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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte, 1922-23)
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Ritratti di Francesco Hayez
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Nella memoria della nostra generazione vive con il fascino e
col peso della sua popolarità. Gli amanti soavissimi uniti
per la bocca quali egli li immaginò nella visione morbida e
appassionata del Bacio offrendoli all'entusiastica
ammirazione de' suoi contemporanei furono l'espressione più
tipica del suo temperamento e della sua arte. Ma a certa
critica demolitrice, ventata sul finire del secolo di tutte
le rivoluzioni, apparvero come il "capo d'accusa" per
additare in lui il primo dei pittori romantici e,
logicamente, il peggiore dei pittori. Spentosi con la guerra
del 1914 il fanatismo demolitore dell'antico e screditato il
vangelo delle innovazioni ad ogni costo, ecco ritornare alla
giusta ammirazione in pittura come nelle altre arti, quelle
virtù di "mestiere" quelle abilità semplici ed eterne
ch'erano state disprezzate e ripudiate dai banditori della
nuova iconoclastia.
Si fece anche strada, poco alla volta, qualche correzione di
quella definizione sommaria, potendosi constatare che
l'appellativo di "romantica" derivava alla sua arte
semplicemente per analogia. Ma le rivoluzioni assunte in
Italia dalla Francia per imitazione, politiche o artistiche,
subiscono una non leggera deformazione e si equilibrano
sotto il nostro cielo, a contatto col nostro spirito che dal
gusto classico ereditario trae un costante freno alle
esagerazioni della passione.
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Si confronti il romanticismo di Hayez con quello di
Delacroix e quello dei Promessi Sposi con quello di
Nótre Dame de Paris! Una definizione della maniera
dell'Hayez è tanto più assurda, se si pensi che la sua opera
si svolge in un lungo periodo di tempo e può risentire delle
più opposte influenze. Tanto che la precisione dei contorni
e la determinazione dei colori, caratteristiche nei ritratti
dell'Ignota o delle Sorelle Gabrini</>, sono
rinnegate dalle ricerche pittoriche che contrassegnano le
opere dell'Hayez verso fine della sua vita. Questo
veneziano, milanese per adozione, occupa con la sua attività
pittorica, varia e infaticabile, un periodo di anni vasto e
miracoloso come quello che permise a Verdi di partire dall'Oberto
di San Bonifacio per arrivare al
Falstaff.
Francesco Hayez conosce, ama ed onora il Canova nel fulgore
della sua gloria, dipinge i primi ritratti accanto al
"pittore delle Grazie" Andrea Appiani, e può ammirare e
lodare nel declino della vita la nuova arte di Tranquillo
Cremona, dopo aver preso le difese della pittura
antiaccademica di Domenico Induno. Il corso e il ricorso
della moda gli concedono di contemplare quasi in malinconia
funebre il tramonto di se stesso e dei propri idoli
artistici; ma la sicurezza del buono e sereno lavoratore lo
accompagna e lo rinnova fino agli ultimi giorni come un
fantasma di giovinezza. Partecipa soltanto con l'arte alla
vita del suo tempo: è spettatore piuttosto che attore:
avverte meglio il trasmutare delle mode che non il maturare
formidabile dello spirito della sua epoca. Certa freddezza
ch'egli ha ereditato dai classici, certa dolcezza che ha
attinto dai romantici o che i romantici hanno appreso da
lui, lo caratterizzano anche meglio degli altri suoi
contemporanei maggiori.
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Come ha lo "stile" della sua epoca ed appartiene con le
virtù e difetti alla sua epoca, è, della sua epoca, il più
significativo. Definito principe dei romantici e più
impropriamente "Delacroix italiano", si avvicina invece col
suo genio più a Vienna tradizionale che a Parigi
rivoluzionaria; ma rimane soprattutto di una gentilezza e di
una soavità completamente italiane e si riallaccia ai
coloristi veneziani ch'era venuto studiando ed ammirando
negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza alla scuola del
Matteini, doge Lodovico Manin. La permanenza a Roma,
gloriosa di classicismo antico e nuovo, non muta troppo la
sua personalità e non la disarmonizza, e pur essendosi
formato nell'atmosfera dell'Impero trionfante egli ne rimane
immune: e si atteggia, più tardi, in reazione contro di
essa.
L'anno di tutti i portenti, il 1821, lo trova a Milano
centro del movimento romantico che facilmente lo abbaglia e
lo converte. Stanco di veder scolpiti e dipinti, miracoli di
santi e torture di martiri, episodii biblici od evangelici,
combattimenti o simposii di numi olimpici, il desiderio del
pubblico è volto verso i fatti della storia (o piuttosto
verso le immaginazioni della leggenda e le notazioni della
cronaca), che soddisfino le inquiete aspirazioni del
ridestato spirito nazionale o in qualche modo rispecchino la
morbosa febbre di vita, la complicata fantasia fiorita
mentre s'inabissa in un vuoto di silenzio e di stupore con
l'ideale e con gli uomini, l'epopea napoleonica.
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Il principio del diciannovesimo secolo fu, come la nostra
epoca, appesantito e sconvolto dalle tragedie dell'umanità:
in ogni uomo balenava il riflesso di una rivoluzione: negli
animi si dibattevano contraddizioni politiche, crisi morali,
religiose ed artistiche. La vita di ogni giorno rispecchia
le linee del dramma più grande; da Balzac a Daumier la
commedia umana appare il più degno soggetto
dell'osservazione e della ispirazione. Ed ecco il giovane
Hayez oscillare tra il vero della vita che lo circonda e il
vero della fantasia caro al gusto de' suoi tempi. Se la sua
pittura quasi "politica" (quella che si inizia con i "Vespri
Siciliani "), e pseudo tribunizia gareggia nella
combinazione dei soggetti e nella ricerca degli effetti con
l'artificio e con la sterilità dei melodrammi e subisce
fatalmente la triste sorte e poverissima di un'arte creata
piuttosto per suggerimento della moda che per emozione e
convenzione personali; dove e quando egli si trova di fronte
al semplice modello senza preoccupazioni di successo, il suo
squisito senso pittorico e la sua virtuosità di disegnatore
e di colorista, lo salvano. Anche i suoi personaggi storici
che parrebbero nati dalla fantasia sono da lui creati dopo
lunghi studii dal vero. Le più belle signore milanesi si
offrono a lui "modelle" per quelle aggraziate eroine. Una
certa grazia morbida e delicata e una istintiva sensualità
fanno di lui un pittore della bellezza, un idealizzatore del
vero.
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Hayez si definisce da se stesso con acuta introspezione
quando ammonisce i giovani perchè "si guardino tanto dal
tenersi troppo ligi alle regole dell'arte come dall'
imitazione materiale del vero: l'artista dopo aver ben
studiato sui modelli antichi le regole fondamentali
dell'arte, se è veramente chiamato a seguire le orme dei
grandi maestri, deve formare nella propria fantasia
l'immagine che egli eseguirà quando abbia trovato un modello
che gli rappresenti il tipo che egli si è formato nella
mente e al quale, copiando le linee esteriori, presterà
quella parte ideale che forma il bello nel vero".
Per questo nella pittura di ritratto egli rasenta alcune
volte la perfezione e spesso la raggiunge. Egli arriva dalla
osservazione esteriore alla penetrazione del mondo
spirituale. Il rispetto del vero gli giova ad essere preciso
e definito: la preoccupazione del bello lo induce a
idealizzare il ritratto. Una certa grazia raffinata e la
sensibilità naturale per la quale, a quanto raccontano i
suoi biografi, egli pianse tante volte per amore, fanno di
lui un attraente pittore della bellezza femminile.
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