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(Fonte : Bollettino d'Arte - II Aprile-Giugno 1956)
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Mostra di Emilio Gola
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Mostra importante per la conoscenza dell'artista e il
giudizio che dell'opera sua si deve dare, nonostante le
facili negazioni di chi teme di non essere al corrente con
una certa critica d'oggi, volta troppo spesso alle più
sottili e inconcludenti elucubrazioni. Si è tenuta nelle
sale della Permanente a Milano con 95 dipinti e 12 disegni e
ci ha dimostrato chi fosse Gola e quale posto a lui spetti
nell'ultima fase della pittura nostra dell'800. I suoi temi:
paesaggi e ritratti che si potevano seguire dal 1879 ca. al
1923, anno della morte. Nel giovanile Ritratto del
musicista Marco Sala si può constatare come partisse
dal Cremona ma già fin d'allora irrobustendo la pennellata,
e ben presto se ne staccherà del tutto, salvo per qualche
sporadica e indiretta reminiscenza: pur rimanendo sempre di
gusto lombardo, si può ben dire che egli, più che a
predecessori o contemporanei, guardasse direttamente alla
natura. Questo è il punto essenziale per il Gola. Anche in
occasione di questa mostra egli è stato invece mal giudicato
da gente che partendo dalle solite prevenzioni nei riguardi
del nostro '800 ha affermato appunto che egli, spinto dalla
preoccupazione di volerci dare un documento, non è stato che
un bonario illustratore della Milano dell'età sua e della
campagna brianzola. Niente di più inesatto, e c'è da
chiedersi se chi ha scritto in questo modo tenesse presente
l'opera del nostro artista. È ben vero che il Gola non si
curasse delle correnti già in auge al tempo suo o di quelle
che si andavano formando, ma, è altrettanto vero che nei
suoi dipinti, esenti da elaborazioni di motivi altrui, da
spunti letterari, da quell'attenta osservazione che solo può
condurre a documento, è la prova di un continuo colloquio
con la natura, il libero e immediato riflesso di
un'impressione ricevuta. Non mai perciò una fattura
accurata, una ricerca esatta di forme e di linee, per
contrario una maniera sprezzante e vivace che ferma a volo
una sensazione.
Sappiamo da un suo amico, Virgilio Colombo, che ci riporta
direttamente il suo pensiero, come egli, non credendo che in
una realtà puramente soggettiva, ricreasse dentro di sè
quello che lo spettacolo poteva offrirgli e questo ritraesse
rapidamente, dando al colore la massima importanza.
Eloquenti a questo proposito le parole del pittore quando
sentendo "l'armonia che lega ogni oggetto anche il più
disparato nel bagno lucente del giorno" avrebbe voluto "che
le donne del suo quadro fossero color dell'acqua, e l'acqua
color delle donne e le piante delle donne e dell'acqua
insieme e delle gallinette che raspan per terra e dei
casolari nel fondo ". Non si può tuttavia parlare di
impressionismo nel senso usuale della parola (Bozzi) per il
valore che il Gola dà sempre alla forma, ma la sua veduta
rimane prettamente pittorica per la resa sommaria e per il
tocco vibrante attraverso raffinati accordi cromatici
acutamente e agilmente scelti. Dai suoi paesaggi spira una
brezza tagliente, i cieli spaziosi son densi di nuvole,
riflessi di acque o prati verdeggianti si distendono dinanzi
ai nostri occhi e le figure sono immerse nel paesaggio e ne
sono parte integrante: la vita è ovunque e sempre in
fermento. Numerosi gli esempi che fra i tanti si potrebbero
ricordare: parecchie vedute del Naviglio di Milano
(Coll. Setmani, Venier, Banco Ambrosiano, ecc.), paesaggi
della Brianza (Coll. Varenna Gussoni, Mulassano, ecc.),
spesso con gruppi di lavandaie sulle rive di un torrente
(Coll. Crivelli Sormani, Gussoni, Gobbi, ecc.), marine con
cieli grigi (Coll. Bellotti Banzatti, Varenna Gussoni,
Cardarelli, Federico Gussoni, ecc.), o infine le vedute di
Venezia degli ultimi anni (1920-1923, Coll. Peroni, Setmani,
Gola, Grassi, Gobbi, ecc.), che sono fra le sue pitture più
liriche. Non minore libertà pittorica nei ritratti,
prevalentemente femminili (Coll. Varenna Gussoni, Sommi
Picenardi, Dall'Acqua, ecc.) e nei nudi (Coll. Varenna
Gussoni, ecc.), nei quali rinunciando a qualsiasi
piacevolezza formale l'artista ritrae un'umanità franca,
persino rude, cui dà vita con sommarie e robuste pennellate
tra forti sbattimenti di luce nell'atmosfera densa di una
stanza chiusa. Nell'Autoritratto (Coll. Stramezzi)
del 1920, invece, la pennellata si raffina quasi per rendere
con maggiore acutezza la natura aristocratica del
conte-pittore ma v'è altrettanta libertà di stile.
Questo in breve il modo di vedere di Gola, che va di pari
passo con l'assenza in lui di una qualsiasi preoccupazione
culturale e con il disinteressamento per qualunque
particolare corrente artistica: modo di vedere che indica
innanzi tutto la sua piena sincerità, ricerca di emozioni e
non di illustrazioni, una natura di poeta e non di cronista,
onde la sua pittura rimarrà a nostro avviso sempre valida
anche se dovrà essere variamente giudicata a seconda del
gusto del momento. Più che utile, dunque, è stata la
revisione critica consentita dalla mostra e del resto già
iniziata da tempo per il Gola, e si può ben concludere -
osservata serenamente l'opera sua - quanto sia falso e
anticritico il criterio di certuni che non sanno più vedere
un artista nostro se non col metro degli impressionisti
francesi quasi che non possano esistere altre soluzioni
pittoriche e altri valori, seppure si debba subito
riconoscere l'assoluta grandezza dei francesi e nel nostro
caso la presenza di valori certo non di pari grado. Il
catalogo contiene una introduzione di Nicodemi, che cita
preziose testimonianze (Colombo, Bozzi), l'elenco delle
opere in ordine cronologico ma senza un commento, una
bibliografia essenziale e un centinaio di riproduzioni.
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Giulio R. Ansaldi
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