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(Fonte : Emporium - Nr 169 Gennaio 1909)
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Il fregio di G.A. Sartorio per la nuova aula del
Parlamento
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Certe offese profonde al nostro patrimonio e al nostro gusto
artistico - come il barbaro taglio delle mura di Roma o la
soppressione dei punti più caratteristici delle antiche
città o l'acclimatarsi di certi edifici di insostenibile e
vacua pretensiosita.... - fanno troppo spesso pensare che
l'innato senso d'arte del popolo italiano si vada mano a
mano affievolendo, e, in certi momenti, anche offuscando. Ma
ecco che, nel programma di un ciclo di festeggiamenti di
qualche importanza, appare quasi sempre una Mostra d'Arte,
la restituzione di una bella testimonianza artistica del
passato, il compimento di una notevole espressione d'arte
del nostro tempo. Purtroppo, non sempre il tentativo è
coronato di successo, ma è sempre assai significativa questa
tendenza a credere che nessuna altra glorificazione possa
esser compiuta se non sia integrata e abbellita dal sorriso
dell'arte. E che il cosiddetto spirito pratico (!) non abbia
gettato finora penetranti radici nel nostro suolo, si può
ancora affermare con sereno animo, che ogni costruzione
destinata ad esprimere un'alta funzione di vita nazionale è
pensata anche come estrinsecazione ed esaltazione della
ininterrotta tradizione artistica di nostra gente. Così,
volendo inneggiare alla più fausta data della nostra storia
civile, si è sancito, con fine intuito, che nulla poteva
adeguare un dispiegamento multiforme e luminoso del mirabile
e sempre rinascente fervore artistico d'Italia. E, certo,
alcuna cosa riuscirà più nobilmente e intensamente
comprensiva del Monumento a Vittorio Emanuele - che, a
maggior ragione, i più chiamano il monumento sacro della
terza Italia - e del Palazzo del Parlamento. |
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Nessun edificio era più adatto del Parlamento Nazionale a
rispecchiare la nostra vitalità artistica, come quello che
rappresenta la più felice conquista e la più sicura
guarentigia per la nostra vitalità civile. il nuovo Palazzo
sarà elevato su disegno dell'architetto Basile, sarà animato
da decorazioni scultoree condotte dal Calandra e dal
Bistolfi e, nella sala delle adunanze, da uno stupendo
fregio che Giulio Aristide Sartorio ha concepito e dipinto
come la più efficace e possente smentita a coloro che
pretendono si debba osannare all'arte antica - non
posteriore alla metà del Cinquecento, però - senza che la
delirante ammirazione per essa possa conciliarsi col
rispetto e la vigile e schietta lode per le opere d'arte dei
nostri giorni. Strana aberrazione, anche di molti tra i
critici e gli amatori d'arte che portano nei loro
apprezzamenti sulle opere del passato coscienza e gusto ! E
pure lo studio e l'amore per le manifestazioni artistiche
dei secoli tramontati dovrebbe fornire preziosi
ammaestramenti e acuti criteri di valutazione per l'arte che
esprime la nostra vita.
II fregio si inizia e si conclude inneggiando a Casa Savoia,
sotto i cui auspici si è compiuta la Unità Italiana e si
svolge il regime di libertà. Il Piemonte educa a libertà la
gioventù italiana: un giovane, portato da un cavallo
galoppante, sventola il tricolore, mentre altri lo seguono
manifestando vivamente la loro gioia. L'allegoria si ferma a
due grandi visioni: quella delle Virtù più nobili e
caratteristiche della gente italica e quella de' momenti
culminanti della nostra storia. Tra l'allegoria del Piemonte
e quella delle Virtù si svolgono due cori di fanciulle
danzanti innanzi e a lato di altre che sostengono una porta
di città. La prima Virtù è la Giustizia, jeratica, solenne,
sublime, con gli occhi rivolti in alto, con nelle mani spada
e scudo: davanti a lei una figura virile divide due
contendenti, sollevando con ambo le mani due spade. Segue un
vivacissimo coro di fanciulle danzanti, dopo il quale appare
la Fortezza simboleggiata da un giovane che domina un toro e
da due atleti che si stringono la mano. Altro coro, indi la
Costanza vigilante sui nemici, mentre due uomini sollevano
l'edificio della civiltà simboleggiato in una colonna. Nel
centro del fregio, tra due cori di giovani donne, si spiega
in lirico tripudio la massima energia della vita italiana:
il Rinascimento.
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In mezzo è la Giovine Italia incarnata in una donna, rilevantesi sopra un immenso disco luminoso, eretta sur un
carro tirato da quattro destrieri: e a Lei si protendono da
sinistra nel fervore dell'omaggio l'Idioma che agita una
bandiera animata dal giglio fiorentino; I'Umaneismo che
solleva un antico foglio, l'Arte che offre statue e
simulacri, da destra le Scoperte indicate da figure che
recano forme varie di vita, la Classicità espressa da una
statua di Vittoria alata che un adolescente solleva, la
Cavalleria. Come a manca, così a dritta, tre Virtù chiudono
il fiore del genio italico, alternandosi con vaghi cori di
donzelle tenentisi per mano. L'Ardire una figura pensosa che
l'Ignoto, misterioso e solenne, spinge in una nave a nuove
conquiste, mentre a prora del legno una Vittoria alata si
libera dell'ultimo vincolo; la Forma che plasma i caratteri
della stirpe italica; la Fede, maestosa figura con un globo
nelle mani, cioè la sfera del destino, cui l'anima popolare
offre in olocausto la vita umana.
Nel passaggio dalla glorificazione delle Virtù
all'esaltazione storica si stende, oltre il coro di
fanciulle, il motivo già notato delle donzelle che
sorreggono una porta di città. La ricca storia d'Italia è
sintetizzata sobriissimamente in due momenti eccezionali:
l'invasione barbarica alimentata dalle Furie cui si
oppongono i Comuni, con eroismo supremo, che si accende
un'altra volta quando squilla l'inno garibaldino, risorgono
gli eroi, volano animatrici le strofe delle canzoni
patriottiche inneggianti a libertà: e i combattenti per la
patria acquistano novello vigore che il Fato corona di
premio col trionfo dei vessillo tricolore, sotto il quale la
Casa Sabauda eleva a libertà i giovani. Densa di significato
e pervasa di una originalità profonda e spontanea è la
concezione. Soltanto un'anima eletta e materiata delle
visioni più suggestive e significative della nostra vita
poteva assurgere ad una sintesi così completa e vibrante. Il
Sartorio aveva innanzi a sè esempi nobilissimi di allegorie
civili, di esaltazioni delle virtù e delle gesta del nostro
popolo. |
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Ma egli, assimilando la significazione e il carattere di
quelle, ha continuato, senza ripetizioni o faticose
trasformazioni o ostentata novità, la gloriosa tradizione
italiana, riallacciando alle antiche visioni la sua, così
largamente avvivata di spirito moderno. Al consueto ciclo
delle Virtù, cui il lungo uso ha tolto ogni colore e ogni
significato, egli ne sostituisce uno in cui le tradizionali
immagini sono indicate con varietà di simbolo che le innova
profondamente e a queste unisce altre che esprimono aspetti
consentanei a certi particolari e moderni atteggiamenti del
nostro sentire. Nella evocazione storica egli non riproduce
il fatto di cronaca guerresca o civile, come gli officiali
scultori di monumenti onorari delle piazze italiane; la
visione reale in lui trascende a fulgida affermazione di
italica idea: egli non segna il puro avvenimento, ma il
momento psicologico che lo produsse, ma le forze ideali che
lo alimentarono, ma la significazione che da esso traluce.
In questo si avvicina alle più pure correnti dell'arte
classica: in lui la classicità non consiste nella inanimata
copia di motivi e di forme come i più intendono, ma nella
piena personale continuazione di quel carattere di larga e
semplice grandiosità. di compenetrazione del reale con
l'ideale, di squisitamente euritmico nel pensiero e nelle
forme in cui sta la ragione d'immortale esaltamento e di
tipica bellezza dell'arte antica.
Molti, forse stupiti del novissimo ardimento e della virile
potenza con cui è esternato, sostengono che grave menda del
fregio è la raffinatezza del simbolo. Certo, una simbologia
più facilmente intelligibile avrebbe intensificato il pregio
dell'opera; ma perchè tale appunto non vale per le molte
complicate allegorie del Trecento e del Quattrocento ? Si
dice: queste erano intelligibili agli uomini del tempo, cosa
vera in parte se si riferisce alle persone che vivevano in
quell'ambito di visioni, come i Domenicani di S. Maria
Novella a
Firenze cui eran certo chiare le composizioni del cosiddetto
Cappellone degli Spagnuoli. Ma le cronache del tempo non ci
autorizzano a credere che ogni buon senese, anche
discretamente
colto, fosse in grado di illustrare punto per punto le
macchinose scene del Palazzo della Signoria. Tutt'al più si
coglieva in genere il significato d'insieme e dei punti
culminanti. E
perchè di questo non ci dovremmo contentare anche noi ?
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Ma ammettiamo che il fregio del Sartorio sia veramente di
significazione astrusa. E sarebbe questa ragione sufficiente
per precludergli la nostra ammirazione ? Quante opere noi
giustamente lodiamo e riteniamo fonti delle più intense
emozioni artistiche sol per i loro pregi formali, senza
preoccuparci del significato che ci sfugge, anzi trovando in
questo ignoto un che di suggestivo, di tormentoso che rende
più intenso e quasi movimentato il godimento e lascia libero
il corso alla fantasia ? La cosiddetta Primavera del
Botticelli e il cosiddetto Amor sacro e profano di Tiziano
sono per ogni studioso e per ogni amatore fra le più
meravigliose e seducenti espressioni dell'arte italiana.
L'arte è essenzialmente forma. E quale artista, tra i
moderni, ha più del Sartorio sentita questa verità ? In un
tempo in cui gli artisti - per darsi l'aria di profondi
pensatori o di
rigeneratori del genere umano e per procurarsi una facile
nomea - ostentano la rappresentazione del volgare, del
brutto, del repugnante, il Sartorio - artista di solida e
schietta tempra
italiana - rivela un senso squisitamente pagano della forma,
per cui anche il sentimento è sottoposto, come presso i
Greci, al culto per le belle linee, per gli spazi
mirabilmente
equilibrati, per l'armonia nella struttura e nel movimento
dei corpi. Dalla divina visione della Gorgone a questa del
fregio del Parlamento, tutta l'arte del Sartorio è lì a
dimostrare che
per un grande artista italiano la forma è ancora la suprema
virtù dell'arte e che non invano generazioni e generazioni
alla sua adorazione si votarono. |
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Le fanciulle che, nel fregio, tenendosi per mano, danzano in
cerchio sono un vago e semplice motivo ornamentale che
ricorre tra figurazione e figurazione, variato, senza
stancare, come un
ritmo che, insistendo, procuri sempre maggior dolcezza,
acquisti sempre maggior vita. Ne' fiorenti corpi giovanili,
nelle linee ondulanti e molli delle movenze, ne' volti
candidi e soavi
traluce una eletta aspirazione alla grazia. Anche nel
fervore lirico che anima le allegorie protendentisi verso la
Giovine Italia se è vivo il sentimento non è men vivo il
fascino della
linea intesa come pura esplosione di bellezza. Quale libertà
e grandiosità, inoltre, nell'apparizione radiosa della
Giovine Italia, dall'ampio gesto solenne, che portano a volo
destrieri
focosi di nobilissimo sangue ! E quale impeto drammatico
nell'invasione dei barbari, in quelle figure gettate in
audacissimi scorci, stringentisi in masse terribilmente
pittoresche,
dominate da una rabbia folle ! E qual nuova maraviglia nei
morti risorgenti allo squillo del fatidico inno, specie
quello che barcolla, annaspa, col volto rapito quasi
spasmodicamente
in alto, mentre a poca distanza volano incitando,
mirabilmente eccelse, le strofe delle canzoni patriottiche.
La bellezza della linea ha sempre il suo tributo chiaro e
ricco, ma potente non meno è la caratterizzazione dei
singoli momenti e a volte anche delle singole figurazioni.
Calma e solenne
l'allegoria nell'esaltazione delle Virtù, si anima quando
celebra l'espressione più sontuosa e raggiante della vita
italiana, per infiammarsi infine nella apoteosi storica in
epico ardente
mareggiar di vita.
Con questa creazione così signorilmente originale e così
squisitamente italiana G. A. Sartorio raggiunge la più alta
espressione della sua arte, il che vuol dire anche la più
fulgida
affermazione artistica del nostro tempo. In un paese dove si
creano queste opere non si può lamentare la decadenza
dell'arte.
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Luigi Serra
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