|
(Fonte : Bollettino d'Arte - Fascicolo 9 Gennaio-Marzo 1981)
|
Fortuna di Fontanesi dal "ritorno" in Giappone
alle mostre torinesi
|
Si può davvero così definire quella successione di fatti
verificatisi, col favore di circostanze particolari,
nell'rco dell'ultimo quadriennio - fra il 1977 e il 1980 -
in cui il Fontanesi è stato dapprima protagonista di una
grande mostra in Giappone (1977-78), ritornandovi con le
opere giusto un secolo dopo aver lasciato in quel lontano
Paese i segni non transitori del suo biennio di magistero,
come rappresentante della pittura Occidentale; mostra che,
forse anche perché tenutasi a un altro capo del mondo, non
ha avuto, in Europa e specie da noi, le attenzioni che
meritava, almeno allorché, rimpatriando, poteva evitarsi di
perdere l'occasione, chissà quando ripetibile, di una mostra
organica bell'è pronta da proporre in edizione nostrana sia
pure con qualche ritocco. Quindi, il medesimo Maestro è
stato oggetto, questa volta a Torino nel 1979, di una
rassegna dedicata interamente alla sua opera grafica, con
una scelta di una panoramica completezza mai prima
raggiunta. E questa deve considerarsi auspicato complemento
postumo di una prova generale, sullo stesso tema, effettuata
anch'essa in Giappone a fianco della manifestazione
ufficiale. Infine, egli è stato presente all'ultima grande
mostra torinese (maggio-luglio 1980) - Cultura
figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna,
1773/1861 - soltanto con alcune opere fondamentali degli
anni giovanili, in quanto l'assunto di quella mostra non
consentiva di valicare quel termine 1861 che segna tuttavia
per il Fontanesi la sua "comparsa con cinque splendidi
paesi" alla prima Esposizione Nazionale Italiana di Firenze,
che "fu davvero trionfale... cominciando a influire sul modo
di vedere fra i nostri migliori artisti" (si riporta il
significativo giudizio del Signorini). "Comparsa" che
inoltre determinò la sua "opzione patriottica" (A. Dragone)
per il desiderio di stabilirsi definitivamente in Italia in
qualche sicuro impiego per lo insegnamento dell'arte".
Ho parlato sopra di "fortuna" e il termine può sembrare
improprio ove appena si scorra la fitta sequenza
bibliografica del maestro; che, nel solo dopoguerra, è stato
onorato con una mostra di cinquanta opere (nel 1947 a
Torino, per cura di M. Bernardi che poi, nel 1967, gli
dedicava una impegnata monografia); poi con una altra mostra
grafica alla Calcografia Nazionale nel 1954 - Fontanesi
e il suo tempo - corredata di un catalogo curato da C.
A. Petrucci e da A. Dragone; per non parlare di quell'evento
storico capitale che fu la presenza alla Biennale di
Venezia, nel '52, allorché la scheda critica di Roberto
Longhi assegnava a lui, poco più anziano degli altri tre
paesisti piemontesi, Avondo, Delleani e Reycend, il ruolo di
ispiratore, e lo poneva poi "sul piano dei maggiori
romantici d'Europa" . Né si contarono, da allora, le
citazioni e gli studi, nonché le presenze in mostre
collettive dedicate alla pittura piemontese ed alla grafica.
Ebbene, si può dire che le mostre recenti di cui si parla,
abbiano recato quell'approfondimento e quel contributo di
studi che appunto il Longhi, una trentina di anni fa,
auspicava "per cura e scienza di ricercatori piemontesi" .
L'idea della mostra giapponese è scaturita da un fatto
occasionale. Sullo scorcio del 1974, Angelo Dragone,
specialista di Ottocento piemontese, all'indomani della
pubblicazione della ponderosa monografia sul Delleani,
meditava di dedicarsi allo studio dell'opera del Fontanesi;
si rivolgeva, fra l'altro, al neo-direttore dell'Istituto
Italiano di Cultura a Tokyo, Giorgio De Marchis, perché gli
reperisse, appunto in Giappone, notizie e documenti relativi
alla attività che il Fontanesi vi aveva svolto, dal 1876 al
1878, come docente alla Accademia Imperiale di Belle Arti.
Ma il De Marchis andò oltre una ricognizione bibliografica e
archivistica; e le sue proposte di una mostra trovarono
fortunata e immediata rispondenza presso la direzione del
Museo Nazionale d'Arte Moderna di Tokyo.
Si approssimava, infatti, la prima scadenza centenaria
dell'incontro fra l'arte giapponese e l'Occidente europeo,
un incontro che, mediato appunto dalla presenza e dal
magistero di artisti italiani - oltre il Fontanesi, il
Ragusa e il Cappelletti, fra il 1876 e il 1888 - aveva
determinato una svolta storica specie nella pittura e nella
scultura del primo periodo Meiji (l'intero periodo va dal
1868 al 1912). La Scuola d'arte Kobu, fondata nel 1876, era
stata la prima istituzione ufficiale giapponese "per lo
insegnamento delle arti in stile europeo"; nell'intento cioè
di andar oltre i limiti di uno studio meramente scolastico
delle tecniche, del chiaroscuro, della prospettiva (come
qualcuno aveva colà iniziato) e di poter intendere ed
esprimere, secondo la concezione naturalistica occidentale,
tanto diversa da quella tradizionale orientale, i valori
poetici del vero, nel paesaggio, nella natura morta, nel
ritratto (questo, almeno, si desume nonché dal testo della
richiesta ufficiale del governo giapponese, nel 1875, dai
brevi saggi introduttivi al catalogo della recente mostra -
1977-78 - di Iwasaki e Ichikawa, attraverso la duplice
versione anglo-italiana). Donde, un secolo fa, la avvertita
necessità della presenza di docenti europei qualificati, che
furono richiesti all'Italia considerata ancora, da parte
giapponese, la patria di tutte le arti. I tre artisti,
pittore, scultore, architetto, furono nominati, dopo alterne
vicende, dal ministro dell'Istruzione Pubblica, allora
Ruggero Bonghi: Antonio Fontanesi (1818-82), reggiano di
origine ma poi torinese di adozione, proveniva dalla
Accademia Albertina di Belle Arti di Torino dove, dal 1869,
ricopriva la nuova cattedra di "Paesaggio"; Vincenzo Ragusa
(1841-1927), palermitano, si era messo in luce
all'Esposizione Italiana del 1870 a Milano dove, per far
fronte agli incarichi di lavoro che ne erano derivati, aveva
aperto uno studio distinguendosi fra i maggiori artisti del
tempo; Giovanni Vincenzo Cappelletti (?-1887) il cui
contributo non sembra però aver avuto la stessa rilevanza
degli altri due. L'impegno doveva essere triennale; e mentre
il Fontanesi, per cattiva salute, dovette interromperlo dopo
due anni, il Ragusa prolungò invece il soggiorno fino
all'82.
Fu così delineato il progetto di una importante
manifestazione rievocativa imperniata sulla rassegna
essenziale dei due maestri italiani, convenientemente
arricchita con una panoramica dei conseguenti esiti
dell'arte giapponese. La mostra fu intitolata:
Fontanesi, Ragusa e l'arte giapponese del primo periodo
Meiji (Tokyo-Kyoto 1977-78). Sempre grazie ai buoni
uffici di Giorgio De Marchis, quindi per il tramite
dell'Ambasciata d'Italia a Tokyo e del competente Ministero
per gli Affari Esteri, l'organizzazione di parte italiana -
nell'ambito degli scambi culturali italo-nipponici - venne
assunta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali che
l'affidò, nella persona dello scrivente, alla Soprintendenza
per i Beni Artistici e Storici del Piemonte in quanto le
opere da raccogliere, quasi tutte del Fontanesi, si trovano
per lo più nelle civiche raccolte d'arte di Torino ed in
altre private piemontesi. Il piano scientifico della mostra
- riguardante gli italiani - è stato elaborato da Angelo
Dragone (cui era stata affidata la redazione del catalogo,
saggio introduttivo e schede) d'intesa con la Soprintendenza
piemontese e con la direzione del Museo Nazionale d'Arte
Moderna di Tokyo che, naturalmente, si era assunto tutti gli
oneri relativi alla realizzazione della mostra, prevista
nelle due sedi di Tokyo e Kyoto per un periodo di circa
quattro mesi, dall'ottobre 1977 al gennaio 1978.
Particolarmente laboriosa è stata la scelta delle opere del
Fontanesi - almeno una settantina di dipinti, secondo gli
accordi - dovendosi rappresentare l'intero trentennio di
attività del Maestro, facendo però i conti con la
disponibilità dei prestatori e talora con la stessa
reperibilità delle opere, s'intende quelle di proprietà
privata, che negli ultimi anni avevano spesso cambiato mano.
A codesta antologia pittorica non fu possibile accostare
quella riguardante la cospicua attività incisoria dello
stesso Maestro; né fu possibile ottenere dagli organizzatori
giapponesi che tale sezione venisse almeno inclusa nel
catalogo ufficiale della mostra. Essa trovò peraltro degna
sede nel salone di esposizione dell'Istituto Italiano di
Cultura, a Tokyo stessa, accompagnata da un breve catalogo
però solo in lingua giapponese.
Quanto a Vincenzo Ragusa, soltanto due pezzi del Museo
Civico di Palermo furono scelti per l'invio alla mostra, in
quanto, salvo non molte altre cose - fra cui sculture
all'aperto, inamovibili - le opere dello scultore siculo, o
rimasero in Giappone o vi furono portate a suo tempo da
Palermo dalla moglie giapponese rimpatriata dopo la
scomparsa dell'artista (1927). In occasione della mostra
tutti i dipinti del Fontanesi sono stati sottoposti ad
interventi di conservazione e restauro anche piuttosto
importanti a cura della Soprintendenza di Torino e ad opera
dei restauratori Guido e Gian Luigi Nicola, con fondi ad hoc
stanziati dal Ministero per un importo di cinque milioni di
lire. La Mostra è stata inaugurata il 7 ottobre 1977 nella
sede principale di Tokyo, al pianterreno del Museo Nazionale
di Arte Moderna, alla presenza delle Autorità giapponesi e
per parte italiana dell'ambasciatore Vincenzo Tornetta, di
Giorgio De Marchis, di Angelo Dragone e del sottoscritto.
Come si è detto, la mostra si è quindi trasferita da Tokyo a
Kyoto dove è rimasta aperta dal 9 dicembre al 22 gennaio
1978 nella sede del locale Museo di Arte Moderna. Per quanto
si è visto a Tokyo l'allestimento è stato efficace, più che
decoroso e molto curato in ogni dettaglio, col corredo,
all'ingresso della mostra, di pannelli didascalici
poliglotti.
La mostra ha offerto dunque una rassegna molto significativa
dell'opera pittorica del Fontanesi, con 62 dipinti, scalati
fra il 185o e il 1881, oltre una dozzina di disegni di
soggetto giapponese provenienti dalla Galleria d'Arte
Moderna di Torino che ha prestato oltre un terzo dei
dipinti, fra cui due restituiti all'allievo giapponese Asai,
del quale si è scoperta la firma nel corso dei restauri
accennati. Da parte giapponese si sono aggiunti trenta
pezzi, per lo più disegni, mentre quasi un centinaio erano
le opere di allievi della Scuola d'Arte Kòhu, in prevalenza
di stretta osservanza fontanesiana, come il già ricordato
Asai, quindi Koyama, Matsuoka, Yamashita e altri,
sorprendente testimonianza dell'influsso esercitato dal
Maestro nei soli due anni di permanenza. Più limitata la
rassegna dell'opera del Ragusa: alle due pregevoli
terracotte palermitane (Ritratto della moglie
e Uomo del riksciò, eseguite a Tokyo fra il
1876 e il 1882) si sono aggiunti sette ritratti a mezzo
busto (in marmo e in bronzo) di musei e raccolte giapponesi;
e soltanto due pezzi di Okuma e Fujita, i due allievi più
sensibili a quell'insegnamento che si rivelò ben più ostico
e avaro di risultati rispetto a quello della pittura,
nonostante la prolungata presenza dello scultore
palermitano: fatto specialmente imputabile alle condizioni
di crisi della scultura giapponese del tempo.
Da sottolineare che la mostra è stata accompagnata da un
catalogo veramente esemplare, con una veste editoriale di
eccellente qualità e spicco, e bene illustrato, in nero e a
colore. Sotto il profilo scientifico (come ho già accennato)
sarà d'ora innanzi una voce fondamentale della bibliografia
fontanesiana in special modo. Del resto, un riconoscimento
proprio da parte giapponese al contributo critico del saggio
e delle esaurienti schede del Dragone è da individuare nel
fatto stesso, non solito, che i relativi testi sono stati
pubblicati anche in italiano e in inglese. Per quanto è
stato comunicato dalla direzione del Museo d'Arte Moderna di
Tokyo in sede di consuntivo, il numero dei visitatori non è
stato particolarmente alto; ma molto elevata è stata la
valutazione dell'importanza dell'avvenimento, considerato
in primis fra le più che 300 mostre tenute in
Giappone nel 1977. Da rilevare, infine, che la mostra ha
dato l'avvio, nello stesso Giappone, a studi sul Fontanesi e
sul suo rapporto con l'arte locale.
Ma prima di concludere sulla manifestazione giapponese, una
menzione a parte merita la sezione della mostra dedicata
all'opera grafica del Fontanesi, allestita in modo
eccellente, come s'è detto, nella sede dell'Istituto
Italiano di Cultura. Anzitutto perché il gruppo di oltre 150
pezzi - fra acquaforti, litografie, eliografie e disegni,
provenienti da raccolte e musei italiani e dal museo di
Ginevra, è stato il frutto di un laborioso vaglio critico
condotto dallo stesso Angelo Dragone il quale, fra l'altro,
era riuscito a comporre le sequenze dei diversi "stati" di
alcune stampe e ad offrire comunque una panoramica inedita
dell'opera grafica fontanesiana. Tanto maggiore fu quindi il
rammarico che tale rassegna non avesse trovato posto nella
sede ufficiale della mostra accanto alle opere di pittura,
eludendosi l'opportunità di significativi accostamenti fra
opere di identico soggetto e in stretta relazione; né meno
duole rilevare che, del tutto al di fuori della buona
volontà di Giorgio De Marchis, il breve catalogo non sia
stato stampato che in lingua giapponese (anche per il costo
proibitivo, in Giappone, della composizione in caratteri
latini).
Tuttavia, quanto non era stato possibile realizzare al
rimpatrio della mostra, fu però condotto felicemente in
porto poco più di un anno dopo, nell'autunno del 1979: la
tenacia di Angelo Dragone, opportunamente fiancheggiato da
Marco Rosci in veste di Consigliere regionale, fu così
giustamente premiata. Realizzata dalla Regione Piemonte, la
mostra dell'opera grafica di Antonio Fontanesi, col suo
esauriente catalogo (trilingue), ha chiaramente illustrato
quale posto abbia avuto l'attività incisoria nel percorso
del pittore, il quale, dopo le esperienze litografiche
ginevrine degli anni "cinquanta", " fù, forse, il primo
artista italiano a dedicarsi con impegno all'acquaforte
originale" , all'incirca fra il 1860 e il 1875 (A. Dragone).
Attività che va ad innestarsi nella fortunata vicenda
dell'incisore nelle provincie subalpine, legata all'azione
particolare che in questo campo ebbe ad esercitare la
Società Promotrice delle Belle Arti, a Torino, fino dalla
fondazione (1842). Da rilevare infine che l'elenco delle
opere, come avverte lo stesso Dragone, costituisce in realtà
il catalogo ragionato - e si dovrebbe aggiungere, il primo -
dell'opera grafica del Fontanesi. Il successo della mostra
torinese è stato poi completato con l'itinerario delle
successive edizioni di Piacenza (Gall. Ricci Oddi), di
Reggio Emilia (ex?chiesa di San Gerolamo) e di Bologna
(Museo Civico), concluso lo scorso maggio.
|
(luglio 1980) Franco Mazzini
|
|
|
|
|
|