Firenze, 08/01/1888 - Firenze, 08/10/1974
Nacque a Firenze l'8 genn. 1888 da
Adolfo e Vittoria Riboldi. Discendente di una famiglia
di artisti - sia il padre sia il nonno Carlo erano
pittori, come pure i cugini e biscugini Panerai e Bechi, trascorse gli anni dell'infanzia a Bellosguardo,
sulle colline fiorentine, nella casa frequentata dai
maggiori macchiaioli.
Dopo la morte del padre, nel 1897, il Bacci trascorse
alcuni anni in Germania: dapprima a Monaco di Baviera,
dove ebbe occasione di conoscere le opere di F. von Stuck e dei pittori secessionisti, poi a Norimberga,
dove visse eseguendo acquarelli e decorazioni su
porcellana.
Di nuovo a Firenze nel 1905, grazie all'interessamento
di Luigi Bechi venne ammesso all'Accademia a seguire,
tra gli altri, i corsi di A. De Carolis e di G. Fattori,
ma, insofferente di ogni disciplina ed insoddisfatto
degli insegnamenti ricevuti, ad un mese dalla licenza
abbandonò gli studi ed incominciò a dipingere per conto
proprio, sollecitato e sostenuto dai principali
esponenti della cultura cittadina, da E. Cecchi a B.
Cicognani, da V. Arangio-Ruiz a M. Marangoni a C.
Michelstaedter.
I risultati di quelle prime prove, il cui riferimento è
soprattutto a Cézanne, vennero presentati al pubblico
nel 1910 in una mostra a palazzo Gondi, insieme con le
opere del già affermato G. Costetti.
Nel 1911, sempre a Firenze, fu presente alla Mostra del
cinquantennio e conseguì il premio della camera di
commercio; quindi, l'anno successivo, andò a Parigi
ospite di R. Paresce e visse la stagione del cubismo e
dei fermenti futuristi, grazie ai frequenti contatti con
G. Apollinaire e G. Severini.
Ritornato per motivi di salute alla fine d'aprile 1913 a
Fiesole - ma alternò lunghi soggiorni anche in Svizzera
dove conobbe V. Kandinskij - si dedicò a sperimentare le
possibilità di scomposizione formale e cromatica offerte
dal futurismo in una serie di dipinti - Alle Folies
Bergères (1913), Risveglio (1913), Ansia (1913),
Mattino
a Fiesole (1914), Panorama di Firenze (1914),
Il tram di
Fiesole (1914-15), Artisti al caffè (1915) - che,
rifiutati negli anni appena successivi, recuperò e
presentò sia nel dicembre 1968 all'ultima personale
fiorentina alla saletta Gonnelli, sia nel gennaio
dell'anno successivo alla rassegna interamente dedicata
a quei dipinti, allestita allo Studio d'arte Hermes di
Roma.
Nelle opere del periodo giovanile il Bacci mostra di aver
guardato attentamente a diverse esperienze
internazionali - dal decorativismo secessionista (che
però non coltiverà) al cubismo - e di aver operato
infine una scelta in favore di un "costruttivismo" che
accoglie ed elabora nelle sue marcate strutture un
empito cromatico di relazione "espressionista"" (Ragghianti,
1967).
Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale (da
quest'esperienza nacquero due opere letterarie:
L'artiglio tedesco, Firenze 1915, e Come abbiamo vinto
l'Austria, Roma 1918), il ritorno alla serenità fiesolana
coincise con un nuovo fervore creativo: le grandi tele
dalle plastiche figure a grandezza naturale - donne
quiete e prosperose in interni consueti, sodi contadini
intenti al lavoro nel paesaggio bucolico - vennero
presentate alla Mostra internazionale d'avanguardia a
Ginevra nel 1921 e, l'anno successivo, alla Fiorentina
primaverile, dove una sala personale accolse quindici
opere.
Se per i dipinti precedenti il riferimento era a modelli
artistici europei, ora è la tradizione rinascimentale
italiana, e toscana in particolare, che fa da supporto
alla composizione di impianto classicheggiante;
tradizione della quale il Bacci propose, nel corso degli
anni venti, una rilettura critica originale ed autonoma,
ma in parallelo con i dettami che il gruppo milanese del
Novecento andava proprio allora sostenendo.
Così, nel riconoscimento di quell'affinità di interessi
e sintonia d'intenti, l'artista venne invitato a
partecipare sia alle due mostre organizzate al palazzo
della Permanente di Milano nel febbraio 1926 (presentò
Il figliol prodigo, ora alla Civica Galleria d'arte
moderna di Milano, e Donna maremmana del 1925) e poi nel
marzo 1929 (con I pini d'Acquaviva [Elba], Il bambino
e
La villa Dupré a Fiesole del 1928), sia a quelle
allestite all'estero: all'Esposizione d'arte italiana in
Olanda (Stedelijk Museum di Amsterdam) nell'ottobre
1927; all'Exposition du Novecento italiano (Société des
beaux arts di Nizza) nel marzo 1929; e alla Moderne
Italiener (Kunsthalle di Basilea) nel febbraio 1930.
Nel frattempo il Bacci aveva preso parte al dibattito
artistico collaborando ad alcune riviste; in particolare
nel 1922-23 rispose ad un'inchiesta, promossa dalla
rivista milanese Dedalo (III [1922-23], p. 797),
sull'insegnamento artistico in Italia e tra il 1927 ed il
'32 su Solaria firmò saggi sull'arte italiana da Masaccio
(Masaccio vivente, 1928, n. 12) a Cecioni (Adriano
Cecioni scultore, 1927, n. 5), oltre numerose recensioni
a mostre e pubblicazioni d'arte. Aveva inoltre
partecipato alla fondazione - con C. Malaparte, R.
Franchi, P. Conti e M. Tinti - della Corporazione delle
arti di Firenze, ed infine costituito un "Gruppo
novecentesco toscano", presentatosi in una mostra
collettiva alla galleria Milano di Milano nel dicembre
1928.
Sono di quegli anni i dipinti più significativi; accanto
ad un nutrito gruppo di ritratti, in cui è esibita una
sottile capacità di penetrazione psicologica - da quelli
di Matteo Marangoni (1919) e di Pietro Jahier (1920) a
quelli di Domenico Trentacoste (1923, ora alla Galleria
d'arte moderna di Firenze), del Maestro Luigi Dallapiccola (1930) e di
Maria Chiappelli (1933) -, si
hanno composizioni improntate ad un arcaismo solenne,
degne della migliore tradizione realista e naturalista
della pittura murale italiana: La nascita dell'agnellino
(1922), Le lavandaie (1924), Il buon samaritano (1925),
La bagnante (1926), Pomeriggio a Fiesole (1926-29),
La
cartomante (1929).
Verso la fine del decennio l'artista, che ormai aveva
raggiunto larga notorietà ed aveva partecipato a diverse
edizioni della Biennale veneziana (nel 1924, poi nel
'26, '28 e '30; fu presente anche alle successive
edizioni e, dopo l'interruzione dovuta alla guerra, nel
1948), venne chiamato ad eseguire gli affreschi con le
Storie di s. Francesco nel convento della Verna.
A questi, iniziati nel 1928 e condotti a termine nel
'40, poi restaurati per i danni della guerra ed
arricchiti di nuove scene tra il 1958 ed il '63, fecero
seguito altre realizzazioni di soggetto sacro: le tele
delle Opere di misericordia, eseguite nel '34 per la
chiesa di S. Francesco a Fiesole; il mosaico absidale
della cattedrale di Salerno (1952-56); il mosaico e le
vetrate della cappella dell'Istituto S. Provolo di
Verona e di S. Giuseppe Calasanzio di Milano (1964-65);
la vetrata monumentale della cappella Vaticana al
cimitero del Verano a Roma; la Pietà della Cappella ai
Caduti nella basilica di S. Maria del Sasso a Bibbiena.
Nonostante queste prestigiose ed impegnative
commissioni, il Bacci riuscì ad applicarsi costantemente
alla pittura di cavalletto che nel '48, al ritorno dalla
partecipazione alla seconda guerra mondiale, presentò al
pubblico in una rassegna alla galleria Gianferrari di
Milano.
Sono di quel periodo dipinti come Le belle mugnaie di Varlungo (1940),
Il vagabondo (1943), Interno (1948), Il
libro delle farfalle (1949), in cui il novecentismo
delle prove precedenti ritorna specialmente nella forma
di "realismo magico", stante l'atmosfera rarefatta e
sospesa che investe le composizioni.
Trasferitosi nel 1955 a Roma il Bacci proseguì accanto alla
sempre felice produzione pittorica - che nel '58 verrà
ampiamente illustrata nell'antologica intitolata Mezzo
secolo di pittura, al palazzo delle Esposizioni -, la
pubblicazione di testi ed edizioni critiche riguardanti
i macchiaioli. cui da tempo si dedicava: oltre a Diego
Martelli. L'amico dei macchiaioli, Firenze 1952, scrisse
L'Ottocento dei macchiaioli e Diego Martelli, ibid.
1969; già aveva curato la ristampa di Caricaturisti e
caricaturati al caffè Michelangelo di Telemaco Signorini.
Il Bacci morì a Firenze l'8 ottobre 1974.
Susanna Zatti - Dizionario Biografico degli Italiani
- Volume 34 (1988) -
treccani.it
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