Pietro Marussig è morto a Pavia il 13 ottobre scorso. Con
lui è scomparso un pittore d'alto rango; un artista che per
tutta la vita restò fedele alla propria vocazione; un uomo
d'intransigente onesta; un amico affabile e delicato. Nato a
Trieste nel 1879, internato in Austria durante il grande
conflitto mondiale, si era fatto conoscere a Milano in
occasione di una mostra personale tenuta. subito dopo Ia
guerra, in una galleria ora scomparsa. Allora i paesaggi del
Marussig erano piuttosto decorativi; erano cioè con contorni
viziati in una specie di arabesco ostativo, emanazione di
volontà e di gusto alla moda, più che di autentica e genuina
vena. Infatti con questi schemi di maniera secessionista,
monacense e quasi floreale, l'arte d'allora aveva calato di
fronte alla natura una specie di sipario che aveva impedito
la diretta ed intima comunione fra l'artista ed il creato.
Siffatta maniera il nostro artista l'aveva respirata
nell'aria, durante le sue peregrinazioni da Trieste, a
Vienna, a Monaco. Ma il Marussig vantava una severa
elaborazione spirituale, sofferta all'ombra delle crisi.
delle disorientate e sbandate ricerche di una generazione
verso la quale il destino non fu benigno. Nella sua prima
giovinezza, partendo da Cézanne, la cui arte forse conobbe
durante la sua permanenza a Parigi, ed accentuando il modo
pittorico in quelle astrazioni coloristiche, musicali che
erano accordate alla lira post-impressionista, aveva già
superate quelle fasi che impegnarono un po' tutti gli
artisti d'allora.
Così, di fronte ai quadri esposti nella mostra personale
milanese, gli artisti ed i competenti, malgrado i vizi
stilistici più sopra indicati, compresero di avere a che
fare, non soltanto con un pittore di non facile e, direi,
doloroso sviluppo, ma soprattutto con un autentico artista
di vocazione. Ed infatti il successo di questa prima
presentazione valse al Marussig l'entrata immediata in quel
gruppo di artisti che poi costituì la pattuglia del
Novecento; della quale egli fu uno dei fondatori e dei
principali esponenti. Si può dire che in Italia il Marussig
trovò se stesso. Anzi le sue migliori qualità sbocciarono -
è la parola - proprio in quel tipico momento di equilibrio
in cui le correnti contemporanee, nell'incrocio fra
neoclassicismo e verismo, trovarono una tregua, concessero
una riposata pausa alla travagliata coscienza artistica. La
quale, fra il deformismo futurista ed il deformismo nordico,
fra cui s'interpose l'istante di requie anzidetto,
rispecchiò, documentò e soffrì tutto lo smarrimento ed il
dramma della coscienza europea. Gli artisti infatti portano
sempre la croce degli errori altrui. Come se costituissero i
nervi scoperti e sensibilissimi della società, essi
avvertono, per primi, tutti gli squilibri di quella
collettività. La quale invece di riconoscere nello specchio
dell'opera d'arte le deformazioni del proprio volto, poi
negli artisti accusa e disprezza le sue stesse vittime
sofferenti.
Marussig era noto per l'equilibrio e
l'armonia. Così, in quel momento di tregua, il suo spirito
fiorì... D'allora in poi conoscemmo nelle nature morte le
sue intense ed originali colorazioni; nelle sorridenti
fanciulle in cappellino, fra i fiori e gl'istrumenti
musicali, il suo estro capriccioso ed elegante; nei
ritratti, quel colorire, approfondire od affondare nella
carnosa materia pittorica, che avvicinava al presente
antiche opere che il nostro artista studiò ed amò durante In
sua permanenza a Roma. Marussig, specie col paesaggio, aveva
gettato i ponti sul tragico abisso contemporaneo
riallacciando il suo tempo alla migliore tradizione
impressionistica. Erano dunque doppiamente significative,
nella loro ragione storica e nel loro ridente aspetto,
quelle arieggiate aperture quei tagli paesistici che
cantavano le vedute dei laghi od i colori quasi
fosforescenti della Riviera.
II successo morale non mancò al Marussig: egli era sempre
invitato alle principali mostre nazionali ed internazionali
ed ancor oggi vanta opere nelle Gallerie di Milano, Genova,
Trieste e, all'estero, di Montevideo, Mosca, Amsterdam e
Parigi. Tuttavia egli visse sempre appartato. Anima
meditativa, anzi eccessivamente contemplativa; intelligenza
educata alle migliori letture; spirito finissimo capace di
avvertire le più sottili vibrazioni della contemporaneità,
preferì la solitudine o la compagnia di qualche intimo
amico.
Ma Ia nobiltà dello spirito costa cara: Marussig, che da
giovane amava leggere fra i fiori del suo giardino, è morto
in aristocratica povertà.
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