Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte, 1925-26)
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Ritratti dipinti da Giovanni Fattori

 
Giovanni Fattori ne fu immune. Per questo fin dal 1908, quand'egli era ancora vivo, noi pronunciammo il suo nome accanto a quello di Paul Cézanne. Nella composizione il Fattori non mostra purtroppo nè esperienza nè buon gusto. Il disprezzo pei vecchi insegnamenti dell'Accademia e lo scarso studio degli antichi gli avevano tolto l'aiuto di quelli schemi e suggerimenti che con l'apparenza almeno d'una logica architettura hanno salvato tanti mediocri. II suo quadro manca per lo più d'equilibrio, e non resta nella memoria con la linea unica e sicura cui sanno appoggiarsi anche i più stanchi manieristi. dall'estremo cinquecento al neoclassicismo ottocentesco.

Mercati, manovre, battaglie, scene di butteri e cavalli in Maremma, sembrano e sono un confuso groviglio di figure spesso stupende di verità e di vigore, senza un principio e una fine, un centro e un circolo, un'arsi e una tesi. La sua memoria e i suoi mille appunti erano là a suggerirgli d'aggiungere, senza regola, qua un bue che calciava, là un cavallo che cadeva, a destra un artigliere con le « buffetterie » descritte fermamente una ad una, a sinistra due fanti sdraiati a dormire. Di tanti ricordi era ricco che ingenuamente ne spendeva quanti poteva. Si guardi, per non citare altri dieci quadri, questa « Marca dei puledri in Maremma » (pag. 259. 260, 261). Così i suoi dipinti più memorabili restano i più semplici, con poche figure nel centro e, intorno e dietro ad esse, l'ampio respiro della campagna, della foresta, del mare: le Boscaiole (7), il Riposo (8), la Siesta (9), il Casale in Maremma (10), Puledri in Maremma (11), i Battitori sull'aia (12): e questi ritratti.
 
Il più recente di questi ritratti è quello della signora Fanny Fattori, terza moglie del pittore, dipinto nel 1905 (pag. 267). I più antichi debbono risalire a poco dopo il 1860. Di questo gruppo che va dal 1860 al 1870 due soli sono datati: 1865, quello della signora Carlotta Fattori, cognata del pittore (13), (pag. 210); 1866, quello della signorina Siccoli (pag. 243).

Tra il 1859 e il 1861 s'ha da porre la rinascita di Giovanni Fattori. Dopo la pace di Villafranca, Giovanni Costa che per la guerra s'era arruolato nei Cavalleggeri d'Aosta, venne in Toscana, dividendo la sua vita tra la pace della marina pisana e le speranze che a Firenze le novità mettevano anche nel cuore degli artisti e che, proclamato il Regno, condussero alla prima grande esposizione italiana del 1861. Quel romano, fiero franco e signorile, che aveva combattuto per la difesa di Vicenza contro gl austriaci e per la difesa di Roma contro i francesi, che aveva conosciuto al lavoro Corot, Boecklin, Mason e Letghton (14), che sapeva tutto delle correnti e delle mode della pittura in Europa, apparve in Firenze ai pittori della Toscanina  come un profeta e un apostolo. Di novità i giovani pittori toscani ne avevano udite molte e vedute alcune, ad esempio nella raccolta dei recenti paesisti francesi a Villa Deminoff (15). Serafino de Tivoli, Saverio Altamura,  Domenico Morelli erano stati a Parigi all'esposizione del 1855, e avevano portate a Firenze notizie entusiastiche sul modo di dipingere dei nuovi romantici francesi, specialmente dei paesisti di quel gruppo che poi fu chiamato « la scuola di Barbizon » sebbene Corot, Troyon e Dupré non abbiano che per poco lavorato nella foresta di Fontainebleau dove lavoravano Rousseau, Diaz e Millet; e Daubigny mai. Leggo in un appunto di Telemaco Signorini: « Dopo che l'Altamura e il Tivoli tornarono da Parigi verso il 1855, impressionati dall'arte di Troyon e di Decamps. dipinsero un feroce chiaroscuro che più tardi dette la macchia. Sei anni dopo, nel 1861, Banti, Cabianca ed io, abbiamo dipinto la macchia. » Del Fattori non parla.
È che il Fattori fino allora era rimasto, taciturno, bizzarro e poverissimo, quasi fuori da quel fascio di ferventi polemisti. Ma il de Tivoli gli condusse nello studio in piazza Barbano Nino Costa. Questi ne guardò le macchiette, gli appunti, l'abbozzo di un gran quadrone sulla storia dei Medici. Poi lo interrogò, ne sentì l'anima generosa e candida e tramutò col suo fervore aggressivo il fatto artistico in fatto morale. Gli do mandò: - Ma tu sei un uomo o non sei un uomo? E non t'accorgi che tutti questi t'imbrogliano? - (16). Tutti questi erano per lui, i rétori romantici e un poco anche gli ansiosi riformatori del Caffè Michelangelo che volevano contro la vecchia chiesa dell'Accademia fondare una chiesuola con le finestre più larghe ma la porta più stretta. Mi narrava, un mezzo secolo dopo, il Fattori: - Da quelle parole ricevetti un'impressione che non ho più dimenticata. E fu per lui che cominciai la Battaglia di Magenta, e fu per lui che vinsi il concorso, e non volli far più che un'arte libera e mia, e non ebbi più fede che nei soggetti contemporanei. - Nino Costa nel 1897, a settanta anni passati, rispondeva a un saluto del suo buon Fattori ricordando i leali consigli datigli in quel tempo: " Tu sei stato sempre per te. Alla presenza della tua nobile schiettezza, il mio animo s'è rialzato e la mia voce ha pronunziato parole di verità delle quali tu hai formato precetti. "

Non oserei affermare che la conversione del Fattori a quell'intemerata del Costa fosse fulminea. S'incontrano nelle private raccolte fiorentine bozzetti e scenette militari del Fattori, tra il 1859 e il 1861, con soldati italiani o francesi (i francesi del
Lamoricière gli si vennero ad accampare proprio alle Cascine) trattati a macchie nette e squadrate e smaglianti che hanno addirittura l'aspetto dell'intarsio. Vi manca ogni gentilezza di chiaroscuro, ma v'è già la trama della migliore pittura fattoriana e la volontà di sillabare e quasi martellare le parole così che niente se ne perda. La stessa freschezza di colore e fermezza
di contorni è nel ritrattino del 1861, della Cugina Argia (pag. 237), semplice, casto e primaverile. Ma nel compiuto Ritratto della sua prima moglie, (pag. 239)  seduta, ben composta e soddisfatta nel vestito di seta frusciante, proprio da gran signora, dentro quella gonna tanto ricca da coprire con le sue onde i braccioli della solenne poltrona a fiorami verdoliva, il volto roseo raggiunge tra i capelli neri e il vestito nero una grazia fresca e popolana che è incantevole. La modellatura delle mani, delle pieghe e della faccia con le labbra tumide, gli zigomi sporgenti, il nasino infantile e il gioco dei lustri bigi e delle ombre nere nella seta spiegazzata, sono d'un pittore già provetto che sa quel che si fa, dal primo disegno all'ultimo tocco, e non lascia niente all'improvvisazione, niente al caso, niente fuori margine, padrone dell'occhio e della mano sua.
Anche a non osservare l'arte, solo a guardare il costume, si possono dare agli stessi anni, forse allo stesso anno 1865, il ritratto della cognata (pag. 240) e, poco dopo, il ritratto della signora B. (pag. 241). Nel ritratto della cognata la definizione dei piani raggiunge una sobrietà da affresco. Dal fondo della razza questo millenario mezzo d'espressione dei pittori di terra toscana adatto alla loro volontà d'isolare la realtà per dominarla, di semplificarla per capirla, di capirla prima di commuoversene, di rivelare l'armatura del corpo sotto carne e vesti, di trovare insomma la scultura nella pittura e l'architettura nella scultura, par rivivere in quest'uomo di quarant'anni, rozzo all'apparenza e modesto come un artigiano, ma radicato fin nel profondo della sua razza e storia. Guardate anche qui il campo dell'ombre definito senza paura anche nel volto e nelle mani, e il fondo nudo, e la tela occupata tutta dalla figura, senza divertimenti e fronzoli. Quand'ha davanti a sè un volto di vecchia come quello della signora B., non le risparmia una ruga; anzi una ad una le definisce, dalla fronte alla bocca, dalle palpebre alla palma della mano. Ma che un poco di bianco, d'un goletto o d'una manica di lino appaia fuor dal nero, e una delicatezza di trasparenze e riflessi sorge come un canto su dalla piana e virile prosa di questa pittura. Così s'arriva al ritratto Siccoli (pag. 243) che regge, nella finezza dei veli e delle batiste sulle rosee braccia e sul petto della giovinetta, anche il confronto con Goya e Manet, né si accontenta mai di suggerire, ma sempre disegna e dichiara.

La luce è quieta, la composizione modesta, l'espressione tranquilla: sono queste le donne della piccola borghesia toscana d'allora, solida e parca, pacifica e senz'ali. Le corrisponde la prosa asciutta e serena dei " toscani dell'ottocento " quale l'ha di recente studiata e scelta Pietro Pancrazi: Marlini e Fucini, Biagi e Barboni. Si confrontino a queste pitture quelle di Tranquillo Cremona, presso a poco in quelli anni. dalla Sposa e dai Cugini al ritratto della signora Deschamps dipinto nel 1875: nell'arte, vi riappaiono, di ricordo, la pennellata e le gamme della pittura veneziana; nell'espressione, il romanticismo lombardo or languido, or fiero, ma sempre un poco in posa per rivelarti d'un colpo non ciò che un personaggio è, ma ciò che un personaggio vuole essere. Eternità, nei grandi, delle nostre molte anime, regione per regione, inconfondibili.
Tra il 1870 e il 1880 vanno, crediamo, posti alcuni rapidi simboli dal vero, come il Martelli ad Antignano (pag. 246) e il Vecchio modello (pag. 217 e pag. 248) di colore brioso e di pennellata più rotta e sottile che corrispondono all'invasione fino in Toscana della vibrante pittura di Mariano Fortuny. Ma il Fattori seppe contenere la moda nei confini della ragione, nei contorni infrangibili del suo disegno. Ci si divertì e se ne valse per ravvivare la sua arte pacata e meditata. Erano gli anni nei quali Giovanni Boldini lavorava a Firenze, e Silvestro Lega gli dava il gusto delle armonie in rosa e grigio, azzurro e nero, che egli non ha più perduto. In questa fattura più briosa s'ha da vedere anche un effetto del suo breve viaggio a Parigi nel 1875, con Francesco Gioli, col Ferrosi e col Cannicci?

Egli al ritratto tornava ogni poco pel suo studio. Di clienti e di modelli eleganti non ne aveva, diremo, per fortuna. E si accontentava delle donne di casa sua. Così ci ha dato i due capolavori, dipinti nel 1889. Per questo ritratto (pag. 249) egli addobbò la signora Marianna Martinelli sua seconda moglie, con le vesti più pompose, con le catene, anelli, braccialetti, fermagli più lucenti e, le spalle strette in una giacca di lana grigia cucita in casa, i capelli neri pettinati a pera secondo la moda, la bocca socchiusa in un benigno sorriso, l'occhialetto aperto con signorile noncuranza sul grembo. le mani appoggiate sul fazzoletto bianco e sul ventaglio rosso, se la piantò davanti e se la dipinse. Ne è uscito uno dei più vivi e memorabili ritratti del nostro ottocento, con un involontario senso di caricatura che sa di Goya, tanto spietato e, nello stesso tempo, attento e innamorato è il buon pittore. Ma quando, subito dopo, pensò di ritrarre, seduta sulla stessa sedia, fermata nella stessa posa, la giovane e florida signorina Giulia, sua figliastra (pag. 251), vestita di un bianco « crema », col vellutino al collo, gli occhioni neri tondi e spalancati. nelle grasse mani lo stesso ventaglio, questa volta, aperto a metà, il contrasto tra la finezza dell'arte e la volgarità del modello scomparve, e Giovanni Fattori dipinse il suo più bel ritratto (17). Si confrontino la modellatura del volto nel ritratto della cognata (pag. 240) o della prima moglie (pg. 239) con la modellatura fusa e gentile di questo volto; la pennellata pastosa e pur leggera su queste vesti, con la pennellata squadrata e campita sulle vesti di quelle, e si vedrà in che consiste questa che diremmo terza maniera del Fattori.
 

La donna dai capelli rossi (18) (pag. 256), la Signora di Livorno  in nero pag. (252), la tragica Livornese con lo scialle (pag. 255) dipinta di profilo contro un fondo di fosco mare, sono da porre, ci sembra, negli anni intorno al '90. Ma quando il Fattori volle dipingere sé stesso ormai settantenne, nel 1894 (tav. fuori testo), ritrovò la rudezza della sua antica mariera. La grana della pittura è più ruvida, nei capelli e nei baffi il pennello è più lieve; ma il volto ossuto, il grave panno della giacca, il feltro del cappello son resi con la larghezza potente e risoluta duna volta; e dietro al volto, l'inquadratura d'un paesaggio e il cavalletto e le tele appese sul muro, con le loro toppe geometriche accentuano ancora una volta la somiglianza di questa arte con quella dell'affresco toscano fra il tre e il quattrocento.
 
Sta bene accanto a questo ritratto la Merca dei puledri in Maremma (pag. 259, 260, 261) che fu esposta a Venezia nel 1897 e che ha la stessa intrepida franchezza nel modellare e contornare cavalli e uomini. Delle più vigorose teste dipinte, crediamo, in quelli anni, il Lupo di mare (pag. 264), il Vecchio frate (pag. 265), il Ritratto d'uomo (pag. 262), la Contadina del Gabbro (pag. 266), è sopra tutto da ricordare la testa del Buttero (pag. 263) dove il Fattori s'è compiaciuto a modellare volto,  barba, giubba con una pennellata minuta e vibrante, rara in lui, ottenendo non solo un aggressivo rilievo ma una luminosità per cui par di vedere la luce correre sulla figura come la sfavillante acqua d'un ruscello sui sassi e sull'erbe.

Il ritratto della signora Fanny Fattori, terza moglie del pittore, un poco sfatto e, nelle vesti, confuso è del 1905 (pag. 267). Giovanni Fattori morì tre anni dopo.

Chi adesso guardi gli altri quadri di lui, piccoli e grandi, vedrà che solo confrontandoli a questi ritratti potrà giudicarli, dividerli nei vari anni, e vagliarne le maniere e la schiettezza. Questo ritrattista maestro non ebbe, ch'io mi sappia, nella sua lunga vita la commissione d'un solo ritratto. Tutti questi, ripeto, li dipinse per sè, per misurare ogni tanto l'arte sua e la sua forza su una figura umana, su un altro uomo: che è, anche per un artista, la sola misura certa e durevole.

 

Ugo Ojetti                   

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