|
(Fonte : Illustrazione Italiana - 19 Febbraio 1882)
|
Francesco Hayez
|
Da una settimana Milano rimpiange quella bella figura di
vecchio che per tanti anni si vedea andare e venire dal
Palazzo di Brera, onorato, venerato da tutti; da atto giorni
con Milano l'Italia rimpiange uno de' suoi più celebri
artisti. Era nato a Venezia; il nome straniero lo avea dal
nonno venuto da Valenciennes a stabilirsi in Venezia, nel
secolo passato; suo padre Giovanni Hayez era già un
veneziano schietto quard'egli venne al mondo, sua madre non
avrebbe potuto essere pia veneziana: si chiamava Chiara
Torcello, portando il nome della più celebre isola delle
lagune.
Egli era venuto a Milano a 29 anni nel 1820, per esporre un
suo quadro a Brera, fermarsi pochi giorni e tornarsene a
Roma dove avea lo studio e la moglie. Presentarsi nella
capitale lombarda o conquistarvi subito la prima posiziono
in arte fu tutt'uno; da quel momento egli diventò milanese,
né lascio più la nostra città, ove visse sino alla morte,
per 62 anni, senza perdere però una sillaba del dialetto o
dell'accento veneziano più marcato. Egli era ancora affatto
bambino che già non trovava nulla al mondo di più bello dei
quadri di Tiziano e di Van-Dyck che vedea nella bottega
d'anticaglie d'un suo zio, marito della sorella di sua
madre, certo Binasco di Genova, mercante di quadri vecchi
genuini e non genuini, negoziante di bronzi antichi, di vasi
etruschi, o d'ogni genere di curiosità artistiche. In questa
bottega e presso lo zio l'Hayez studiò sotto on Zanotti
prima, poi sotto un Maggiotti, maestri di disegno, a uno
zecchino al mese per tre anni, poi fino ai 15 anni studiò
gessi antichi, chiuso per metà la giornata nel palazzo
Farsetti col Demin suo coetaneo, e per poco suo emulo in
arte. Alla matricola dell'Accademia di Venezia, fondata nel
1806, se il suo nome non fu registrato al N. 1 non passa la
prima decina, o nessuno dei tanti nomi registrati dopo, ebbe
poi la celebrità acquietata dal suo. Fu il primo pensionato
a Roma dall'Accademia di Venezia, avendo superati i compagni
di concorso a quella pensione.
Lo zio genovese, cha l'avea fatto istruire nell'arte perchè
gli ristaurasse i quadri vecchi, e gli facesse
all'occorrenza un falso Tiziano o un falso Paolo Veronese,
se lo vide sfuggire di mano a malincuore; gli avea dato per
più anni per maestro di pittura Lattanzio Querena, e appena
il ragazzo s'era fatto abile ai ristauri ed alle
contraffazioni, avea dovuto cedere alle sollecitazioni di
Leopoldo Cicognara, cui il piccolo Hayez era ricorso per non
fare i pasticci artistici voluti dallo zio, e andarsene
invece a studiare all'Accademia. - Troppa grazia
Sant'Antonio ! dovette esclamare lo zio Binasco nel cedere
il nipote alla fortuna e alla gloria che glielo
scaraventavano a Roma, tanto lontano dalle sue anticaglia e
dalla sua fabbrichetta di quadri antichi.
A Roma Hayez studiò Michelangelo, Raffaello e i Greci per
tre anni, compiuti i quali fece il Laocoonte pel
concorso di quell'anno che fu deciso in Milano, dose il suo
saggio vinse quello d'un competitore sostenuto
dall'Appiani: e lo si può sempre vedere nella pinacoteca
Braidense. Canova, cui era stato raccomandato da Cicognara,
mandò poi a sue spese l'Hayez a studiare in Firenze; il
giovane veneziano vi restò poco, al suo ritorno vinse un
saggio fondato da Canova cogli emolumenti del titolo di duca
d'Ischia largitogli da Pio VII. Egli superò in quella gara
il celebre pittore Ingres, diventato poi il caposcuola del
classicismo in Francia. Era da poco caduto Napoleone
Bonaparte e confinato a S. Elena, e l'Austria avea occupato
il Lombardo-Veneto; Hayez fu chiamato a Venezia per fare il
quadro La pietà di Ezechia destinato a simbolizzare
la situazione politica dell'Italia in seguito a quegli
avvenimenti. Il nesso tra il fatto e il simbolo non è ora
cosa facile da cogliersi. Allora s'intendeva così:
Prima del regno d'Ezechia c'era stato in Israello il regno
di Achaz, l'empio re di Giuda, sotto il quale, chiuso il
tempio, s'erano adorati gli Dei falsi e bugiardi. Ezechia
ristauratote del regno d'Israello ordinò si spazzasse il
tempio da quelle immondezze e si purificasse il santuario.
Nel quadro l'empio Achez era Napoleone, gli Dei farsi o
bugiardi i principali sovrani da lui creati, Ezechia era
l'Austria, e, meno male, il santuario l'Italia. Era un
quadro politico per commissione del Municipio di Venezia.
I'Hayez lo fece lestamente e colla testa piena d'altre idee.
Egli avea studiato i Greci e Raffaello, era cresciuto in
classicismo, ma non ne era mai rimasto convinto; sino dai
primi anni del suo pensionato a Roma in lui ribolliva il
lievito della rivolta che dovea inaugurare in Italia la
pittura romantica. Singolare a notarsi per un artista che ha
attraversato i primi istituti accademici alla data della
loro fondazione; il germe della evoluzione per la quale
superò i coetanei, l'Hayez se
l'era inconsciamente innestato nella bottega dello zio
Binasco.
Quand'egli entrò nell'Accademia dove non rimase che due
anni, erano già cinque anni che dipingeva a olio, erano nove
anni che vivea in ambiente di quadri vecchi, tra i quali
abbondavano le pitture del Piazzetta, e lavoravano dei
restauratori che avean anora piena la mente della scuola
tiepolesca, la sola che abbia lasciata una traccia
indiscutibile, e persistente nelle opere di Hayez. Il primo
suo quadro opposto all'insegnamento classico avea un titolo
piuttosto lungo: Pietro Rossi chiuso dagli Sealigeri nel
castello di Pontremoli riceve un messo della Repubblica
Veneta che lo invita ad assumere il comando del suo
esercito. La sua famiglia tenta dissuaderlo prevedendo la
sua morte.
Prima di tornare a Roma volle vedere Milano e vi portò il
quadro che fu esposto o Brera alla mostra dell'agosto 1820.
In Milano si accentrava allora il movimento letterario
romantico; il suo quadro fece furore, parve una rivoluzione,
una rivelazione, l'incarnazione dell'idea dominante che
rendea cosa viva la polemica contro il classicismo; egli si
trovò di colpo diventato il maestro novo. Il marchese
Giorgio Pallavicini e il conte colonnello Arese vollero il
suo quadro: l'ebbe il Pallavicini e l'Arese gli diede la
commissione di una scena del Carmagnola del Manzoni; il
cavaliere Castiglia volle da lui un soggetto tratto dal'Ossian;
Caroni una scena dei Vespri Siciliani, e l'anno
dopo questi quadri compiuti meritarono la voga dell'Hayez;
altre commissioni gli piovvero e dopo d'allora egli fu
l'Hayez noto a tutti, il caposcuola della pittura romantica
in Italia, né si mosse più da Milano dove nel 1840 sostituì
il Sabatelli nella scuola di pittura a Brera.
L'elenco delle opere che l'Hayez fece seguire al suo quadro
del Rossi sarebbe per sè troppo lungo per un
articolo; si arriva troppo in ritardo a voler discutere
ancora l'arte così detta romantica, e la pittura di
Francesco Hayez che ne fu in Italia l'ultimo campione. La
gloria dell'Hayez sta nell'avar esercitato in Milano, per
mezzo secolo, influenza di caposcuola, e d'aver determinata
un'utile evoluzione artistica, fuori della zona delle
convinzioni del classicismo, d'essere il maestro d'una
scuola cha ha avuto una funzione storica da esercitare, e
che l'ha esercitata. Tra le opero più celebrate dal'Hayez
vanno citati i Due Foscari, Carmagnola, Maria Stuarda
che monta il patibolo, Betsabea, L'assedio di Patrasso, La
Vallière, Vittor Pisani, Marco Visconti e Bice del Balzo, La
Sete dei Crociati che si vede nel Palazzo reale di
Torino, fu, credo, il suo quadro di maggiori dimensioni.
Con queste opere che lo resero celebre, egli poté dirsi un
mortale fortunato: l'amore, la gloria, una bella posiziono,
una vecchiaja onorata, egli ebbe lutto; I'ultima sua
ambizione era quella di poter vivere 99 anni come Tiziano.
Verso gli ottantacinque cominciò a perderne la speranza, ma
la riacquistò presto, grazia alle cure della sua figlia
adottiva che gli procurarono una bella e dolce estate di San
Martino. In quel periodo I'abbiam visto tutti in Milano
portare colla civetteria del vecchio fiorente di salute Ia
sua calvizie veneranda ai funerali dei cultori d'arte e dei
vecchi amici che lo precedevano nel sepolcro; la sua bella
testa da doge veneziano spiccava nei funebri cortei a dava
loro imponenza. Così arrivò sotto ai novanta e li valicò;
non gliene mancavano più che nove, i più difficili, a
passare; appena cominciato il primo si ammalò e si riebbe,
ma era facile scorgere che il tracollo era dato; la luce
della vita gli si spense a poco a poco, il lucignolo era
consumato. Nato il 20 febbrajo dell'anno 91 del secolo
passata morì appena spirato il 10 febbrajo dell'anno 91
della sua vita. Una bell'età se anche non è quella di
Tiziano, ma sopratutto una vita operosa, una carriera
determinata dal principio alla fine dall'amore dell'arte,
esercita da artista, senza niun'ombra di maneggi da
faccendiere, e rallegrata dalla affezioni che sanno
meritarsi quelli che sono capaci di amare.
Francesco Hayez era di statua media, anzi forse un po'
bassa, ma ben complesso di forme, largo di spalle, di
robusta costituzione, avea bel colore incarnato. Da giovane
a Roma, quando si trovò libero della tutela della zio
Binasco, e si emancipò dalla austera disciplina di due
vecchie, presso le quali lo zio l'aveva messo a dozzina,
pareva avesse l'argento vivo in corpo, faceva dello
scommesse da acrobata, scalava di notte quant'è alta la
statua del Nettuno della fontana di Travi, tirava i
campanelli di notte alle case più tranquille, correa la vie
a occhi bendati senza toccare nè a destra ne a sinistra, con
un capannello d'amici; vestiva coma gli altri pensionati
italiani, m po' alla Raffaella, coi calzoni stretti e il
tocco di velluto; avea un cuore ch palpitava facilmente: un
marito gli fece tirare, una sera, sulle scale del palazzo di
Venezia una stilettata, che non colpi giusto e non ebbe
conseguenze, ma il Canoa, suo protettore, trovò bene di
fargli prendere il largo sino a Firenze, davo studiò qualche
tempo a spesa del grande scultore.
La sera prima che Hayez partisse per Firenze, tutto ad un
tratto si udirono delle strida nel cortile, dei gridi sulla
strada; un fuggi fuggi scompigliò una processione che stava
per entrare nella chiesa attiguo di San Marco; due enormi
serpenti, uno attorno alla vasca del cortile, l'altra
davanti alla chiesa.,svolgevano le orride spire, sollevavano
le teste schiacciate dardeggiandole le freccie delle lingue
aguzze, mettendo in tutti il terrore e lo spavento. II
sacrestano zoppicante che prevedeva la processione con uno
stendardo, s'era dato alla fuga facendosi il segno della
santa croce, e, le vecchie beghine si urtavano una contro
l'altra fuggendo, i preti scappavano alzando la sottana, e
il serpe ritto dinanzi la chiesa faceva le sue evoluzioni di
corpo, come per una a rappresentazione indiana. Quei due
rettili enormi eran circa tre metri, grossi in proporzione
ed erano nientemeno che i due pitoni celebri per aver
strozzato Laocoonte ed i suoi figli .... nel quadro di
Hayez. II giovane pittore li avea comperati per uno scrupolo
realista nel fare il quadra pel corso di Milano; erano due
mostri tanto orridi quanto innocui. Egli li avea sempre
tenuti nello studio, e al momento di andarsene, trovandoseli
tra i piedi, avea loro data la libertà, facendoli scivolare
dai merli del palazzo di Venezia.
Hayez seguiva il principio del nulla dies sine linea.
Quasi tutte le sere, finche visse, si esercitò a fare delle
composizioni a lapis, molte delle quali diventarono poi
quadri. E' difficile portare la finestra del lavoro più
avanti di quello che ha fatto Hayez in alcuni ritratti,
massime in qualche ritratto di sè stesso. L'ultimo ritratto
colla sola tasta su fondo di cielo, roseo d'incarnato,
eseguito quando la mano gli tremava e terminato l'ultimo
anno della sua vita, e invece trattato a largo tocco,
paolesco.
Nelle composizioni sorprendeva sempre colla novità
della trovata; non ho veduto il quadro della presa di
Gerusalemme, ei dice che non sia tra i suoi quadri storici
il meglio dipinto, ma per la composizione è veramente
originale e da un'impressione grandiosa coll'artificio, che
poi si è tanto usato, di lasciare una gran parte del
quadro vuota di figure.
Da quattro anni, passava molte ore del giorno seduto in
poltrona ad una finestra sopra il caffè Merlo, ora negozio
di antichità Guglielmetti. Si divertiva a vedere il
movimento del Corso e dettava dei ricordi della sua vita,
nei quali figurano artisti di tutti i paesi, principi, re
imperatori, aneddoti d'ogni qualità e qualche notizia
storica che forse non sì trova che in quelle carte.
L'ultimo suo quadro fu quello esposto l'anno scorso al
palazzo del Senato, un quadro di fiori per la contessa
Negroni, ma che, mi dicea, avrebbe amato veder figurare in
una pubblica pinacoteca.
All' Accademia di Brera ere professore di pittura sino dal
1840, quando smesse il Sabatelli; chiese il collocamento a
riposo nel 1879, e cessando da quella carica fu nominato
Presidente onorario dell'Accademia stessa.
In Italia, dove si imitano in tante cose anche assurde i
Francesi, si dovrebbero imitare nelle esposizioni postume
degli artisti celebri.
Non potrebbe l'Accademia di Belle Arti di Milano fare quello
che degli amici ed ammiratori hanno fatto in Francia per
Paolo Delaroche, per Ary-Scheffer, e in Italia per
Tranquillo Cremona ?
Questa sarebbe, credo, la più grande prova di stima ed il
più grande omaggio che potrebbe fare l'Accademia alla
memoria di chi ne fu per 40 anni il più celebre professore e
morì suo Presidente onorario
|
Luigi Chirtani |
|
|
|
|
|