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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti,
Milano-Roma, 1924-25)
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IL PITTORE ANSELMO BUCCI
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Ricordo la prima volta che vidi qualcosa di lui: fu durante
la guerra. Un alpino sulle pagine della "Illustrazione
Italiana", disegnato con un tratto di mirabile fermezza. E
il nome dell'autore mi si fissò nella memoria. Da allora non
lo persi più di vista. Lo seguii nelle citazioni dei
giornali, nelle riproduzioni delle riviste, nelle
esposizioni, notandone la ascesa continua, finché un giorno
la mostra personale tenuta alla Galleria Pesaro di Milano,
mi mise dinanzi tutta la sua opera. Erano 177 acqueforti e
116 pitture che andavano dal 1910 al 1923.
In mezzo il pittore alto, bruno, parlava con dei visitatori;
parlava tutto scatti nelle mosse e nella voce, vibrando
d'una vitalità tanto esuberante che non seppi rinunciare
alla tentazione di ascoltarlo. E già preparato a comprendere
da quanto avevo osservato in un primo rapido giro a traverso
le sale, la maschia vigoria che emanava dalle più sommarie
incisioni alle più elaborate tele, ebbi così dalla viva voce
dell'autore la miglior guida ad apprezzarla.
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".... già: a trentatrè anni. Il mio primo ricordo d'infanzia
rimonta all'età di trentatrè anni. Prima di allora tutto
quello che ho fatto è scemo e malfatto. Ma se volete qualche
cenno, raccolto per sentito dire, di quella preistoria,
eccolo qua. Sono nato nel 1887 da poveri ma onesti ecc.,
ecc., a Fossombrone, piccolo paese ecc., ecc., mio padre
voleva ecc., ecc.; ma io caparbio ecc., ecc. Breve : per
fanfaronata lasciai gli studi classici a sedici anni, quelli
accademici a diciassette, la famiglia a diciotto, e a
diciannove l'Italia. Commisi per fanfaronata parecchie
cattive azioni tra cui centinaia di quadri: e con i quadri,
ventagli, cartelloni, illustrazioni per bambini e per
adulti, etichette per bottiglie, ritocchi di fotografie,
miniature, pastellini, giovenche svizzere, ponti dei
sospiri, pergamene coll'oro puro, cartoline all'acquarello
..... Una vitaccia! Ma la Francia era allora un bel paese
così ilare e bonario e umano e intelligente che sei mesi di
pan secco potevano passare in un lampo, tanto la vita e gli
uomini e le donne e lo spettacolo erano in corrente di
simpatia con i tuoi modi di vedere, di sentire, di sperare.
Naturalmente, io non capivo nulla, io non capivo mai, e
credo nessuno attorno a me, dove finisse la voglia di ridere
e dove si facesse sul serio. Allora i Fauves nella vetrina
di Fagot jeune e i primi Van Dongen facevano inorridire,
estasiare la vecchia rue Laffitte; allora Matisse e Picasso
....."
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Mentre
Anselmo Bucci rievocava l'ambiente parigino di quei tempi
miracolisti, io ne cercavo nei suoi quadri il riflesso.
M'aspettavo vedere chissà quali sibilline stranezze
perpetrate sulle orme dei nomi che avevo udito pronunziare,
e invece erano vedute di Montmatre svelte, fresche,
gioconde. No, il giovane italiano vissuto nella Gran Bolgia
accanto alle caldaie degli stregoni, agli alambicchi dei
maghi e alle corazze di latta degli arcangeli non aveva mai
sposato le eresie. "Quando - colsi a volo dalla stanza
vicina ove ero passato per non apparire importuno ? i
cocktails del bar degli indipendenti mi sembravano
abbominevoli, correvo a berne un gocciolino di quel buono
alla taverna del Louvre: vino fresco in limpido bicchiere".
Benedetto buon senso che l'aveva salvato dalle mille
metamorfosi ove si persero le speranze di tante belle
promesse. E guardavo le tele dipinte in Bretagna, in
Sardegna, in Egitto, con le date del '12 e 13 durante dei
viaggi, fatti certo per riprendere contatto con la vita
vergine; tele dove era evidente la freschezza di una
sensibilità conservata in tutta la sua intatta e sincera
naturalezza.
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Mi
riavvicinai al gruppo intento alla parola del pittore che
continuava: "Allora Modigliani dipingeva certe teste
estatiche di donne trasognate e limate dalle cattive
abitudini in cui c'era, oltre Parigi, tutta la sua Toscana,
fine come una daga. Allora.... Ma poi venne chi capì. E i
dotti tedeschi, e i tragici futuristi, e gli innocui
cubisti. Ah, se ne videro delle belle! Venne la guerra.
Confesso che l'occhio limpido dei miei amici che partivano
ancora lo vedo, l'odor di canfora dei vecchi calzoni rossi
stesi al sole sui davanzali ancora lo sento, fu la prima
cosa seria. Tornai poco dopo in Italia".
Seguivo sul catalogo la narrazione di quelle vicende. Ecco
infatti del '16 '17 '18, tutti titoli di guerra, Tradotta,
Prima dell'assalto, Funerale di un Eroe, Crocerossina, San
Marco in Grigio Verde, Il Motoscafo, Navi a Trieste. E così
via cose uomini e paesi, un po' dappertutto, sulla linee o
nelle retrovie, un po' in tutti i modi all'olio o all'acqua
forte, espressi con un fare risoluto e immediato che segnano
il progredire dell'artista verso una sempre maggior presa di
possesso del vero e dei propri mezzi.
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"Mi
videro prima a Milano, poi al fronte, poi di nuovo a Milano,
poi al fronte, e poi, a cose finite sempre più spesso a
Milano e sempre più raramente a Parigi. È tutto qui. Non ho
più nulla da aggiungere. Ah si, perdio: la nascita! Fu nel
1920, che rinacqui. Stavo dipingendo non importa che quadro.
Il lavoro procedeva benone, da sé, come i vecchi cavalli o
le vecchie aziende, mentre cogitavo a non so che
appuntamenti, a che scadenze, o a che altri lavori. A un
certo momento vedo un'immagine di me stesso nettissima,
davanti agli occhi: mi vedo saltellante ai quattro lati di
una mensa riccamente imbandita a sbocconcellare e a
sorseggiare qua e là di tutto un poco, facendo dei cibi e
delle bevande un orribile scempio. Ed ecco che sulla parete
appare una scritta a lettere di caserma: Siediti e mastica
bene se sei un uomo. Allora dipinsi il Volo....."
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I
sorrisi e le esclamazioni che seguirono queste parole mi
tolsero d'udire altro. Del resto sulla vita e l'evoluzione
artistica di Anselmo Bucci sapevo ormai abbastanza. Sicchè
mentre il gruppo con lui si allontanava restai fermo dinanzi
al "Volo". Era un gran gorgo d'azzurro; d'un azzurro
sfavillante di luce ove l'azzurro dell'aria, del mare e
della terra lontana si fondevano rimescolati quasi dal
turbinio dell'elica che cerchiava lo spazio di scie
argentee: e la linea dell'orizzonte tagliava in diagonale
quel gran gorgo, proprio come fa quando, nel virare del
velivolo, sembra impennarsi e salire su su quasi verticale.
Problema più arduo sarebbe stato difficile trovare: eppure
l'impressione della rapidità l'artista aveva saputo
comunicarla senza l'aiuto di alcun primo piano, dando
all'atmosfera la consistenza impalpabile che chiunque nel
volare avverte come alcunchè di inaspettato e
indimenticabile. Egli era dunque entrato sul serio nel
segreto intimo del tema, e non s'era accontentato di
sfiorarlo. Aveva insomma secondo la sua parola, masticato.
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