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(Fonte : Emporium - nr 272 - Agosto 1917)
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Il pittore Anselmo Bucci - Disegni di guerra
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In una briosa e sintetica conferenza che il giovine pittore
Anselmo Bucci venne recentemente nel Palazzo di San Giorgio
in Genova a illustrare una mostra di suoi studi di guerra
ivi raccolta, egli parlava ampiamente delle immense
difficoltà che la guerra presenta all'arte pittorica che
tenta di fissarla in forme tangibili.
E diceva : "Tutti sanno meglio di noi, che l'abbiamo
guardata da vicino, che la guerra è invisibile. E' arcinoto
che questa guerra plasticamente graficamente non esiste: è dramma
musicale non è spettacolo. Essa non può divenire un pretesto
pittorico: le lance e i gonfaloni di Paolo Uccello sono
relegati coi pennacchi di Meissonier e le nappine di
Detaille nello stesso passato vertiginosamente lontano. Nella
raffigurazione di questa guerra dovrà scomparire molto.
Scomparirà forse il visibile. L'Invisibile dovremo
dipingere. E la Vittoria si dovrà dipingere. Gesto diffuso dalla massa grigia, brivido
che corre, parola d'ordine taciuta e che tutti indovinano
nel frastuono, sensibilità che percepisce fisicamente i
contatti lontani e si allunga fino alle estremità della battaglia,
liberazione da ogni ingombro; Io che si dilata, si diffonde,
afferra una zona strappata al nemico, comunica la sua magnetica gioia di possesso alla Terra".
Così quel giovane artista di alto ingegno e di sicuro
avvenire ha inteso la raffigurazione della guerra odierna.
Di essa ha analizzato i valori, ha penetrato la più remota essenza,
intuito i più significativi aspetti, ha fissato gli attimi
più fuggevoli in una continuità rinnovata. Ha saputo così
fermare visioni rapide, qualche volta fulminee, con una verità di
segno che sorprende ed attrae, con una verità di segno che
oltrepassa spesso l'inespressività della perfezione lineare,
ma che acquista nella rapidità concisa tutto un sapore efficacissimo
di una inafferrabile visione trasfusa in noi con invidiabile
giustezza.
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Poichè ciò che caratterizza meglio l'arte di Anselmo Bucci
non è il frammento episodico della guerra ben disegnato e
bene composto, e che è fine a sè stesso; ma tutto l'impetuoso desiderio
che è dentro di lui perchè dal disegno o dallo schizzo,
comunque esso sia, traspaia più che la correttezza lineare
impeccabile, la significazione dello stato fisico degli esseri raffigurati:
la calma inerte e riposante di un alt, o la nervosa attesa
dei soldati in trincea, la vivacità scapigliata di un gruppo
di motociclisti, o il disinvolto cameratismo di colleghi di caserma.
Non solo senso di moto, anche raggiungibile con forme
accurate e diligenti di segno, ma indefinita vibratezza
dinamica; non solo senso di quiete, ma sensazioni di accasciamento o di riposo
o di sonno, assolutamente vere e nitidamente raggiunte.
Egli sente che non può un artista odierno rendere in una
grande visione tutta la vastità tragica e immane della
attuale guerra di popoli perchè la sintesi di questo turbinare di sentimenti,
di volontà, di grandi eventi storici, di vaste necessità
ineluttabili verrà più tardi per opera di qualche artista
grande, e non verrà nemmeno nella forma solenne illustrativa
dell'arte postnapoleonica di Meissonier, di Raffet, ecc.
Non può essere l'arte attuale riflettente la guerra un'arte
piana, rappresentativa perchè la guerra non è e non può
essere veduta; e non può essere simbolica perchè le alte ragioni e le
ideali finalità che trascendono i fatti e gli avvenimenti
sono di natura loro così inafferrabili oggi nel loro insieme
che un artista anche di genio farebbe opera monca o malsicura.
Anselmo Bucci ha visto attraverso le sue moltissime impressioni di guerra che era inutile tentare un'opera
grande e possibilmente completa: che era assai meglio afferrare e rendere con
frammenti tangibili tutte le minute parti di ciò che sarà
destinato a divenire la profonda opera d'arte futura. Egli
stesso, che sente che la pittura astratta è la vera pittura moderna,
aggiungeva nella chiusa della sua conferenza: "Senza sposare
le conclusioni estreme degli 'uomini di punta' noi crediamo
fermamente che la raffigurazione della guerra moderna debba essere
risolta da una pittura che tenga conto di tutte le
sensibilità contemporanee capovolte da questo ciclone, che
ravvicini, come soltanto possono il genio e la necessità, formule estetiche
lontanissime, e trovi per esprimere questo gigantesco avvenimento, un linguaggio".
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Dal non breve periodo di sua permanenza a Parigi a contatto
con le più audaci correnti d'arte moderna egli ha tratto un
maggiore impeto di fervore alla sua arte del bianco e nero già tanto
promettente attraverso le sue sapienti acqueforti parigine e
l'ha sconvolta sotto certi riguardi rinunciando a molte
garbate qualità di grafica perfezione ma aggiungendole una maggiore
volontà di progresso, quasi strappandosi da lei con un atto
di rinuncia pel pauroso timore dell'immobilità. Ha sentito
che l'arte pittorica odierna ha superato la forma e anela a completezze ben più alte di visione.
E sentendo questo con l'impeto della sua irrefrenabile
giovanilità egli frammezzo a qualche difetto, necessario del
resto per progredire veramente, ha affermato un desiderio di riuscire
che è il più sicuro segno del suo talento, e la garanzia più
certa del suo successo avvenire. Con la mostra di Genova, ove nell'ampio monumentale Salone
delle Compere al piano superiore di Palazzo San Giorgio egli
aveva raccolto 246 suoi studi di guerra di disegno e di colore
(tra cui molte acqueforti impressionistiche che usciranno in
albo a Parigi a mezzo dell'editore Dalignac), egli aveva con
volontà ferma e sopratutto con sincerità assoluta posto il tema
pittorico della guerra pur conoscendone tutta la vasta
difficoltà e l'infinita complessità così da sentirlo da lui
stesso definire pur attraverso tutta la sua attraente disinvoltura verbale
di pittore d'avanguardia: "tema così arduo che soltanto
l'atto di volerlo affrontare, può parere, ed è, temerario".
Ma a lui che è uomo di polso e di volontà, la temerarietà, se pure è
tale, segnerà per il domani la più sicura strada, gli
traccerà la linea luminosa verso profondi risultati di vittoriosa certezza.
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Luigi Angelini |
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