Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Le Arti - Dicembre 1941 - Gennaio 1942)

Una mostra di Ardengo Soffici

  I quadri esposti da Ardengo Soffici alla Galleria Barbaroux sono certo fra le testimonianze più felici dell'attività di un uomo la cui posizione (e in certo modo anche quella della sua regione, nella topografia culturale dell'Italia d'oggi) è contrassegnata dai contradditori aspetti di un destino romantico: uno sporgersi dell'impegno umano e dell'esigenza polemica di "civiltà" nella concreta realizzazione della pagina; capovolgersi di un'iniziale presa di posizione rivoluzionaria e innovatrice in una restaurazione che minaccia di passare all'opposto eccesso polemico, in una dialettica senza posto per l'equilibrio del giudizio valido; "conversione romantica" in ordine ai problemi della rivoluzione e della tradizione, del moderno e del classico. Testimonianze felici, comunque, ed in grado diverso, e con caratteri propri, da opera ad opera, queste pitture: com'è ovvio, proprio perchè l'intellettualismo esasperato di quel teorizzare senza altro centro che non sia la contingente (eppur spesso quanto mai opportuna nelle pur contingenti, ma non davvero prive di importanza, vicende della cultura) felicità di un atteggiamento didattico o polemico, si placa nella fedeltà ad un impegno pittorico, ad una realtà scontata sulla tela. Allora dimentichiamo il romantico peregrinare di Lemmonio Boreo alla ricerca dell'ordine tradizionale, e il traduttore di Waldemar George, ed Arno Borghi; allora l'autenticità di un mondo poetico la cui valutazione critica impegna a più responsabili definizioni che non sia il generico riferimento Fattori-Cézanne, sopravanza anche l'impegno d'una cultura brillantemente rivolta contro il cattivo gusto pompi eristico o falso-avanguardistico.

E ciò che di autentico problema rimane dunque in piedi di fronte ad ogni quadro di Soffici, esige la dichiarazione di quanto un particolare sentimento dello spazio risolva in lui l'esperienza di Fattori e la cultura dell'impressionismo in una visione cromatica tanto lontana dal colore di Cézanne come da quello dei Macchiaioli. Nei quadri che Soffici dipinse nel primo decennio del Novecento (La Mocca, 1904 e Campi invernali, 1907) il contorno mero che nelle tavolette toscane del secolo scorso riportava sul piano, attraverso un'incisività nervosa, i valori atmosferici risolvendoli in puro scanso cromatico, è presente, ma con diversa funzione: di sottolineare il ritmo geometrico e i volumi del costruire tonale di Cézanne. Di altrettanto questo si veste del drammatico sfaccettarsi delle pennellate, tendendo insieme al colore locale ed al monumentale: sono le premesse dell'adesione di Soffici prima al cubismo (esasperazione del colore locale sino alla zona preziosa della massa astratta dall'inviluppo atmosferico, alla sterilizzata condizione del "valore plastico", alla sistemazione dei valori classici o primitivi, umanità come soggetto privilegiato, ed umanità monumentale rivagheggiante Giotto e Masaccio) poi cubismo e tradizionalismo sono condizioni polemiche e la polemica limita, pur in una non smentita e assai rara nella purtroppo falsa storia della pittura polemica del nostro secolo nobiltà di misura, tanto le nature morte dipinte da Soffici cubista quanto gli affreschi e le composizioni dipinti dall'ultimo Soffici. Ma accanto alla Toeletta del bambino, La serva addormentata, le molte repliche del Fanciullo del fiore Soffici seguitava a dipingere paesaggi e nature morte di una esemplare limpidezza e di una singolare coerenza alle premesse di quegli anni lontani.

  Probabilmente questi paesaggi di Soffici hanno avuto una parte assai più determinante di quanto non si creda nello sviluppo del gusto italiano dei nostro secolo: il temperamento nativamente monumentale ha consentito a Carrà di riassorbire l'intento di una grave spazialità neogiottesca nel puro dato di colore, mentre esso resta, in Soffici, termine di opposizione dialettica ad una diversa visione cromatico-spaziale. Ma forse un attento confronto di date rivelerebbe in Carrà una stagione paesistica che non è se non la rivissuta esperienza delle "casette" coi muri a filo a piombo e le finestre allucinate di Soffici a suffragio di una educazione pittorica i cui frutti dovevano essere ben diversi. Perchè lo spazio in Soffici rimane sempre impressionisticamente subordinato alla qualità atmosferica del valore cromatico: e questa è tutt'uno con quella delicata e quasi scontrosamente sentimentale, malinconia e severità che con tanta gentilezza conduce alla condizione di una soffusa dolcezza la sua pennellata. L'apertura dello spazio rimane perciò intelaiatura, impaginazione di esemplare chiarezza di ordine persuaso e definito (le verticali dei cipressi e dei muri, le orizzontali degli orizzonti, le curve delle strade) con l'esclusione di ogni esaltazione espressionistica o drammatica. La pregnante lindura del periodare è forma interna non meno del dipingere che dello scrivere di Soffici.

Scrisse Cecchi, e proprio sulle pagine di questa rivista (Le Arti, 1938-1939, p. 244) : "II sordo colore dell'austera tradizione chiaroscurale fiorentina, il riflesso della maestosa monotonia che s'irradia dai fondi della Cappella Brancacci, bruciarono fin l'ultimo stelo e l'ultima corolla della lontana primavera impressionista. Nel massimo dominio dell'esperienza, nel pieno vigore dell'età, oggi Soffici s'afferma con la più armata e fiera volontà di stile. Non può a meno di credersi che se alla rubrica della sua letteratura e poesia egli non potrebbe ormai aggiungere che qualche codicillo, nella rubrica della pittura egli s'accinge a scrivere la sua pagina più ferma e più alta".
Ciò costituiva giudizio autorevolissimo e augurio sonante: visione concreta dello sviluppo di Soffici pittore nella multiforme cultura figurativa del nostro tempo. La chiarezza a cui si è sopra accennato, come lindura del periodare che diviene forma interna non meno dello scrivere che del dipingere di Soffici, rappresenta ora per noi il risultato concreto, che i quadri esposti alla Galleria Barbaroux testimoniavano: rappresenta, nella pittura di Soffici, quella pagina ferma e alta che il Cecchi auspicava.
     A. P.