è un garbo, una grazia, una gentilezza di sentimento, una contemplazione pacata e dolce di campagne e di marine, una chiarezza quieta di colori, che seduce.


Senza essere intimamente spirituale, il suo paesaggio non è di quelli la cui suggestione s'arresta nelle pupille; senza essere grandioso, è largo ed evoca spazi ampi di cielo, vaste distese di mare. Il Prada è divisionista; ma non bigotto, e talvolta con qualche eresia. Un divisionista senza troppo palesi derivazioni dai maestri della sua scuola: salvo in certi quadretti, tre o quattro, dove ricorda molto da vicino il Grubicy. Elegiaco no, ma sempre commosso dinanzi al vero, così che quando ci rappresenta un paese ci parla, in fondo, di sè, ci narra la storia de' suoi amori con gli alberi e coi prati, con le acque e con le colline.

Amori ridenti: la sua pittura è tutta sorriso di sole. Giocondità calma, com'è calmo lui; ma comunicativa: distese sconfinate d'acque e di cieli, tremolii di riflessi, freschezza di verdi primaverili, apparizioni improvvise del mare raggiante dietro tronchi e cespugli. C'è poi anche, in questa mostra, qualche saggio di figura, per avvertirci che il pittore non è soltanto un paesista. E basta guardare quel suo fine ritratto a matita, nell'ultima sala, per accorgerci com'egli sia un limpido e prezioso disegnatore.


B.