|
|
|
Autori
|
Opere
|
Documenti
|
Bibliografia
|
Contatti
|
Esci
|
|
|
(Fonte : Fiorentina Primaverile - 1922)
|
|
Arturo Dazzi
|
|
Ad
un artista vittorioso si possono ricordare anche i momenti
d'incertezza e gli errori della prima giovinezza. A Dazzi
vorremmo però rammentare
gli anni in cui, dopo le clamorose discussioni seguite al
concorso per l'Altare della Patria, egli andava esponendo
nelle pubbliche mostre e i Profughi, e qualche nudo femminile e qualche ritratto d'uomo
o di signora. La rude plasticità del fregio per l'Altare
pareva ogni volta di più
estenuarsi in continui compromessi pittorici, in certo
pernicioso psicologismo, in una diffusa sensualità di
carnali finezze e di morbidezze
esteriori - incerta tra l'impressionismo dei maestri più
famosi e la tenerezza dei busti di Victor Rousseau. Questa
vaghezza di apparenze e di
significati ci lasciava molto perplessi ed inquieti. E
scrivevamo con triste severità:
«In tutte le opere che espone, Dazzi si arresta a una
materia tutta mossa e alquanto disossata, mezza, che non
riesce mai a rassodarsi in
essenziali fissità. Dall'impressionismo egli deriva anche
talune opposizioni di materie grezze e di materie lavorate e
persino una scarsa
considerazione delle esigenze della materia. Questa non
basta, infatti, che si fissi in determinati spostamenti
spaziali. Il sole frangendosi in
piani di luce e d'ombra compone un'armonia di bianchi e di
neri che varia con la lucentezza e le porosità, l'assorbente
recettività della pietra
o del marmo, e stende un velo in funzione coloristica,
schiografica, che resta al di qua di essa, ne modifica
l'aspetto: non dannoso se il marmo
o il gesso sia accentuato e fermato su piani semplificati e
col dovuto inasprimento di salienze, sicuro garante - invece
- di illusorie
plasticità frantumate, di frappe e di spume, se marmo e
gesso siano sottoposti ad un doiglé più o meno febbrile e
artificioso.
Una chiusa linea esteriore, se ci compensa della mancanza di
una compatta architettura interna e dell'imperfetta
conoscenza delle necessità
della materia, non è sufficiente ad appagare chi si augura
il ritorno della scultura al rigore delle sue leggi eterne».
|
Arturo Dazzi a sentirsi dire certe cose faceva il broncio.
Ai critici, poi, non sapeva perdonare l'astrusità di
linguaggio e... l'ostinata
negazione.
Sono passati parecchi anni e la chiarezza che si è fatta
nelle idee e nella prosa degli scrittori d'arte si è fatta
anche nello spirito e nelle
opere di lui. Tra codeste idee e le ultime statue
dell'artista carrarese si è stabilito, anzi, un perfetto
accordo. Dazzi, oggi, quando qualcuno
gli rammenta i rimproveri parlati e scritti di un tempo,
sorride, scuote le spalle e se non si mette a gareggiare
d'inesorabilità col suo
amichevole interlocutore è proprio perchè ad un padre non è
lecito dir male dei propri figli anche più disgraziati. . .
.
Oggi egli è, infatti, l'autore del Monumento a Toti e del
Monumento al Ferroviere. L'eroe dalla franta stampella e
quello che nella mostra
fiorentina vediamo vestito dell'abito da pioggia, nella loro
vigorosa e profonda ed eloquente umanità, sono troppo ferrei
testimoni della bontà
di certa predicazione, esempi troppo sicuri di come il
«rigore delle leggi eterne», se osservato, possa condurre ad
opere di indiscutibile
bellezza, perchè Dazzi, l'autore dei Profughi, non si senta
disposto ai più leali riconoscimenti e desideroso, d'altra
parte, di rinnegare
concezioni nate dal connubio dell'errore con la buona fede.
Questa lealtà in un artista è sempre il segno della
raggiunta maturità e spesso coincide con la realizzazione
dei sogni più ardui e più alti.
E' il caso di Arturo Dazzi. L'aspettativa dei molti suoi
estimatori s'era completamente soddisfatta dalla rivelazione
del Toti. Ma ecco, a
distanza di un anno, apparire il Ferroviere, compatto e
fermo sul suo basso piedestallo. Quella potenza di
strutture, quella sanità di di derma
plastico, quella sintetica larghezza di modellato, quella
stasi severa, quella sdegnosa semplicità di atteggiamento,
dopo lo sforzo enorme
occorso per far respirare la statua dell'eroe trasteverino,
da quale meraviglioso fervore d'anima eran state generate,
da quale misteriosa e
risorgente capacità creativa avevan tratto copia di vitalità
e impeto di lineamento?
Il popolo, il popolo istesso lo domanderà all'opera
poderosa. Può darsi che dal cuor profondo di questa, giunga
finalmente la risposta che
illumini, che consoli, che compensi anche di tutti i
disincanti malinconicamente fioriti in questi ultimi anni
nello spirito di chi, ricordando
l'antica gloria, soffre di doverla continuamente confrontare
alla mediocrità artistica degli ultimi discendenti di
Dedalo.
Carlo Tridenti.
|
|
Opere esposte : |
|
1. Monumento al Ferroviere (bronzo).
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|