Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte, 1922-23)

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Ritratti di Francesco Hayez

 
Divenne facilmente nella Milano di Stendhal il ritrattista alla moda: quella sua naturalezza nel disporre il modello, la finitezza dei particolari, l'interpretazione sicura e definita dell'umanità non disgiunte da una certa nobilitazione dei lineamenti e da una distribuzione decorativa dei gesti gli attirano per anni ed anni l'ammirazione dei contemporanei, e la reazione dispregiativa del periodo verista e impressionistico. Quella ricerca di penetrare e rendere la psicologia dei personaggi giovandosi dell'acutezza istintiva dell'osservazione e della perfezione materiale dell' esecuzione, parvero virtuosità senza emozione e povertà immaginativa, alle scuole sorte intorno al novecento: ma bastarono a formare in Lombardia altri ritrattisti vigorosi e profondi, come il Sala, il Sogni, il Molteni; e degnissimi continuatori della tradizione iniziata in quel secolo dal vivissimo ingegno di Pelagio Palagi che Hayez ammirava sovra tutti.

L'Hayez, giudicando la propria opera di ritrattista, considerava come più significativi il ritratto della Signora Juva (pag. 61), del marchese Lorenzo Litta, del conte G. Morosini, di Rosmini (pag. 65), e l'autoritratto in piedi (pag. 56). Compì i ritratti del Rosmini e del D'Azeglio nella villa manzoniana di Lesa: egli racconta che "mentre il Rosmini posava, a tenerlo animato, il Manzoni gli raccontava con spiritosa semplicità certe barzellette assai divertenti... ".
L'Hayez aveva ritratto il poeta dell' "Adelchi", senza sforzo, senza preoccupazione: ma solo con grandissimo amore, ridendosi di quel pittore francese che facendo un rapido schizzo del Manzoni aveva esclamato: "Je tacherai de mettre dans ces yeux la peste de Milan ". Curiosa sorte ebbe il ritratto del conte Nava (pag. 60) presidente dell'Accademia di Belle Arti, esposto nel 1852 alla Mostra annuale nel Palazzo di Brera. L'Hayez aveva raffigurato il conte Nava (convinto austriacante), tutto chiuso nell'uniforme di ciambellano dell'Imperatore e adorno di decorazioni austriache. Parve un'ostentazione antipatriottica: e durante la mostra il quadro dovette essere custodito da due guardie. Difesa inutile perchè un mattino apparve sfregiato da un colpo di temperino. Carlo De Cristoforis, una domenica, in momento di molto concorso si era nascosto dietro le tele che coprivano una parete della sala: aveva approfittato della notte per sfregiare il quadro (il segno del temperino è ancora visibile nell'originale, sebbene ottimamente aggiustato) e il mattino dopo aveva potuto uscire inosservato dai locali dell'Esposizione.
Anche per questi avvenimenti che accrebbero la sua celebrità, l'Hayez parve dominare l'indirizzo artistico del suo tempo e scrittori e poeti guardarono a lui come ad un artista eccelso, senza limitazioni critiche e senza riserva di lodi: e tale lo salutarono quando morì. Tra i contemporanei la sua fama fu assicurata non tanto per i suoi ritratti quanto per quella pittura cosiddetta storica che noi amiamo meno. Fra qualche anno sarà possibile controllare e fissare la valutazione di questo genere di pittura e risollevarla all'ammirazione che in parte dev'esserle rivendicata. Apparirà non come un fenomeno d'arte isolato; ma come l'anello di una catena che guida ai contemporanei e ne informa l'opera; l'interpretazione romantica degli episodi shakespeariani, dei fasti comunali, dei gesti in cui si riflette il contrasto fra la tirannide odiata e la rivoluzione, perduti il fascino artificioso di una moda e il disprezzo aprioristico di un'altra moda, rivelerà doti di composizione, di rappresentazione e di emozione innegabili.

Una mostra della "pittura storica " potrà stupire come una rivelazione. I ritratti di Francesco Hayez attualmente riuniti in una sala della Biennale veneziana gioveranno certamente a riportare l'attenzione della critica e la simpatia del pubblico su questo maestro che può, senza ironia, chiamarsi lombardo?veneto. Dai ritratti dei settecentisti italiani, sorridenti di bonarietà ottimista di gaudenti e d'alterigia nobiliare vanitosissima, a quelli del primo Impero col loro stile classico e dove gli uomini corrucciati come ribelli o dignitosi come dittatori, e le donne impennacchiate e ingioiellate sembrano proprio sfuggiti agli anni e agli artigli della rivoluzione, bisogna giungere ai nostri avi ritrattati dall'Hayez per ritrovare espressa un'umanità più vicina e più cara al nostro sentimento.
Fortunato artista che vive e lavora in serenità, che ha la fiducia e non la vana gloria della propria abilità e in un secolo di tormentati spiriti e di erranti inquietudini, serba un calmo equilibrio e una giovinezza sorridente. Ciarliero elegante e tipico di veneziano in esilio in una città di turbinose passioni e di rivolgimenti civili e politici che sradicano ed abbattono le più forti tempre e le più tenaci anime, rimane incommovibile.

Dove la vita dei poeti e degli eroi gareggia nell'intreccio delle avventure con la fantasia dei romanzieri egli tesse le giornate soddisfatto e sereno. È un pittore: un puro artista; ha tutte le abilità e le preoccupazioni del pittore. Tormenti non lo assalgono, disincanti non lo deludono: il naturale ottimismo veneziano indulgente e filosofante accompagna la sua vita lunghissima e la sua gloria fortunata.
A un punto della vecchiezza può volgersi col pensiero, rintracciarsi in tutto il cammino, raffrontare la parabola della vita e dell'arte, contemplare e considerare la sua opera di storico dell'immagine umana lungo quasi un secolo.

Lascia ai posteri, accanto all'evocazione pittorica di un medioevo di maniera, il ritratto dei personaggi più interessanti di un'intera generazione: artisti, generali, statisti, imperatori, nobili dame, gentiluomini, cantatrici, magistrati, scienziati: un centinaio di figure ch'egli consegna all'immortalità in virtù dell'arte, facendole tra loro affini per un'interpretazione sempre nobilissima. Talune figure femminili negli occhi torbidi e allontananti, nei volti un poco anemici bruciati e appena sorridenti, sotto il casco delle nere chiome divise in bande racchiudono la bella passionalità impetuosa e disperata del secolo.
Le mani delicate di Selene Taccioli o delle sorelle Gabrini o della principessa di Sant'Antimo hanno, se ben osservate, una loro aristocratica espressione e un loro stile, appoggiate con una leggerezza vivente sulle stoffe degli abiti pomposi e sgargianti, composte attorno a un oggetto od oziose. Dalla gola di Matilde Juva che fece echeggiare di melodie belliniane i notturni azzurri del Lario, alla fredda spettralità pallida e dominatrice della principessa Belgioioso "morta", secondo l'invettiva demussettiana, "senza aver vissuto", all'ambigua faccia di quella che Stendhal amò e definì la "divine et charmante comtesse Kassera", l'Hayez ha saputo riunire e fissare per sfumature le trasformazioni diversissime di un femminino tipico ed immortale.

Poi l'accesa impetuosità del Conte Sola, il sarcastico viso di Rossini "musicista dell'avvenire", l'arguta maschera di Cavour, la giovanile baldanza geniale di Pompeo Marchesi, Alessandro Manzoni dolcemente ironico e meditante, il conte Nava fiero delle decorazioni e dell'uniforme servile, Donna Mariquita d'Adda "oca" risvegliatrice del patriottismo lombardo, l'immaginoso coreografo Viganò, e la contessa Samayloff amatrice bizzarra e insaziabile: tutti figli significativi di un secolo in cui si urtarono le correnti più diverse del divenire umano, rivivono nell'arte dell'Hayez e ci rammentano passioni, commedie, tragedie, risa e lagrime che furono soltanto loro. Ma dalle quali nascemmo.

Raffaele Calzini                   

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