|
(Fonte : Le Arti - Giugno-Settembre 1940)
|
Recensione del volumetto Campigli e i
busti
|
Da molti anni, attraverso le opere, conosco ed ammiro
Massimo Campigli che mi sembra il più squisitamente solido
dei pittori italiani. Ma la sua immagine viva mi è apparsa
soltanto oggi, nella fotografia d'assieme che apre la serie
delle riproduzioni nel volumetto stampatogli dal
collezionista e mecenate Carlo Cardazzo (Carnpigli e i
busti, Edizione del Cavallino, Venezia, 1941-XIX). E se
da un lato posso rimpiangere il non ancora avvenuto incontro
da figure mobili nel cinema sonoro della vita, da un altro
mi è particolarmente cara questa iniziazione alla conoscenza
fisica dell'uomo, come quella che ha una rispondenza più
stretta con l'intima qualità dell'artista. Eccolo seduto al
cavalletto. Sul fondo bianco della tela che gli sta davanti,
tre donne, in primo piano, si compongono e stanno nella
forma di un arioso triangolo. Più alta e come insediata in
un trono quella del centro; ai lati, le altre due, paiono
assise sui tacchi, e di qua e di là discendono quasi
ancelle. Ma trono e seggiolini non sono che impliciti nel
rigore geometrico delle rispettive soluzioni. L'apparente
regina svetta come fiore dalla corolla del busto alto
levato; di tra l'arco delle braccia prende aria la linea
incisiva della vita. Le mani giunte confluiscono
sull'appoggio lieve delle ginocchia. Nelle ancelle, invece,
dalla rosea svasatura di un petto procace, il segno scuro
del busto si smarrisce nel rimontare ad arco delle ginocchia
fasciate dall'ampia gonna e ricinte più in basso da quello
delle braccia. E nella regina, alto levata, le mani si
intrecciavano; mentre in quest'ultime l'arco più ampio le
fonde nell'astrazione del cerchio.
Se ne desume un effetto ieratico e strofico: lo sfogato
accento centrale, la nota alta e sola, discende ai lati e si
conclude nel disciplinato appoggio di due rime parallele:
grave chiusura di canto fermo e corale. In questo, come
d'altronde in tutti i quadri di Massimo Campigli costruiti
su vari piani, il realizzarsi della prospettiva è di un
ordine soprattutto spirituale: più che illusoria, allusiva
la creazione della sua profondità. Ecco, difatti, il secondo
piano: la piccolezza delle figure che vi si allineano dalla
destra verso la sinistra una donna esigua e slanciata si fa
schermo sul capo con la mano, la linea del braccio chiudendo
la composizione da quell'estremo e suggerendo quella
dell'ombrellino librato sulla coppia seguente; e una seconda
coppia è visibile, ma, un'altra donna è con evidenza
nascosta dal gran viso del pittore volto di tre quarti a
guardare il fotografo e deve concludere il ritmo adombrata
dalla prima che si faceva schermo - è di una qualità
pertinente all'ingenuo simbolismo gerarchico dei primitivi,
dato che i suoi figuranti sorgono immediatamente a ridosso
di quelli del primo, inalveandosi a gruppi nei vuoti spazi,
nei geometrici svasamenti, e che non c'è altra atmosfera se
non quella di un gran bianco, magico sfondo solare e quasi
desertico, naturale schermo per il miracolo dei miraggi.
E la regina, e le ancelle, statuiscono l'idea concreta di un
fermo canto corale, solenne, a voce piena, mentre i gesti,
l'ombrellino, il mosso e gentile atteggiarsi delle persone
là dietro sanno di flabello risolto in ondante leggerezza di
canzonetta, e di arpeggiato sorriso.
Seduto dinanzi all'opera, chiuso nel rigore lineare - vero
dramma d'oggetti - delle suppellettili dello studio: le
sedie, il cavalletto, gli elementi di un termosifone, le
cornici: il pittore ha la serena gravità di un innamorato
operaio: un costruttore di giuocattoli, un rielaboratore di
forme che sono, elementarmente, sempre le medesime. Ma in
esse, e con sempre più acuta sensibilità egli interroga dei
feticci divini, si che ogni nuova combinazione gli appaia
inedita, e viva, e rivelatrice.
Soggettivamente, Massimo Campigli è dominato dall'idea della
forma femminile: "Non a caso le donne dei miei quadri hanno
forma di anfore, di clessidre, di ghitarre. Io cerco di
rappresentare la donna nel suo archetipo, nelle sue
costanti, nelle sue forme di ieri e di sempre. Perciò la
faccio stretta in un rigido busto".
Ma pittore della donna in un modo per cui il criterio
temporale sarà condotto verso una specie unica, ossia
eterna, non per questo egli rinuncia alle delizie
essenziali, ridotte in ritmo allusione e profumo, delle
immagini rammodernate dalla natura, e cioè a una profonda e
deliberata storia del costume. Nelle sue pitture a olio si
traduce e racchiude, potenziato al millesimo, tutto
l'incanto del buon fresco, e dell'encausto. D'onde gli viene
la sua apparente, diretta discendenza dai pompeiani e dagli
etruschi. Ma ricordiamo, il suo modo di suggerire le
prospettive: le sue distanze sono irreali; in quanto nascono
sullo sfondo di spazi bianchi, incommensurabili, non le
misura occhio che non s'accomodi all'obbiettivo del cuore.
E passino dunque gli etruschi, i pompeiani, ma come termini
che non abbiano più ombra di consequenzialismo, di
determinismo storico. Anche nei loro riguardi, non può non
vigere la regola della prospettiva campigliesca. Affresco:
sulla suggestione profondamente spaziale di un bianco
intonaco le bevute del colore liquido rigerminano dal
profondo; affiorano, in apparizioni di forme esatte,
sagomate, squadrate. Niente accompagnamento d'ombre da cosa
a cosa, e per cui si venga a creare un glutine ambientale,
un'atmosfera imitativa della natura; ma, ed invece, fra le
solitudini degli oggetti isolati, le rispondenze armoniche
dei toni. Campigli ama i rosa, i gialli, i neri, ma, e per
esempio, i suoi rosa non hanno nulla di tenero nel senso di
un abbandono sentimentale alle possibilità espressive della
tinta e bensì si paragonano ai neri a una stregua di
identica vigoria: quasi diresti che li commentano, li
potenziano e li esaltano. E se in un pittore, e in un
quadro, italiani e moderni l'uno e l'altro, dovessimo
indicare un precedente di Massimo Campigli, non sapremo
volgere il pensiero che a Carlo Carrà e alla sua
Carrozzella.
La Carrozzella, prima, solitaria, perentoria
rivelazione per il suo stesso pittore, sarebbe rimasta anche
da sola un 'la' formidabile alla nascita d'una pittura come
quella di Campigli. E se Carrà prese tuttavia a svolgerla,
nei Romantici e nelle altre opere di quel torno di tempo,
Campigli ebbe il merito di restare al dono del primo
esempio, di crearsi un amore feticista per le sue donne a
forma di anfora, di clessidra e di ghitarra. D'onde la sua
fortunata partenza in un mondo, anche, di lunghe narrazioni
decorative, feraci di intuizioni psicologiche e, per esse,
di realizzazioni gentilissime.
Campigli parte e riparte da un punto fermo. La qualità
esteriore dei suoi oggetti e personaggi appartiene a un
artigiano mago, costruttore di giuocattoli. Ma è da quella
fermezza che si motiva la nostra definizione che non vuol
essere generica: il più squisitamente solido dei pittori
italiani. Dalla costanza del suo leit motiv il
mondo si trova, ogni giorno, a essere persuasivamente
riassunto e reinventato. |
|
Raffaello Franchi |
|
|
|
|
|