XII. Questa attitudine che
suol mostrare un artista ad una specie di soggetti meglio
che ad un' altra mi sembra appunto un'ampia testimonianza di
quei confini segnati da Dio all'umano intelletto. Nè questo
toglie menomamente alla eccellenza dell'artista; ed io non
so qual de' due avrebbe riportato la palma infra Raffaele e
Michelangelo, quando il primo avesse dovuto dipingere a
prova di confronto un giudizio universale, e l'altro una
effigie di Nostra Donna, senza che per le vicende di questa
gara venisse punto ad oscurarsi quell' altissima luce la
quale circonda li loro nome. Così a me sembra che in questa
opera del concorso abbia fatto il Mancinelli quanto possa
fare un artista, com' egli è, ricco di doni naturali e di
pratica studiosamente acquistata, avendo alle mani un
soggetto ch' egli forse non avrebbe scelto a trattare.
Volle il Mancinelli in due punti essenziali differire
dagli altri concorrenti, nè ardirò dire per questo egli
mancasse alla convenienza o fedeltà storica, essendo due
punti ne' quali era lasciato a lui tutto libero il campo.
Gli parse adunque che intorno al vecchio dovessero star
meglio tutti quanti in ginocchio i figliuoli e tutti ad un
tempo, siccome gli è piaciuto di rappresentarli. Nè il libro
parla di alcuna attitudine uniforme presa da essi ne di
altro cenno fatto loro dal padre, se non quello di
raccogliersi intorno al letto e di ascoltare. Quindi
l'artista poteva usare il linguaggio dell' arte sua in
quella forma che a lui paresse, usando quei mezzi che più
potentemente servissero a render variato il quadro e bene
raggruppate le sue figure. Qui
mi ricordo infra gli altri di Niccolò Pussino che
nell'esprimere la istituzione della Chiesa e le chiavi
concedute a Pietro, non figurò nè il solo Pietro nè tutti i
dodici apostoli inginocchiati al cospetto di Cristo, anzi
fece quell' uso delle sue figure che meglio aiutasse la
composizione del suo quadro, ed una parte di esse fece in
ginocchio ed un altra in piedi. Ciò ch' egli non fece per
alcuna ragione puramente speculativa o metafisica, ma per
una ragione di arte Ia quale non deve in faccia alla prima
nè esser signora nè serva, quando l'artista venga a
circoscrivere il suo concetto nella tela o nel marmo. Quindi
nel dar giudizi o precetti del bello alcuni sommi filosofi
ai quali manca la conoscenza delle arti e de' loro mezzi,
non seppero discendere alle felici applicazioni delle loro
dottrine, e dall'altra parte i conoscitori più profondi ed
esercitati nel linguaggio dell' arte apparvero oscuri ed
incerti quando vollero risalire alle idee, ed alle ragioni
prime del bello. Esempi delle due mentovate imperfezioni
Emmanuele Kant e Giovanni Winckelmann , ciascun de' quali
apparve minor di se medesimo in una di queste due parti che
costituiscono la intera scienza del bello, sebbene il primo
fosse un sottile ragionatore, e l' altro fosse principe fra
gli scrittori i quali si fecero a studiare e ragionare sul
bello dell' arte greca.
XIII. E che il Mancinelli abbia scelto
avvedutamente e con savio accorgimento questa universale
attitudine veramente non pare, tanto più ch'egli non è
pervenuto a distribuire quelle figure che una non nuocesse
all' altra di soverchio, anzi le ha in modo affollate e
strette che molte di esse non si mostrano se non in una
piccola parte del capo. Egli ha figurato il letto del
patriarca quasi nel mezzo del quadro e quasi volto di
prospetto ai riguardanti, superando o volendo superare le
difficoltà degli scorti e nel letto del morente e nelle
parti inferiori del corpo e in una mano che si distende a
benedire. Dal lato sinistro del letto vedi due soli
figliuoli, Giuseppe e Giuda, dall' altro lato nove figliuoli
tutti messi a schiera ed in perfetto ordine l'un dopo
l'altro. Ne' quali voile rappresentare tutt' i figliuoli,
tolto Beniamino che sta sul primo piano del quadro
ginocchioni ed appiè del letto a cui si appoggia col dosso
rivolto ai riguardanti. Dal che si rileva che il secondo
punto nel quale il concetto del Mancinelli si distinse dagli
altri si fu quello di rappresentare la benedizion di Giuda e
non di Giuseppe. Ma in quanto al primo, il vedere quell'
ordinanza uniforme di nove teste una vicina all' altra, e
immaginare tanti corpi rinchiusi, senza respiro, in
brevissimo spazio che malamente li può contenere, non è cosa
che piaccia all' occhio nè che persuada l'intelletto. Anzi
molto si dolsero (e parlo di artisti) non solamente che quel
luogo fosse troppo angusto a raccoglierli tutti, ma
ripresero le figure di quegli ultimi le quali pel rapido
digradare che fa il piano del quadro, non possono in ragion
di arte ne stare al tutto in piedi, ne poste al ginocchio.
Ed ho creduto di mentovare gli artisti perchè non mancasse
alle mie parole il conforto dell'autorità, ma non sarei
troppo ardito affermando che l'occhio altresì di coloro che
che non sono tali possa vedere in ciò quanto basti,
massimamente quando essi non mancano di alcuni studi
generali che oggi sono comuni ad ogni uomo. Cosi fu detto
parimenti che tenendo Giacobbe alquanto sollevate le
ginocchia e raccolte a se le gambe, non dovevano i piedi
toccare all'estremo inferiore del letto ch'essi avrebbero
oltrepassato nel distendersi. Nè fu lodata la mano che
benedice perchè rappresentata in pieno scorto si mostra all'
occhio meno che bella. Ma qui se alcuno troverà ingiusto che
nel parlare degli altri io non abbia riportate le
osservazioni fatte in ciò che più si avvicina ai confini
dell' arte, dirò che il Mancinelli ne ha dato maggiore
occasione volendo superare quelle difficoltà inseparabili
dagli scorti, nei qual è sempre malagevole il provarsi ad
uscirne con gloria.
E' però ritornando ne' limiti che mi sono imposto da
principio, non tacerò che a molti parve soverchia vita nel
corpo e nelle braccia del vecchio morente, il quale trasse
l' ultimo respiro subito ch' ebbe compiuto quell' atto
supremo della benedizione; nè l'acconciatura del capo o
della barba è tale che rappresenti il disordine di quel
momento e la morte vicina. In questo abbiam veduto con
quanto successo si fosse provato il de Napoli, che seppe
unire nella pietosa e veneranda figura del suo Giacobbe all'
abbandono del corpo quel solo tanto di vita che bastasse, e
non già nel corpo tutto intero, ma nelle sole braccia e nel
volto.
XIV. In quanto alla
benedizione di Giuda, avendo io manifestata innanzi la mia
opinione credo soverchio il ritornarvi sopra. Se non che
trovo difficile a ravvisare in qual modo abbia creduto il
Mancinelli di poter rendere riconoscibile dagli altri il suo
Giuda. Ed io raffrontando l'aspetto di costui a quello di
Ruben non trovo quella differenza molta di anni ch'era forse
una delle qualità essenziali a farli discernere, ed il Ruben
apparisce non solmente più giovine di Giuda ma eziandio di
alcun altro de' suoi fratelli. La qual cosa parve ancora
poco ragionevole in Beniamino, figura che fu trovata così
meschina e scarsa ne' fianchi da far intendere ben poco la
persona, sotto le pieghe di quella veste. E di ciò mi pare
essere stato origine appunto la
poca età nella quale ha voluto rappresentarlo; età di
fanciullo qual egli non era, già padre di molta prole. So
che non gli mancherà in difesa la facile dottrina degli
esempi, quelli di Beniamino e d'Isacco che furono
rappresentati le più volte in forme fanciullesche. Licenza
più scusabile in Isacco per l'attitudine che doveva prendere
sul Moria e per la qualità del sacrificio imposto da Dio,
meno scusabile in questo Beniamino del quale nessuno ignora
essere stata la sua nascita cagion di morte alla buona
Rachele, già da oltre a quarant' anni sepolta ed Efrata.
Quando io veggo per contrario nel quadro del de Napoli
seduto appresso al letto del vecchio uno dei figliuoli da
lui tenuto stretto con la mano moribonda , mentre altra si
distende a benedire Giuseppe, io dirò che quello è Giuda nel
quale quella predilezione paterna mostra ben chiaro essersi
trasferita la dignità di figliuol primogenito. E al modo_
stesso quell' altro seduto appiè del letto, e più vecchio di
quanti fratelli gli stanno d'attorno non può esser altri che
Ruben. Ma se una ragione particolare, quella di scegliere u
momento di maggiore affetto, poteva consigliare la
benedizion di Giuseppe, dicono molti che in quanto ad
autorità ed importanza nella famiglia non è Giuseppe punto
maggiore di Giuda, cosa che a me non sembra vera,
massimamente se tu consideri il momento del quadro
e la famiglia di Giacobbe per tutto il tempo che Giuseppe
gli sopravvisse.
Egli aveva chiamata presso di sè nell'Egitto quella numerosa
discendenza di oltre a settanta, e sostenutala col suo
patrocinio, e la nazione ebraica potè vivere tranquilla e
rispettata non perchè Giuda ne fosse il capo, ma perchè
Giuseppe se n'era fatto scudo e difensore, tanto che la mano
degli oppressori venne ad aggravarsi sul capo loro solamente
dopo la morte di Giuseppe. E sebbene fosse stato il
quartogenito già sollevato al rango di primo, non trovo
nella Genesi che a lui si rivolgano i fratelli dopo la morte
paterna, ma bene a Giuseppe, tremando nel cuor loro che non
volesse serbar memoria delle offese antiche e non volesse
pigliarne vendetta. Vane paure innanzi a lui ch'era il santo
de' fratelli, e che rispose ad essi di non temere. « Non
sono io in luogo di Dio ? io sostenterò voi e le vostre
famiglie. » Con le quali parole venne quasi a dichiararsi di
facto capo e Principe della famiglia infino alla uscita
dall'Egitto ch'egli prediceva ai fratelli, annunziando loro
il paese giurato ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe. Ho
dovuto udire i ragionamenti di molti filosofanti a voler
provare che più solenne fosse il punto nel quale il vecchio
costituisce Giuda alposto di Ruben ed annunzia la venuta di
quello a cui si appartiene lo scettro. Veramente io non nego
ciò, ed al nostro intelletto, second cristiani, deve pur
esser quello un momento di grande importanza, e voglio dire
suprema. Ma l'arte la quale ha sempre giusta ragione di
scegliere il suo bello dove risiede, e costretta tal volta a
procedere per vie diverse. Nessuno mi potrà negare che nella
ultima cena dove il Signore dava in cibo ed in bevanda le
sue carni ed il suo sangue ai discepoli, fosse questo il
momento solenne nel quale il sacramento veniva instituito
dal Divino maestro e fermato il patto novello. Ma non cosi
parve a Leonardo, e l'arte nella quale egli fu Principe e
legislatore trovò l'altro più bello nel quale il figliuolo
dell'uomo annunzia ai discepoli con quelle parole di estrema
amarezza che uno di loro lo avrebbe tradito.
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XV. Ma fosse pure Giuda o
Giuseppe il benedetto, vorrei trovar sufficiente ragione a
quella benedizione la quale dovrebbe esser compiuta con la
man destra e che io veggo fatta con la imposizione della
sinistra. Non vedo alcuna scusa, tanto più quarto era
facilissima cosa che la mano la quale accenna al cielo,
forse additando l'aspettato delle genti, fosse stata la
sinistra. Non avrebbe dovuto l'egregio autore che ricordarsi
un'altra benedizione raccontata nel capitolo
quarantesimottavo della Genesi, laddove Giacobbe avendo
innanzi a se i due figliuoli di Giuseppe, Manasse ed
Efraimo, il primo dalla sua man destra ed il secondo dalla
sinistra, distese in croce le braccia imponendo sul capo di
Efraimo ch' era secondogenito, la sua man destra. Della qual
cosa avendolo richiesto Giuseppe non volle il patriarca
rimuovere le mani dal capo de'suoi nipoti e dichiarò che
questo Efraimo cosi benedetto da lui con la destra doveva
essere più grande e potente nella sua discendenza al
paragone del primogenito Manasse. Queste cose che furono da
molti avvertite nel lavoro del Mancinelli non tolgono punto
a quella gloria da lui acquistata. Perocchè l'artista il
quale non è libero intorno alla scelta del suo soggetto può
talvolta dimostrarsi inferiore ad esso e talvolta men grande
della sua fama precedente; e quindi mancare all' opera sua
quella che si domanda ispirazione, ma non mai quei pregi che
gli sono essenziali e gli abbiano già dato fama. E non
potremmo non avvisare il Maucinelli formato e nudrito di
lunghi studi, e non ammirare lo special pregio del suo
cartone in quella nettezza de'suoi contorni ne'quali scorgi
la mano che non vacilla e quello che fu detto abito
dell'arte. Che se il Mancinelli ci parve in un'altra cosa
anche minore di sè medesimo, ciò è stato per suo volere
deliberato, siccome io penso, perch' egli volle far di meno
di tutti quei mezzi ch'erano in sua mano per commuovere
l'animo de' riguardanti con un' altra specie di espressione
nella quale sarei per dire che risieda la parte retorica
dell'arte. Il cartone per usanza universale di pittura è
sempre un'opera di apparecchio, ed ogni pittore ha tenuto un
suo diverso modo in questa che mi piacerebbe chiamare
anticipata rivelazione del quadro.
Alcuni vollero che in quanto a contorni studiosantente
ricercati nulla fosse a desiderare, e di costoro a il
Mancinelli. Altri che il cartone mostrasse loro più presto
una certa apparenza dell'effetto che il quadro doveva
produrre e studiarono il contrasto e l'accordo della luce e
dell' ombra, dal quale artifizio dipende in gran parte il
rilievo di un quadro tanto desiderato dal sommo Michelangelo
che soleva dir più bella la pittura quanto meglio si
avvicinava al rilievo. Non intendo inferire da ciò che il
Mancinelli avesse l'obbligo di cercare il suo effetto meglio
disponendo le masse oscure e chine del suo lavoro, ma dico
soltanto che il de Napoli fu più avveduto di lui nel
giovarsi di questo mezzo per piacere non solo agli artisti
ma a coloro che non sono. Per modo che dal cartone del de
Napoli ad un quadro compiuto molti trovarono breve passo,
parendo che solo il colorito mancasse. Ma quello in che
tutti sono, è il desiderio di vedere quando che sia compiuti
i quadri dalla loro mano, ed è quasi obbligo non minore a
colui che verrà trascelto che agli altri, i quali amando al
certo più l'arte loro che il posto desiderato, sentiranno
nell' anima un vivo bisogno di esprimere pienamente tutto il
loro concetto, cosa che non avranno potuto fare nella
pochezza e imperfezione de'mezzi conceduti ad essi dal solo
uso della matita.
XVI. Trovo ricordato nella storia delle arti
italiane lo splendido concorso aperto agli artisti perthè
venissero compiute quelle mirabili porte di bronzo in S.
Giovanni di Firenze che Michelangelo chiamava le Porte `del
Paradiso, tanto gli pareva gran cosa quella loro bellezza.
Erano più di trenta i giudici the la città aveva nominati a
dar sentenza ed erano grandissimo numero i concorrenti; ma
dopo la mostra de' lavori, tre soli infra questi erano
giudicati eccellenti, e troppo maggiori degli altri. Non può
essere che l'animo nostro non si sollevi e non trionfi di
gioia ripensando a quella gara e rileggendo quali fossero i
tre nomi solenni, Ghiberto , Donatello, e Brunelleschi. E'
fama che il Donatello avesse confessato al Brunelleschi
ch'egli sentivasi inferiore al Ghiberti nell' opera, e che
il Brunelleschi essendo della sentenza medesima in quanto al
suo lavoro, gridasse : « Giudici e popolo, udite. Donatello
ed io sentiamo che il Ghiberti è maggiore di entrambi e ci
ha superati, e noi cediamo volentieri il campo e ci
rendiamo, siccome vinti da lui ». Alle quali parole il
consesso de' giudici acconsentiva, ed il popolo rimeritò con
fragorosi e concordi segni di plauso l'esempio di tanta
virtù.
Non so veramente se la diversità de' tempi potesse farci mai
sperare atti cosi generosi come fu quello, perchè mi pare ne
tempi civili non che manchino le virtù ma sieno di altra
specie e forma di quelle che noi ammiriamo nelle più giovani
età delle nazioni. Solo non mi sembra ardito di sperare che
i giudici trascelti a dare il loro voto non abbiano e non
vadano cercando altro ispiratore che la loro coscienza, e
che la sentenza del loro labbro si accordi a quella
dell'animo, e bastano oggi i nomi de'giudici per confortare
questa nostra speranza. Qualunque sia il trascelto, gli
egregi concorrenti da noi mentovati sono in tale età ed
hanno tanta virtù d'ingegno che non mancheranno ad esso loro
altre prove da correre, e palme da raccogliere. Quando il
giudizio è giusto, gl' ingegni veramente grandi piegano il
capo innanzi alla suprema autorità del vero. Quando non è
giusto, oppongono la serenità dell' animo. Ed hanno sempre
bellissima cagion di conforto ripensando che agli uomini di
poca virtù non aggiunsero giammai nessuna gloria nè un
favorevole giudizio da essi ottenuto e non meritato, nè una
patente solenne la quale avesse loro dischiuse le Porte di
un'accademia.
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