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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, Milano-Roma,
1923-24)
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IL PITTORE FELICE CASORATI
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Ricordo l'impressione ricevuta dal quadro di Casorati, intitolato "Lo studio", la prima volta che lo vidi, ora è circa un
anno. Era bene un quadro d'avanguardia, eppure sentivo le sue affinità coi quadri antichi; mi parlava della nostra vita
attuale, ma in un modo che conoscevo perchè frequentavo i musei; non constatavo d'altronde imitazioni dagli antichi pittori
e dovevo convenire che si trattava di sforzi paralleli. L'impressione, non unica, era certo abbastanza rara perchè io non
fossi tratto a rifletterne le origini e le cause, i modi e i limiti. Così che mi domandai se quell'arcaismo apparente non
fosse di fatto il convergere di tutte le impressioni della realtà verso un principio di stile, oppure il tormento dei più
esasperati intellettualismi per giungere all'espressione di una sensibilità naturale. Anzi, richiamando agli occhi della
memoria il processo dell'attività casoratiana, da quel primo ritratto della sorella, ch'è del 1907, sino alla produzione
attuale, andavo accorgendomi ch'egli era sempre stato, nello stesso tempo, dentro e fuori della vita artistica odierna, e
che però l'antitesi fra il suo arcaismo e la sua modernità, tra il suo realismo e il suo stile astratto, trovava la
giustificazione storica in un certo carattere di provincialità, inducente a conoscer la moda dal di fuori e a diffidarne.
Non manca dunque tra l'artista e l'uomo un rapporto che è garanzia di sincerità. Casorati non è quel che vuole, ed è quel
che non immagina. I risultati sono già una sorpresa, e le sue possibilità sono innumerevoli. L'esame critico s'impone.
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Di famiglia lombardo-piemontese, nato a Novara nel 1886, passò la giovinezza a Padova, ove si laureò in legge nel 1907.
Non aveva sino allora toccato pennelli, amava la musica e continuava a studiare pianoforte e composizione, ripugnava al
positivismo di Ardigò e di Marchesini, senza una ragione precisa, così, per estetismo d'annunziano. La cultura, assai vasta
nella musica, notevole nelle lettere, limitata nell'arte figurativa, era sufficiente per distaccarlo dall'avvocatura, ma
non per orientarlo verso una speciale attività artistica. Ebbe allora occasione di frequentare lo studio di Giovanni
Vianello, e ne credette miracolosa l'abilità; ma non fu bene accolto, anzi deriso per l'insufficienza tecnica nella
riproduzione della realtà. Alla insufficienza della tecnica oppose la superiorità della cultura, e si credette antirealista,
e disprezzò Mancini perchè troppo vero, apprezzò Tito perchè elegante, e si dedicò allo studio degli antichi, di Tiziano
sopra tutto, che gli era troppo lontano, e non di Giotto o di Mantegna, che gli rimanevano vicini e ignoti. Cioè, allora,
Casorati era disorientato tanto nell'arte antica quanto nell'arte moderna. Mandò tuttavia all'esposizione di Venezia tre
quadri, ed ebbe la gioia di vedere accettato e lodato il ritratto della sorella. Onore inatteso che decise la sua sorte di
fronte a lui stesso e di fronte alla famiglia : divenne pittore.
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Nel 1908 si trasferì con la famiglia a Napoli dove rimase sino al 1911. Senza contatti con artisti napoletani, di cui non
comprendeva il valore, studiò intensamente dal vero e dai gessi in un isolamento donde poteva trar danno, se non avesse
incontrato nella Pinacoteca un vecchio quadro benefico: la "Parabola dei ciechi" di Pieter Bruegel. Giotto o Mantegna o
Tiziano non potevano insegnare nulla allora a Casorati, troppo semplici o troppo complessi, troppo rappresentanti del punto
d'arrivo della loro civiltà. Pieter Bruegel rappresentava invece tipicamente l'arte provinciale, rinchiuso com'era tra le
capanne di contadini, pur di conservarsi fiammingo e non perdersi dietro gli eroi di Michelangelo: la sua era una umile
realtà, il suo orizzonte era limitato, la rinunzia all'estensione favoriva l'intensità. Insegnamento questo, ch'era proprio
necessario a Casorati, e giunto a tempo.
"Le Vecchie" (pag. 241), il quadro con cui Casorati si affaccia all'arte, sia pur parzialinente, risentono della "Parabola
dei ciechi" non solo nel motivo d'insieme, ma anche nell' accentuazione caricaturale della realtà. D'altra parte il
"Meriggio", il quadro ultimo e non ancora finito di Casorati, risente, sia nel rapporto delle immagini col piano fuggente
sia nell'atteggiamento della figura centrale, di un altro quadro del Bruegel, "Il paese della cuccagna" della galleria di
Monaco. Eppure la personalità di Casorati è lontanissima da quella del Bruegel. Perchè dunque persistere nell'ispirarsi a
Bruegel a tanta distanza di tempo ? Forse un ricorso storico ? Ma di questo diremo.
Se a Napoli Pieter Bruegel giovava a Casorati, la letteratura gli nuoceva. Egli non dipingeva le "Vecchie" (Gall. di Roma)
per risuscitare un po' di umile realtà, ma per fare dell'allegoria! E vestiva di bianco la morente, di giallo la cattiva,
di rosso la contenta, e così via. Di questo passo arrivò alle "Signorine" (Gall. di Venezia, (pag.243) dove Dolores verde
vestita è la povera stupida borghese, e Violante è la damigella fragilità, e Bianca nuda è l'innocenza, e Gioconda è grassa
e ha già gustato la vita.
Stupidità ? No: il quadro fu dipinto nel 1911 ed esposto a Venezia nel 1912. Malgrado l'incredibile allegoria, gli effetti
di toni, di colori, di piani vanno facendosi ricchi; anzi "le Signorine" è il quadro di Casorati dipinto meglio fra quelli
anterioni alla guerra.
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Quando l'allegoria mancava, era peggio. Spuntavano i soggetti di genere, per esempio "La cugina" o "Le ereditiere", dove
Casorati si distraeva sempre più dalla pittura e si occupava soltanto degli occhi da civetta, che deliziavano il pubblico
plaudente. Al di fuori di simili o di altre distrazioni occasionali, Casorati insisteva sulle trovate allegoriche. Pensate
"le Vecchie" o "le Signorine", quante volte da lui ripetute, isolate o accompagnate, più reali o più allegoriche! Gli era
rimproverata la persistenza in un tema come prova di poca fantasia, ed era invece ricerca, era tormento. Modelli e idee
potevano variare all'infinito; non erano arte e non importavano. Solo dopo averli resi ben confidenziali, Casorati poteva
liberarsene: per l'arte. Proprio quello che rinunziava in fatto di estensione, guadagnava di nuovo in intensità.
Nel 1911 si reca a Verona dove resta sino al 1915. Non lontano da Milano, nel periodo più grave del futurismo, Casorati
sente il bisogno di rinnovarsi, ma non diviene futurista. E' noto che il futurismo, come erede e continuatore del cubismo,
non ha dato, e non poteva dare, un'opera d'arte: ma è meno noto che il futurismo conteneva in sè qualche qualità pedagogica,
in quanto imponeva la pratica dei rapporti fra i piani geometrici, degli elementi cioè della forma, che la tradizione aveva
perduto per via. Casorati era troppo disorientato e troppo provinciale per comprendere le necessità formali contenute
embrionalmente nel futurismo ; e sopra tutto egli amava l'arte antica con troppa pietà filiale per non sentire antipatia
anzi ripugnanza per l'iconoclasmo. D'altronde di solito Casorati resta in margine ai movimenti culturali e alle mode del
suo tempo. Leggeva il "Leonardo", "La Voce", "L'Acerba", ma chiedeva di rimanere in disparte; si tuffava in molte
disordinate letture, e non si abbandonava a nessuna corrente; si ammantava di scetticismo di fronte a tutti per affermare a
sè stesso la sua piena attività, per serbare a sè stesso i palpiti segreti. Egoismo felice, ch'era la sua migliore difesa.
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Ma la difesa non poteva durare. Vide Klimt, il viennese. L'arte decadente francese era troppo diffìcile, troppo piena di
stile e di tradizione, per poter essere intesa allora da Casorati. Klimt era più facile e faceva migliore effetto. Poi, le
orecchie ben musicali di Casorati udirono la pittura di Kandinsky: non più pittura, ma pittura?musica. Rivelazione ! senza
abbandonare la forma umana, toglierle ogni consistenza fisica, a fine di suggerire una vita più completa di quella reale,
perché universa anzi che individuale. Datano da quel tempo "La via lattea", "Le marionette ", il "Mazzo di fiori", le
prime "Uova sulla tavola" (pag. 244). La pittura era stata ridotta al grado di stoffa stampata. Per una semplice, e
d'altronde limitata esperienza decorativa, Casorati aveva di fatto rinunziato non solo all'arte, ma anche a sè stesso.
Sentiva la necessità di esprimere l'inesprimibile, non si contentava più di dipingere: e fondò una rivista, "La via lattea",
che visse tre numeri. Nel programma della rivista intese ribadire che "la Bellezza è il volto della verità".
Già dicemmo che
nelle "Vecchie" non voleva risuscitare la realtà, ma giungere allegoricamente alla verità. Tuttora, quando insegna,
s'illude d'insegnare la verità; se sa di dipingere oggi meglio che prima della guerra, crede dipenda dal fatto che oggi ha
trovato quel che aveva cercato prima invano: la verità. Nè prima nè dopo la guerra Casorati si è proposto come fine la
bellezza, bensì la verità, una "verità" che si oppone, chi sa come, alla "realtà". Nei suoi disegni di circa il 1909 egli
vedeva la realtà sotto l'aspetto dell' "incisivo". Non per nulla egli ha amato prima Bruegel, poi Klimt. Se non che egli
credeva che il suo "incisivo" fosse una realtà empirica, e vi contrapponeva una verità artistica, che andava a cercare a
prestito nella letteratura (allegoria) o nella musica (Kandinsky). Nè si accorgeva ch'era assurdo andare a cercare la verità,
cioè la sua verità, fuori dell'arte e fuori di sè stesso. Non se n'accorse per molti anni, perché sopravvenne la guerra.
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