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Fonte : Enciclopedia Italiana (1934)
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NOVECENTO
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Arte. - Sulla fine del 1922, nella galleria Pesaro in
Milano, un gruppo di artisti composto da Anselmo Bucci,
Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Pietro
Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi, a conclusione di una
vivace discussione sull'arte italiana e sulla sua
tradizione, iniziavano un movimento che il Bucci battezzò
col nome di Novecento. Il titolo sembrò presuntuoso, perchè
parve ad alcuno che volesse ipotecare in anticipo tutto il
secolo; esso voleva invece essere, in quei giorni grigi del
dopoguerra, un atto di fede e una parola d'ordine. I
componenti del gruppo, che, impegnati da vincoli di
cameratismo, lo adottarono, volevano soltanto, come fu poi
da loro stessi spiegato, concretare in un nome una verità
che sarebbe divenuta tangibile nel tempo e nello spazio, per
modo che, dicendo un giorno "arte del Novecento", così come
si dice arte del Quattrocento, del Cinquecento, del
Seicento, si avesse l'immediata evocazione di una visione
determinata; essi volevano soprattutto "proclamarsi
italiani, tradizionalisti, moderni" affermavano "di voler
fermare nel tempo qualche aspetto nuovo della tradizione".
Il 26 marzo del 1923 nelle stesse sale della galleria Pesaro
con un notevole complesso di opere ebbe luogo la prima
manifestazione dei Novecentisti, che nell'anno seguente,
auspice Margherita Sarfatti, si presentarono alla Biennale
veneziana. Nel 1926, ampliatosi il gruppo, s'allestiva in
Milano la Prima mostra del Novecento italiano, inaugurata
con un discorso di Benito Mussolini, il quale fra l'altro
dichiarò: "È lungi da me l'idea d'incoraggiare qualche cosa
che possa somigliare all'arte di stato", volendo significare
che lo stato non avrebbe dato la preferenza ad alcuna
tendenza in particolare. Seguirono alcune esposizioni
all'estero e nel '29 la Seconda mostra italiana di sapore
schiettamente polemico. Vivaci discussioni agitarono allora
il mondo artistico. Vinsero le avanguardie e ciò che era
sembrato scandalo divenne norma se non da tutti da
moltissimi accettata. In breve perfino la parola Novecento
divenne anacronistica per essere caduta nella spicciola moda
commerciale, così che si ebbero i tappeti novecento, i caffè
novecento, i mobili novecento.
Quale era il programma dell'esigua pattuglia che aveva dato
origine al movimento novecentista? Esso, disse il Pesaro in
un suo discorso, "è semplice e chiaro; vuol fare dell'arte
pura italiana, ispirandosi alle sue purissime fonti,
sottraendola a tutti gli "ismi" d'importazione e a influenze
che spesso snaturano i caratteri definiti della razza". E
così lo definì Margherita Sarfatti: "limpidità nella forma e
compostezza nella concezione, nulla di alambiccato e di
eccentrico, esclusione sempre maggiore dell'arbitrario e
dell'oscuro". In sostanza programma vago che non presuppone
finalità e tendenze esclusive di scuola; perciò la
composizione del primo gruppo novecentesco è eclettica. Essa
va dalla pittura nitida e recisa nel segno del Dudreville o
dalle stilizzazioni rudi e squadrate del Sironi al
concettualismo un po' letterario del Bucci; dal
neoclassicismo non privo d'interesse naturalistico, dalla
sincerità rude e provinciale, dalla forma talvolta disfatta
nel tripudio orgiastico del colore accentuato da segni neri
del Funi al quadro sensuale e borghese del Malerba; dalle
fresche improvvisazioni pittoriche del Marussig alla
rapidità spavalda, alle deformazioni e agli arcaismi formali
del Salietti e ai paesaggi di pacata tenerezza del Tosi, in
cui si dissimula tanta finezza tipicamente lombarda.
Anche le idee di tradizione e d'italianità,
programmaticamente con tanta rigidezza proclamate, non
apparvero in tutti fino dal principio altrettanto chiare
nelle opere, forse perchè si andarono affermando anche
attraverso l'assimilazione, la trasformazione e il
superamento dell'avanguardismo straniero. In questi
tentativi si determinò sempre meglio la passione per il
volume, per il rilievo, per la terza dimensione, per
l'accentuazione quasi cubica degli oggetti e, dopo tanto
trionfo di paesaggio, la figura umana tornò a essere il
centro programmatico di ogni attività artistica; la
composizione, intesa come architettura di volumi, si
sostituì alle divagazioni improvvise e sciolte del pennello
romantico. Il fatto che la costituzione del gruppo
novecentesco non fu subordinata a modi strettamente
particolaristici e a rigorose adesioni a finalità precise e
determinate di scuola, ne ha a poco a poco ampliata la
composizione fino a generalizzarla. Dopo la prima mostra,
nella quale preponderavano le direttive d'avanguardia,
aderirono al movimento molti, prevalentemente giovani e
lombardi, che con quelle direttive simpatizzavano: A. Carpi,
C. Carr$agrave;, M. Campigli, Penagini, P. Semeghini, E. Pratelli,
M. Vellani Marchi, G. Zanini, U. Lilloni, Canegrati,
Ghiringhelli, De Amicis, Del Bon, Carpanetti, Donghi, Bacci,
Ceracchini, Socrate, Fonda e altri.
Oggi, allargate ancora le file, il Novecento ha esteso la
sua azione alla scultura, all'architettura, alla musica,
cerca insomma d'identificarsi in ogni campo con l'idea
"sulla quale deve sorgere la personalità stilistica e
spirituale della nostra arte", e i suoi adepti si
definiscono come i primitivi di una nuova sensibilità.
Bibl.: M. Sarfatti, Segni, colori e
luci, Bologna 1925, p. 126 segg.; id., Storia della pittura
moderna, Roma 1930; V. Costantini, Pittura italiana
contemporanea dalla fine dell'800 ad oggi, Milano 1934, p.
241 segg.
Letteratura. - Per "Novecento" o "novecentismo" s'intende
quell'insieme d'idee, di programmi e di polemiche sull'arte,
che ebbe ad animatore Massimo Bontempelli (v.) e come organo
una rivista di questo titolo (900), uscita in Roma dal 1926
al 1929 e diretta dallo stesso Bontempelli. Riconoscendosi
in parte discendente del futurismo, il Novecento propugnò il
rinnovamento della letteratura inteso come instaurazione
d'una nuova "storia del costume", e quindi il disprezzo per
ogni forma di naturalismo, di psicologismo, di
sentimentalismo piccoloborghese, di estetismo e di
criticismo, e il culto dell'immaginazione, dell'avventura,
del rischio, del nuovo, della volontà come "magico" dominio
dell'uomo sulla natura; discostandosi dal futurismo
soprattutto nel sostenere di contro all'impressionismo
lirico, al frammentismo soggettivo e romantico, la necessità
della composizione, della costruzione, dell'obiettività,
d'un'arte (specialmente narrativa) consona al moderno
spirito italiano ed europeo, e però creatrice di nuovi miti,
"primordiale" d'una primordialità nuova, cioè non primitiva,
ma raggiunta attraverso tutte le passate esperienze.
"Realismo magico" fu infatti la principale formula dell'arte
vagheggiata dal Novecento: cioè scoperta nella vita
quotidiana, nell'uomo e nella natura, di zone di "lucido
stupore", di misterioso incanto. Altra formula fu quella
dello "stile naturale"; e il tutto è spiegato con una teoria
storica: l'umanità occidentale avrebbe percorso finora due
epoche, la "classica" fino a Cristo, la "romantica" da
Cristo alla guerra mondiale. Il secolo XX non comincia che
dopo la guerra, e inaugura una terza epoca, alla quale
debbono appunto ispirarsi i nuovi scrittori e artisti. Nel
quale programma, se è possibile trovare qualche traccia di
quel "richiamo all'ordine" e di quell'aspirazione al
racconto che erano e sono nella nuova letteratura italiana,
sono però da vedere non tanto i principi d'un vero e proprio
movimento letterario, quanto un particolare aspetto della
poetica del Bontempelli, una sua personale esperienza di
scrittore. Infatti la rivista 900 (che in omaggio al suo
europeismo e alla conseguente indifferenza per il "mezzo"
linguistico uscì in un primo tempo in francese) adunò
scrittori italiani e stranieri (M. Gallian, G. G.
Napolitano, C. Alvaro, O. Vergani, B. Barilli, E. Cecchi, A.
Campanile, A. Moravia, P. Mac Orlan, R. Gomez de la Serna,
G. Kaiser, J. Joyce, D. H. Lawrence, V. Woolf, I. Erenburg,
P. Romanov ecc.), assai diversi tra loro per temperamento e
tendenza.
Bibl.: B. Migliore, Bilanci e
sbilanci del dopoguerra letterario, Roma 1929, pp. 61-76; A.
Gargiulo, in L'Italia letteraria, 19 luglio 1931.
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Palma Bucarelli
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