NELLE ore pomeridiane del giorno 9 ottobre 1850, Napoli
era testimone di uno spettacolo tristo quanto commovente.
Una esequie percorreva a lento passo le principali vie della
città, fra il dolente silenzio degli spettatori ed il
rammarico di un immenso stuolo di artisti , non che di
persone ragguardevoli del paese, che seguendola, rendevano
al defunto l'estremo tributo di onore: ma il feretro, lungi
dall' essere affidato a mani mercenarie, veniva disputato
dal fiore degli uomini gentili , che quando erano obbligati
cederlo ad altri, lo facevano come a malincuore. La
moltitudine , d' ordinario indifferente, si sentiva suo
malgrado commossa a si pietoso spettacolo; e quando chiedeva
rispettosa e sommessa chi fosse colui che tanto amore ed
onore si aveva meritato, rimaneva come più mesta ed afflitta
udendo pronunziare il nome di GIUSEPPE CAMMARANO. Tutti lo
conoscevano, tutti eran dolenti della sua perdita. I suoi
dipinti ed i suoi allievi stan profusi da per ogni dove:
ottantaquattro anni spesi per l'arte meritavano questo
compenso. Non v'è sito reale o casa di magnate che non
possegga sue tele o suoi affreschi: non v'è maestro di
disegno o di pittura napoletano che non si vanti suo
discepolo. E? innegabile che la sua istituzione abbia
ravvivato in Napoli l?arte del dipingere, caduta in profondo
letargo dopo Luca Giordano e Solimena : cosa a cui non si
può pensare senza essere dolcemente commosso, come quella
che ti richiama alla mente le fiorenti scuole dei secoli
scorsi, crogiuoli in cui l?arte si depurava e perfezionava,
semenzai di tanti ingegni che talvolta ecclissavano la
gloria dell?istitutore!
Occorrendoci parlare spesso di pittori napoletani , ed
essendo stato Cammarano il ceppo, per cosi dire, di tutti i
presenti rami, è indispensabile accennare in poche righe le
vicende di questa scuola , se non una delle prime, certo non
dello ultime dell' arte italiana
(2)
La scuola napoletana , iniziata con Tommaso degli Stefani ,
raddrizzata da Giotto, venuto qui a dipingere appena salito
in Fama (1325), e mantenuta in onore dal Solario e da altri,
subì ancor essa la trasformazione portata nell?arte da
Raffaello; periodo a cui la iniziò Andrea da Salerno (1513),
e la sostennero i Santafede e il Caravaggio. Lo stile di
Michelangelo vi ebbe pure il suo riverbero: Vasari veniva a
dipingervi dei quadri che, secondo lui «svegliarono gl'
ingegni di questo paese » e Marco da Siena qui si stabiliva
e conduceva ragguardevoli fatiche. Ciò sino alla metà del
secolo decimosesto: allora il Tintoretto a Venezia, il
Caravaggio a Roma e i Caracci a Bologna aprirono alla
pittura nuove vie, e la loro maniera fu subito adottata in
Napoli dal Corenzio, dal Ribera e dal Caracciolo , ognuno
dei quali nomi corrisponde ad uno dei già citali. Queste
fiorenti scuole ci dettero Massimo Stanzioni, ed Andrea
Vaccaro, Mattia Preti, Aniello Falcone, emulo del
Borgognone, e Salvator Rosa, genio che si sprigionò e si
formò uno stile ed una maniera propria: ed ebbero un secondo
periodo nel Giordano , nel de Matteis e nel Solimene,
periodo cercato di protrarre da Sebastiano Conca (1764).
Dopo questo tempo la storia registra i nomi di Bernardo de
Dominici (lo storico), del Bonito, del de Mura ecc.; ma
confessa in pari tempo che la scuola era caduta, ed il gusto
perduto. Fra questi ultimi viene annoverato ancora un Fedele
Fischetti : alle sue cure fu affidato verso il 1778 un
giovanetto che si chiamava Giuseppe Cammarano.
Era figlio di un artista comico ed aveva dodici anni
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Un bel giorno dell'anno 1780 una brigata di forestieri, nel
salire il Vesuvio , si fermava a curiosare la chiesa di S.
Maria a Pugliano. Dopo di aver udito dal custode di essa la
pia tradizione che la vuol attribuita ad Apellone, primo
vescovo resinese consacrato da S. Pietro, veniva da costui
accompagnata a veder gli affreschi del camposanto attiguo,
allora in costruzione. Osservatine molti, si arrestarono
tutt?ad un tratto in faccia ad uno raffigurante un Cristo
portato al sepolcro; esso spiccava fra i precedenti per
arditezza d?idea e gusto di colorito. Altri gli succedevano,
che appalesavano la stessa mano; e presso all'ultimo,
incominciato appena, si vedevano, come lasciati allor
allora, i colori e i pennelli. «Il pittore è qui dunque? »
dissero essi; e rivolti ad un fanciullo che stava con altri
compagni giuocando sotto il tiglio secolare che si ammira li
presso: «Sai tu, gli chiesero, l?autore di questi freschi, e
dove sia adesso ? - Ma l?autore son io , rispose arditamente
il fanciullo, lasciando il giuoco e facendosi innanzi : in
che posso servirvi ? - Tu ? e quant?anni hai? ? Quattordici
, e dipingo sotto Fischetti - Vorresti venire a Roma a
studiar le opere dei sommi? Se lo vorrei!.. ne ho inteso
tanto a parlare: ma come posso lasciare la famiglia mia ?
Senza le mie fatiche languirebbe nella più grande miseria. »
II giovanetto diceva il vero : il teatro rendeva al padre
immensi applausi, ma pochissimo danaro. Ma Fischetti,
quantunque fosse il primo pittore dei suoi tempi, cominciava
a venir in uggia al Cammarano che si sentiva saper fare
meglio di lui; senza però conoscerne la maniera. D'altronde
questi ne frequentava lo studio perchè a quello non
mancavano mai commissioni , ed al professore conveniva
moltissimo avvalersi del discepolo: ma questo lavorare per
conto altrui era un boccone duro ad ingoiare. Era una
posizione difficile e critica la sua. Se avesse avuto mezzi
sarebbe corso a Roma a slargarsi l'orizzonte e l'intelletto,
far tesoro di quei capolavori, e fondarsi su quei principii
che erano ben altra cosa che quelli del Fischetti: se avesse
avuto mezzi, prima idea sua sarebbe stato disfarsi
dell'educazione artistica ricevuta, rimondarsi di quel
battesimo di mente, e rifarsi all?intutto sui luminari
dell'arte, genii ognuno dei quali ha fatto un passo verso il
supremo Bello; ma invece era obbligato a tinger tele per il
maestro ed a contentarsi della scarsissima mercede che da
questo gli veniva.
Quando non lavorava da Fischetti, dipingeva scenografia
sotto Domenico Chelli, capo delle decorazioni a S. Carlo:
quando queste fatiche mancavangli ancor esse si rivolgeva ad
altri. Così gli venne fatto di conoscere Hackert, che in
quel tempo adornava di pitture la regal casina di Cardito.
Per un capriccio di artista, questo rinomato pittor di paese
si volle avvalere, per le figure che gli abbisognavano, del
pennello del Cammarano, il quale vi pose nel farle tutto
amore e l?ingegno possibile. Quando i lavori furono
compiuti, Ferdinando I volle vederli: e nel mentre che se ne
mostrava compiaciutissimo col pittore, costui gli chiedeva
il permesso di presentargli un giovanetto che lo aveva
aiutato nella fatica. Il monarca fu sorpreso in mirare un
fanciullo, e volle che senza por tempo in mezzo partisse per
Roma e vi studiasse cinque anni; egli penserebbe al tutto.
Cammarano esulta: i suoi voti sono appagati, ed egli si
disseterà nei tesori della città eterna. Vi corre infatti, e
per venti mesi studia indefessamente, tutto indagando, nulla
trascurando: ma una malattia lo costringe a ritornare in
patria. Però quel tempo gli è bastato; ei ritorna con uno
stile sufficientemente corretto, sicchè riconduce a norme
pia ragionevoli il disegno che aveva del tutto smarrito la
strada: ritorna con un colorito più vero, giacchè si poteva
dire che prima di sui i colori venissero collocati a
piacere. Vedendo il bisogno che ve n'era, ei si decide ad
istituire una scuola; gli allievi vi affluiscono tutti i
giorni, ne lo lasciano più. In pari tempo è stretto da tal
quantità di commissioni che gli manca il tempo a tutte
adempierle; ma egli rammenta Luca Giordano e dipinge tutto
da se. Avevalo la natura dotato di una prodigiosa attività e
di una lucidità di mente, dote che e forse più della
fantasia bisognevole al pittore, come quella che lo preserva
dalle riproduzioni e dalla confusione nelle composizioni:
giacchè, in quella che la mano scorre celere, il pensiero
dev'esser limpido, onde ravvisar chiaro le idee della
fantasia e riprodurle nette e spiccate sulla tela o
sull'intonaco. Queste tre doti, accompagnate dal gusto che
castiga e depura eseguendo, formano il complesso che si
chiama genio e che pochissimi artisti han posseduto nel vero
senso della parola: attesocchè il genio non consiste solo
nell' arditezza dell' idea, nè è, come vogliono altri,
frutto di quella matura riflessione, sotto il cui impero le
opere di arte nascono stanche e come travagliate.
Enumerare tutti i dipinti del Cammarano non possiamo
quando non poteva egli stesso
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Fece quadri storici, favolosi, allegorici, ritratti, e
dipinse ad olio, a fresco, a guazzo, ed in tal quantità che
ne aveva perduto la memoria. « Dev' esser mio», diceva
alcune volte di qualche dipinto che gli veniva presentato e
che egli più non riconosceva : « dev'esser mio perchè ne
ravviso lo stile ». E il dipinto era veramente suo. E S.
Carlo ebbe anche pitture di lui, quando tutti ne volevano :
ei vi dipinse il sipario ed il velario, opere che fecero
grido nell'epoca in cui vennero esposte, e di cui l?ultima
forma ancora l'ammirazione del pubblico
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Emmanuele Taddei ne fece la debita lode nel suo « Cenno
storico sopra S. Carlo »; riporteremmo le sue parole se non
ci fossimo prefissi la maggiore brevità possibile. Al 1806
fu nominato maestro dell'Istituto
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ed egli ch'era stato sempre l' amico degli artisti cominciò
a divenirne il padre e il consigliere. Gli egregi scultori
Calì ne provarono più d'ogni altro la squisita bontà
dell'animo, e ne riceverono gli amorevoli ammaestramenti :
orbati di fresco del padre, trovarono nel Cammarano un padre
e un maestro. E così molti altri. Ne son queste frasi da
biografia. La generazione presente, per far mostra forse di
maggior avvedutezza di quella che ha, sorride sempre
incredula quando sente parlare di virtù altrui; ma a talune
non può non chinarsi rispettosa, e allora il suo
assentimento addiviene una incontrastata autorità. Così è
avvenuto con Giuseppe Cammarano.
Talune volte, come a sollievo delle sue occupazioni ,
lasciava il pennello per rinfrancarsi in ameni passatempi,
come la lirica, la musica, o più di tutto le
rappresentazioni teatrali. Molti suoi coetanei lo rammentano
ancor per questo, e con compiacimento. A quel che ne è
avvenuto dappoi, si sarebbe allora potuto dire che egli
invitasse quelle arti in famiglia per farvele educare e
rimanere, onde non potendo lasciar ricchezze ai figli suoi,
quel più prezioso capitale loro riserbasse; ed infatti essi
sono stati o sono quasi tutti egregi cultori dall'arte,
testimone quel Salvatore Cammarano, si immaturamente rapito
alla scena lirica italiana, nella quale aveva conteso
l?alloro a Felice Romani. Padre di parecchie generazioni di
pittori, se la sua mano si era coll'andar degli anni
infiacchita, la mente si era conservata la stessa, e seguiva
compiaciuta lo svolgimento e il progresso che vedeva
operarsi nell'arte dai suoi discepoli, le cui opere
contemplava con la più dolce soddisfazione. «E? un mio
allievo!» esclamava il buon vecchio nel vedere talune tele
che formavano l?ammirazione generale : «io ho cominciato,
essi proseguono, io mi son fermato, essi camminano». Questi
suoi discepoli erano Marsigli, De Vivo, Mancinelli, Morani,
Smargiassi, Catalano, D'Auria , Bonolis, ecc. Quale schiera
di egregi ! Chi volesse portar un giudizio sul merito del
Cammarano, dovrebbe considerarlo sotto il duplice aspetto di
istitutore e di artista. Noi abbiam visto al principio di
questo cenno come il seicento fosse la sola epoca fiorente
della pittura in Napoli, quella in cui i suoi artisti ebbero
un tipo ed una impronta propria, tale da meritare il nome di
scuola : e questo periodo, come si avvisa anche il Lanzi,
corre dal Bellisario al Giordano. Dopo quest'ultimo essa si
venne man mano disfacendo, cominciando a cadere dapprima,
come tutte le altre, nel manierismo dei settecentisti,
finché perduto forma e concetto, si ridusse in uno stato
deplorabile che se non era morte, era un' agonia prolungata.
Gli artisti più non furon che artefici decoratori, e
quest?arte sublime, che dev'essere il più potente dei
linguaggi, divenne ignobile e basso mestiere. La
restaurazione perciò di essa richiedeva non comune cura ed
accorgimento, e conveniva prima di tutto rimetterla sulle
vere ed eterne basi, dalle quali insensibilmente
distaccatasi aveva finito per rovesciarne. Era questa una
fatica penosa ed ingrata, ma senza la quale non era
sperabile alcun successo; e ad essa faceva mestieri più che
un genio prepotente, la pazienza di un professore avveduto
ed illuminato che interamente vi si consacrasse. Il
Cammarano vide ciò, e se non fece intera abnegazione del suo
ingegno ad esclusivo utile della istituzione che fondò, ciò
fu perchè assieme con i tempi comprese anche se stesso: nè
noi venuti dopo, ed allorquando l'opera sua principale ne fa
concepire lusinghiere speranze, possiamo in buona fede
dargli torto. Anzi gli esempi di lui in quell'epoca di
tenebre furono sprone alla sua istituzione e suggellarono,
per cosi dire, i precetti con che veniva educando quelle
giovani menti che tanto onore dovevano fargli un giorno.
Ma se la gloria di istitutore è in lui tale che superar
dee di necessità quella di artista, non per questo si
supponga che come dipintore il Cammarano non occupi un posto
ben distinto. Egli ebbe un pennello facile e fecondo, e se
il suo fare peccò di troppa restrizione, ciò non gli si deve
imputare a carico, come quello che venendo il primo doveva
andar di necessità cauto e riservato; che quand'anche avesse
posseduto facoltà tali da sperimentare uno slancio,
l?effettuarlo non era ne prudente ne a proposito. La qual
cosa va detta ancora del suo colorito che è sobrio e
temperato, ed affatto immune dalla pecca di eccessivo.
Giusta il gusto del tempo, ei dovè trattare assai spesso
soggetti mitologici, e lo fece molto acconciamente; ne sia
pruova il velario di S. Carlo, fatica vasta per quanto
pregiata, che raffigura Apollo che presenta a Minerva i più
illustri poeti ed artisti. Ma dove il Cammarano riuscì molto
fu nei quadretti di piccola dimensione, di cui la famiglia
possiede ancora una numerosa collezione; in essi van notati
principalmente i fauni, i satiri, e gli amorini e per la
loro grazia e sveltezza, e per l'espressione che portano
impressa sul volto; come anche le ninfe, che pare ti
guardino con una certa malizia che provoca il sorriso. Il
suo pennello fu dunque più interpetre di grazia, e come tale
si adattava meglio a trattar di siffatti soggetti che ad
adombrar vaste tele, ove invece abbisognaci potenza di
fantasia e grandiosità di mezzi: ma tutti i suoi dipinti
però rivelano gusto e accorgimento, e son condotti con non
comune diligenza. Senza dubbio quel fare superficiale e
plastico dell?epoca in cui dipinse non può di necessità
finirti, adesso massimamente che l?arte si studia con tutte
le sue forze d?incarnare nelle sue opere quel supremo
concetto che è l?anima di essa, e senza del quale non
rappresenterà che fantocci più o meno graziosi : adesso,
diciamo, fra i passi che sta dando fra noi, e quando la
critica che è col suo avanzarsi sicuro indirizzo del
progredire di essa, è usa veder ogni dì recate ad effetto le
sue esigenze del ieri. Che se ognun dei nostri tiene adesso
una via diversa, come nei primordi di tutte le cose, è
innegabile del pari che molti di questi singoli elementi,
presso artisti giustamente elogiati, han raggiunto un punto
molto affine alla perfezione; e che procedendo di questa
guisa non sarà lontano il giorno in cui sorgerà una scuola
che accogliendoli tutti in sé raggiungerà con quest?opera di
sintesi lo stadio di perfezione, a cui i presenti
individualmente, e diciam anche, a propria insaputa,
cospirano. Ed allora l?opera iniziata dal Cammarano sarà
compiuta.
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