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(Fonte : Emporium - n° 197 - Maggio 1911)
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Arte retrospettiva e contemporanea all'
Esposizione Fiorentina di Primavera
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La vecchia Società Fiorentina per le belle arti —
sessantotto anni di vita - questa primavera offre una
Retrospettiva: l'anno del giubileo patriottico persuade alle
rievocazioni e alle revisioni. Altre già ne ha fatte con
buona fortuna la Società promotrice : ottima quella dei
macchiaioli toscani. Ma questa volta l'intitolazione
generica sembra promettere una revisione completa di valori
artistici, forse uno sguardo d'insieme all'arte di tutto il
cinquantennio: si chiama senz'altro Retrospettiva italiana e
pone il suo termine a quo nel 1862.
E veramente, girando per le sale e i passaggi del palazzetto
di via della Colonna - ora ampliato di alcuni nuovi locali -
ci si imbatte in qualche quadro che confessa la sua
giovinezza... di due generazioni fa. Non mancano modi d'arte
e di vita, motivi, costumi, che hanno già la melanconia de
le cose morte ieri, anche la rigidità delle cose morte ieri
l'altro.
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Così all'Accademia hanno tratto fuori all'illusione di una
seconda vita una Morte di Corso Donali di Raffaello
Sorbi, un quadro scenografico che ci riporta piuttosto al
Ciseri e al Cassioli che all'Ussi. Materialmente non avrà
ancora cinquant'anni, ma idealmente appartiene alla
preistoria d'Italia se, come Densa il Pascoli, la storia
incomincia soltanto nel '61.
Dell' età provetta di alte opere testimonia il costume che
rievocherebbe la loro giovinezza piuttosto alle nostre nonne
che alle nostre madri. SI pensa che le lettere ferme in
posta dovevano essere un'istituzione recente, quando Angusto
Rivalta, certo assai giovane, modellò il suo Ritorno
dalla posta - una signora in atto di leggere una lettera
piuttosto interessante - che è un'agile scoltura non ostante
gli impacci di una moda femminile punto adatta a secondare
l'agilità.
Qua e là, sotto le firme, parlano delle date quasi remote: è
del '72 il fresco bozzetto di Paolo Vetri, Le mummie,
ma ci riportano al '62 i paesaggi orizzontali e tranquilli
dell'Avondo, morto da pochi mesi, e al '64 la bella monaca
bianca, emergente fra toni bruni, di Edoardo Tofano. Non
saprei invece a che età ascrivere la pittura ingenua e
calligrafica di un Olirto Ghilardi che mi dicono essere un
vecchio pittore toscano vissuto quasi sempre nell'India, il
quale dipinge dei tipi dell'Imalaia certo più interessanti
per l'etnografia che per l'arte.
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A un tipo di pittura storica piuttosto antiquato ci
riconduce il Plauto mugnaio di Camillo Miola, che
viene dal Municipio di Napoli, una pittura composta, liscia,
minuziosa, ma non priva di una sua freschezza ridente. Alla
pittura sociale e commovente di trent'anni fa - riflesso del
verismo - ci riporta invece il grande quadro di Lazzaro
Pasini,
Soccorso, soccorso!: in una stamberga cupa una povera madre che muore e
un bimbo cencioso che se ne accorge e urla; pittura tetra
come la sua ispirazione, che non va guardata con occhio
soltanto pittorico. Su per giù agli stessi anni ma ad una
tecnica assai più brillante ci conducono le due impressioni
a pastello di Antonio Mancini, una delle quali, il
Capriccio di modella, molti conoscono; impressionismo a larghe chiazze,
discutibile oggi come quando apparve per la prima volta; ma
l'artista napoletano fa tacere la discussione con un altro
piccolo quadretto a due soli toni - Le scale
- che e uno dei gioielli dell'esposizione.
E, cercando qua e là per le pareti, ancora qualche quadro
che riflette dei momenti d'arte oltrepassati: la Caccia
medievale di Eugenio Dalbono, la passeggiata verso il
tramonto che Pio Joris intitolò Figlie patrizie e figlie
plebee. Anche più vecchio il paesaggio solenne e
taciturno di uno dei migliori fontanesiani, Carlo Follini,
Quando calan le ombre.
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Un po' raccolto e un po' disperso per le sale il gruppo
primogeneo della mostra, i toscani della vecchia guardia, i
due Gioli, Adolfo Tommasi, Ruggiero Panerai, Ruggiero
Focardi e Federigo Andreotti: onesti artisti sempre
rappresentativi della sobrietà toscana; sobrietà di colore
anche troppa, che però è compensata da tanta chiarezza di
segni e di idee. Ricompaiono i due grandi quadri del
Panerai, Il cavallo malato e ll guado, degni
di un Fattori meno movimentato ma più esatto, e ancora
cavalli e battaglie nei quadri di Luigi Gioli. A giudicar la
Toscana da questa sua pittura, la si crederebbe tutta un
allevamento di equini: la Maremma ha preso il sopravvento su
tutte le altre sue parti. Melanconica sempre la Toscana di
questi pittori, che la vedono senza sole: ma la vedono
esattamente e la rendono in ampie tele ben equilibrate, come
Egisto Ferroni quando dipinge le sue contadine e Francesco
Gioli le sue boscaiole.
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Non più luminoso di loro ma più chiaro apparisce il Focardi
nella sua vecchia Partila di bocce, che ha però la
disgrazia di risentire vagamente del quadro di genere.
Preferibili i Cavoli alla brinata di Adolfo Tominasi,
un quadretto che in piccole proporzioni costringe molto
spazio e dà il senso della stagione e dell'ora con rara
efficacia. Nella storia dell'ultima scuola di pittori
toscani i modesti cavoli che sono valsi a fare uno dei più
bei quadri della mostra hanno un valore quasi emblematico.
Così era un po' tutta la loro scuola: indifferente nella
scelta dei soggetti, presi a caso nel vero, abilissima
nell'esprimerne il valore pittorico. Non è male che una
retrospettiva sia anche istruttiva.
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Il male è che con le opere che ho rammentate e con poche
altre la vera retrospettiva è bell'e finita. Poca cosa per
una mostra d'intenzioni anche modestamente commemoratrici;
sproporzione numerica evidentissima rispetto ad un insieme
di quasi seicento pezzi. Non che le sale riservate alla
Retrospettiva non contengano altro, ma dei quadri e delle
scolture che vi compariscono, quelle che hanno vent'anni,
che appartengono a qualche ciclo chiuso, sono una piccola
minoranza; tutte le altre opere sarebbero più a loro posto
in una esposizione di cose inedite e nuove; molte sono
segnate con la data dell'anno passato.
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