Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, 1926-27)
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FERRUCCIO FERRAZZI, PITTORE

 
In un angolo remoto di Roma. una strada si snoda all'ombra degli eucalipti del giardino Brancaccio, chiusa tra gli alti muri, solitaria. Là, tra casipole nane, stalli, baracche, in fondo a un sentiero soffocato dai sambuchi, che ti par di essere piombato in aperta campagna, è lo studio di Ferruccio Ferrazzi. Libri e libri: diresti il rifugio di Un letterato, schivo e selvaggio. È invece di un pittore che ai libri è portato come a un pane quotidiano dalla sua natura pensosa. Di un artista che sa rimaner tale dipingendo ciò che commuove l'animo, a preferenza di ciò che inebria lo sguardo. Dirò di più, Ferrazzi è uno dei rarissimi che meditano, elaborano un quadro e non si appagano se non dell'opera compiuta, rifinita in ogni parte. E non per questo perdono la freschezza per istrada; anche se questa è lunga, e aspra.

Così, ogni quadro di Ferrazzi rappresenta l'elaborazione di un episodio spirituale della sua vita; e l'ambiente, l'esperienza varia della vita tanto influiscono su di lui da aiutare volta per volta profondamente il tono della sua arte stessa. Or cupa or lieta or tragica. Egli è nato trentacinque anni fa a Roma, ove, sotto la guida del padre ha copiato, giovinetto, le opere degli antichi per le Gallerie. È facile imaginare cosa gl'insegnassero gli antichi, dopo quello che già si è detto. Non tanto questo o quello stile pittorico, quanto invece l'aderenza assoluta dell'arte alla vita. Sono parole sue. E la dove s'affaccia nel volto scarno incorniciato dalla rada barba nazarena, un'anima ch'è insolitaniente profonda, s'accende, a quest'affermazione, di un fuoco anche più intenso.

  Nelle prime opere il giovanissimo palesa una decisa volontà di forma, di volume. Dopo alcuni bellissimi saggi dove è chiaro che l'adolescente sa strappare agli antichi qualcosa di più che un segreto di tecnica, eccolo ad imitare il Serra. Le due sorelle (1910) di proprietà Fiano, sono particolarmente interessanti per questo preciso indirizzo disegnativo. Dove per altro ai piani nettissimi, intagliati, non si unisce un'eccessiva preoccupazione del contorno lineare. Le due opere di Valle Giulia, il Focolare e la Genitrice, son composte a diciannove e a ventun anno. E Segantini è presente non soltanto nella tecnica, ma persino nel titolo, e nel simbolismo che scaturisce dal contrasto tra il titolo e il contenuto stesso del quadro. Pittura «a programma», a fondo innegabilmente letterario, che si camuffa all'occorrenza anche di vesti metafisiche. Kandinsky, con le sue ben definite intenzioni cromatiche e lineari, non è in fondo molto lontano da un qualunque pittore di complesse allegorie. Una scritta in ambo i casi è necessaria. Ed essa dichiara sì il contenuto, ma altera anche i rapporti tra l'opera d'arte e il nostro spirito.

Ora, la falsità d'impostazione nel Focolare (pag. 378), dove persino il formato sa di liberty, ha un'eco nelle forme stesse del quadro: la fanciulla a sinistra, in controluce, che siede alla mensa dove i presenti hanno un gestire che par quello di un rito, questa fanciulla in fondo non è che una quinta che fa da répoussoir. E la sua posa ricercata stona. Ma, d'altra parte il pittore si redime da queste pecche intellettualistiche rivelando una tendenza al compor saldo, a ricercare con chiarezza di piani la terza dimensione, il digradare delle figure nello spazio, e, su tutto, a ridarci un caloroso accordo di tinte. Le mani, i volti sembrano incendiati da non so che fiamma. Nella testa poi di fanciulla di fronte questo stile che va informando di sè ogni minimo particolare ci dà il pezzo più bello del quadro. E queste doti appaiono maturate nel dipinto al punto da farle credere non tanto lo sforzo iniziale di un giovane ventenne, quanto invece il resultato definitivo di un lungo tirocinio.

In Genitrice (pag. 379) del '12, il concetto si riduce sempre più strettamente a forma figurativa, se pure l'artista non ha conseguito ancora una piena indipendenza. Sono residui di simbolismo nella concezione. Sono residui divisionistici nella tecnica. E c'è persino una reminiscenza robustiana: traspare la sponda dell'abbeveratoio dietro il muso delle pecore. Perciò non è chiaro alla nostra sensibilità il significato di questo dipinto, dove è l'abbandono parziale del simbolismo e la ricerca, non vana, di un compiuto ideale pittorico. La composizione, costruita sulle diagonali, accenna un motivo che sarà ripreso più tardi, ma è qui ancora un po' sbilanciata. La veste della donna ha dei punti morti, delle parti opache, prive di risonanza. Pure si annuncia sempre più imperiosa la forza dello stile che tutto tende a coordinare, a subordinare. E il colorito si fa smorzato e chiaro, dolce e senz'ombra.

Ferrazzi non può essere un seguace esemplare di Segantini. Nemmeno a venti anni, quando le dedizioni sono intiere. Ne è impedito da una originalità che, per fortuna, non gli lascia chiudere del tutto gli occhi su sé stesso, quando è imbrigliato in un'imitazione. Ma mettetelo di fronte alla realtà, nuda e cruda, non preoccupato di comporre, a tu per tu con sé stesso e magari con lo strazio che lo porta a prendere il pennello come per uno sfogo qualunque, ed egli vi darà un'opera come questa: Mio nonno morente (pag. 380) ch'egli conserva. Vi si afferma, nonostante tutto e contro tutto, lo stile, mentre altri avrebbe rivelato facilmente un sé stesso diverso da quello che appare nei quadri destinati agli sguardi profani, e alla vendita. Sono anche di questa epoca Le due madri (Coll. Fiano) dove il soggetto ancora troppo intenzionalmente letterario è sopraffatto dalla forma, divenuta quasi una cifra decorativa di spiccato sapore previatesco.

Gli ultimi echi dell'influsso segantiniano si hanno in Presagio, tela del '14, che vince il premio Baruzzi. A questo punto l'artista è preso nel futurismo. Ma egli non rinnega, come facilmente si crederebbe, le sue innate doti di solidità. È un'altra prova questa che va tenuta nel debito conto. Bisogna convenire, che con la natura fin troppo meditata di questa pittura, peccante se mai di eccesso cerebrale, niente poteva esserle più pericoloso di un tuffo nel futurismo. Il senso innato della forma salva invece il pittore dalla bufera, che sembrò voler disgregare fin le più intime compagini dello spirito.

Solo il formato è scosso dal dinamismo invadente, ad esempio, nella tela Attesa del 1914: il formato, dal quale come è noto ogni quadro trae la sua ragion d'essere e determina uno degli elementi essenziali della pittura, il taglio, che è come la punteggiatura per lo scrittore. È questo un accordo di tinte chiarissime, e il soggetto quasi affoga in questa sottile ansietà cromatica e lineare. Ma il pittore subito si riprende. Già più solide sono le Donne a tavola del 1915. Il colore qui acquista, senza più intenzioni divisionistiche, pieno valore costruttivo; il modellato è pieno e rapido. E nel fatto atteggiato a voluta rozzezza vedi rispuntare, sotto altra veste, l'arte stessa del Focolare. Qui, e nel Carbonaio dello stesso anno, i colori son quasi puri ed è anche più sentito il ritorno della linea. È il momento in cui Ferrazzi concreta la sua volontà di forma, che in pittura sembra sfuggirgli, in una plastica, la Pietà (1915) della collezione Signorelli.

Nel disegno per l'Ospedale (pag. 381), che è del '18, il pittore dà a vedere come intenda, a suo modo, la famosa simultaneità di visione. Il futurismo c'è dunque ancora. Ma la linea riprende qui a dominare, decisamente. Il quadro riuscì poi multo inferiore; il disegno invece è l'opera più rappresentativa e più bella di Ferrazzi futurista. Espressa con l'aiuto delle diagonali che s'incrociano, questa profondità è allucinante almeno quanto il sogno di uno di questi malati avvolti nei loro lettucci. Nell'atmosfera febbrile dove la luce sembra accecare di riflessi le povere stanche pupille, vedi come la linea si deformi fino ad assumere uno squisito andamento decorativo e dia alla figura umana un contorno del tutto indipendente da ogni notazione realistica, ma sappia anche esprimere con un raffinamento esasperato da una personale esperienza, tanta inquietante profondità d'intuito.
 
È naturale che uno spirito capace di manifestarsi attraverso una cosciente deformazione della realtà con procedimento che oggi chiameremmo espressionistico, riuscisse tanto eloquente in un quadro come il Ballo (pag. 383), dove si rasenta la caricatura. Quadro composto con abilità straordinaria, vivo in ogni sua parte e che ci rivela una vena di osservazione caustica quale mai ci saremmo aspettata in Ferrazzi. Il piano dell'orizzonte, come nei quadri dell'esperienza futurista, è altissimo. La rozza orchestra a sinistra segna anche, per il modo come si presenta, il ritmo stesso del quadro.

 

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