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(Fonte : Bollettino d'Arte - Maggio-Agosto 1919)
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Necrologie - Cesare Tallone
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La morte di Cesare Tallone, avvenuta a Milano, nell'Ospedale dei
Fatebenefratelli il 21 giugno 1919, dopo lunga e tormentosa
affezione epatica, lascerà indifferente più di uno dei
moderni artisti e cultori d'arte. Ma se Cesare Tallone
dipingeva, oramai, alla vecchia maniera, con una cura quasi
meticolosa dei particolari e con una levigatezza che
dovrebbe considerarsi tramontata dalla pittura moderna, non
dimentichiamo ch'egli ebbe un passato illustre, che fino a
venti anni or sono fu celebre, e che si formò ad una scuola
la quale può rappresentare un avanzo ma, tuttavia, si fonda
sopra solide qualità di disegno, di composizione, di colore.
Nato a Savona nel 1854, il Tallone - ligure, dunque, e non
lombardo di origine, come molti credono e dicono - ebbe una
adolescenza che lo avvicina al suo corregionario Nicolò
Barabino. Egli cominciò a studiare presso un pittore di
Alessandria, il Sassi, uno di quegli uomini rimasti
nell'oscurità non ostante i loro meriti non trascurabili.
Passò poi all'Accademia di Brera, ove insegnava il Bertini,
uomo di ristretti orizzonti, che chiudeva l'arte in
determinati ed inviolabili precetti. Cesare Tallone, natura
più libera ed impulsiva, prese dall'insegnamento del Bertini
quel tanto che poteva giovargli a mettere le prime basi
dell'arte sua, ben guardandosi dal seguirne alla lettera i
precetti. Verista ed impressionista, il Tallone non tardò a
capire che doveva scegliersi da sè la propria strada se
voleva sviluppare tutte le qualità che sentiva in lui come
in potenza.
E iniziò quindi una serie di viaggi, avido di svilupparsi,
di perfezionarsi. A Londra si immedesimò della pittura del
Velasquez, a Parigi, a Venezia, a Roma approfondì e assimilò
Tiziano e Tintoretto. Molte delle sue opere di quel tempo
risentono dell'influenza che sul suo spirito esercitarono
questi colossi dell'arte. Ma Cesare Tallone seppe sfuggire
all'influenza dei suoi contemporanei: basti dire che la
stessa comunanza di vita con Antonio Mancini non lo fece
scivolare mai sul mancinismo, cosa, questa, notevole quando
si consideri il fascino che la pittura del grande romano
esercita su chi gli vive vicino.
Prima di dedicarsi quasi esclusivamente al ritratto, nel
quale portò tutte le genialità e i difetti dell'arte sua,
Cesare Tallone si espresse attraverso ogni genere di
pittura: decorazione, quadri storici, come La vittoria
del Cristianesimo, ispiratagli dal Gregorovius, e di
proprietà Borghese, quadri cosiddetti di genere, come il
Beone, la Massaia, Maternità, la Derelitta. In queste
sue opere già si nota una vivacità ed una sincerità di
colore non comune, oltre al senso del volume. Questo senso,
così ovvio eppure così trascurato da parecchi modernissimi,
egli portò, poi, nel ritratto, e non è esagerato dire fu per
lui uno dei primi coefficienti di successo. Il suo
temperamento di verista fece sì che il ritratto ebbe in lui
un pittore solido, vigoroso, pieno di gusto nella
composizione e nell'ambiente. Ma queste sue figure, se dal
punto di vista somatico sono di palpitante realtà, non
sempre esprimono un carattere, non sempre illuminano
un'anima. Per la preoccupazione costante, quasi assillante,
di rendere l'aspetto fisico delle persone, egli trascurò il
loro aspetto spirituale, e finì per riuscire un virtuoso del
pennello. I ritratti della Regina Margherita, della
Marchesa Clerici, di Lyda Borelli e molti
altri, lo attestano.
Da numerosi anni Cesare Tallone insegnava all'Accademia di
Brera, ove era venuto da quella di Bergamo, e dove ebbe una
legione di allievi. Gli stessi suoi figliuoli eredi delle
disposizioni intellettuali paterne, seguirono le vie
dell'arte; ma Tallone non li volle alla sua scuola, timoroso
di farne degli imitatori. E bisogna lodarlo di questa
serietà e probità. Essi si formarono sotto altri maestri, e
oggi il primogenito è architetto a Parigi ed il secondo
dipinge.
Una grande parte delle opere di letteratura amena, straniere
e nostre, è stata da lui illustrata con grande efficacia e
abilità interpretativa.
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A. L. |
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