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(Fonte : Emporium - nr 190 - Ottobre 1910)
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La rinascita dell'Esposizione Nazionale di Brera
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L'ESPOSIZIONE di Brera, già palestra di giovani artisti che
spiccarono arditamente il volo verso la gloria, o che, se
pur non poteron conseguirla intera, non andaron confusi
nella folla dei mediocri; l'Esposizione di Brera, decaduta
per l'infiacchita fibra di coloro che avrebbero dovuto
curarla e corroborarla, più che per l'indifferenza del
pubblico svagato in altri campi o per la concorrenza di
altre gare artistiche preparate con più fervido amore e con
maggiore genialità; l'Esposizione di Brera, che fu annuale,
poi triennale, poi... occasionale, ridà quest'anno segni non
dubbi di una novella primavera che fa ampiamente rifiorire
le avvizzite speranze, pur mancando in essa o essendo
scarsamente rappresentati gli artisti più in voga o di fama
già soda e di perizia ormai indiscussa.
Una lieta aura di nobiltà aleggia nelle sale, riordinate con
fine criterio e con eccezionale buon gusto, nella così detta
Palazzina della Permanente; e la prima impressione che si
prova, respirandola, allarga sùbito il cuore degli
appassionati, e dispone così bene a intrattenervisi, da far
pensare fino ad un miracolo, — un miracolo compiuto in gran
parte dal fine discernimento estetico del cavalier Campi,
economo dell'Accademia, degnamente secondato da una
Commissione d'accettazione e di collocamento non di grandi
nomi, ma di pittori e di scultori giovanilmente infervorati
e coscienti. È al Campi che si deve, per esempio, il nuovo
assetto delle sale, girando le quali si è obbligati a non
trascurare neppure il più modesto angolo; cosa che si fa
senza sforzo alcuno, essendo poi le opere saviamente
distribuite, con un simpatico avvicendamento di artisti noti
e di giovani promettitori, di cose buone e meno buone — di
cattive, nel vero senso della parola, se ne vedono
pochissime, da numerarsi su una sola mano, forse.
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Piccole fini sculture — figurette in bronzo e oggetti d'arte
applicata — con acqueforti, ceramiche artistiche e ricami,
sono raccolte nel vestibolo d'entrata, dove si ammirano
segnatamente i piccoli bronzi del Pellini, del Vedani, del
Barzagli , del Labò, le targhette del Brozzi, i ferribattuti
del Mazzucotelli — che offre nuovi deliziosi esemplari di
lampade e di portagioielli —, le medaglie di S. Johnson, le
oreficerie del Miranda, degnamente distribuiti nei mobili
dell'arch. Monti.
E, seguendo il catalogo — poichè non è il caso, per la
esiguità dello spazio assegnatomi, di suddividere questo mio
rapido esame in generi, scuole e tendenze più affini -, si
fa la prima sosta in una bella sala di pitture, dallo studio
femminile del napoletano De Sanetis ai brevi paesaggi del
piemontese Luigi Calderini - in cui primeggiano: un
bellissimo lago alpino di Carlo Cressini di Genova, accanto
a due tele del Bazzaro, improntate della solita e solida
genialità; un'elegantissima fiorita di signore eleganti in
un palchetto parigino di Ulisse Caputo, da Salerno,
similmente apprezzato e lodato alla IX Biennale di Venezia;
una Burrasca e un'altra più squisita visirne
rusticana di Pompeo Mariani, con due freschi pastelli del
Casciaro, un Mattino in Valdivedro del Bolongaro,
un'impressione di S. Ambrogio sotto la neve di C. P. Agazzi
e due mezze figure di un'adorabile ingenuità, con le quali
un giovane artista, Giovanni Rovero di Mongardino d'Asti,
fa, credo, le sue prime armi fra noi, come le fa, o quasi,
il giovane milanese Emilio Malerba che ha esposto una
graziosa figurina di fanciulla piena di finezze e di
sentimento.
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Marco Calderini non smentisce la sua antica perizia nel
Tempo grigio in Valtournanche, Come non la smentiscono
G. Pennasilico con una luminosa ed originale marina, che mi
par preferibile a tutte le altre della mostra; il Milesi,
nei due ritratti vigorosi, il primo dei quali, quello del
Barone Scola, non è antico soltanto nel vestito; il
Nomellini nella lietissima Passeggiata meridiana
piena di sole; il conte Gola nella Giovane operaia
brianzola ritratta con maggiore profondità di
espressione delle consuete lavandaie; l'Andreoli nella
Morte dell'uccellino. Ma l'attrattiva maggiore di questa
terza sala è costituita dall'opera dei giovani, fra i quali
emergono il bresciano Emilio Pasini con un ritratto di
Lydia Borelli che ha tutta la mondanità, dirò così,
stilizzata dell'ammiratissima attrice; il milanese Carlo
Cazzaniga col ritratto di un signore seduto, franco,
colorito, genialissimo; il torinese Cesare Ferro — che due
anni or sono si meritò il Premio Principe Umberto — con un
ritratto muliebre squisitamente intonato e ricco, direi, di
profumo esotico; il veronese Vincenzo De Stefani con una
leveriana figura di donna; il lecchese Achille Jemoli
con un
Notturno sul suo lago pieno di suggestiva malinconia; il parmense Daniele
De Strobel che dà nuovo saggio del suo amore per i cavalli,
nel Piccolo Gaucho, per trionfare, nella sala VII,
con una figuretta in cera, ch'è la più ammirata scultura di
questa festa d'arte. Pertinace studioso della forma, questo
giovane e vigoroso pittore, ha sentito il bisogno, come già
fece il Meunier, di espandere il proprio amore in più solida
materia, ed eccolo d'un colpo scultore, e fra i più
meritevoli d'attenzione e di plauso. Egli comincia come
altri finisce: andrà certo assai lontano: lo seguiremo con
vivissimo compiacimento.
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Sapienti e pensosi di allontanarsi dalle volgarità si
mostrano anco una volta, nell'ampia sala delle sculture,
l'Alberti, — nel Bassorilievo come nella vecchia
dallo scaldino, degna del Marat ch'è a Verezia —;
Enrico Vedani nel
Bacio palpitante di vibrazioni sensuali e pur tanto casto; Eugenio
Pellini nel suo busto, Michele Vedani nel simpaticissimo
armonico sentimentale gruppo della Maternità, Egidio
Boninsegna in un altro gruppo, Melodia, Romolo Del Bò
in un fine donatelliano bassorilievo in marmo; come
promettenti e lodevoli sono i più giovani, fra i quali
Egisto Caldana, con la testa di un Pensatore che
pensa veramente, e quelli che già apparvero nei precedenti
concorsi, come Vitaliano Marchini e Attilio Strada coronati
dal Premio Tantardini.
Una vivace impressione egiziana del giovane mantovano M.
Moretti Foggia, una vasta e colorita Pescheria
genovese del Pennasilico, un fine paesaggio di Carlo
Follini, altri lodevoli paesaggi del Caprotti, del
Pasinetti, del Martelli, con la promettente Salomè di
Cesare Fratino e il Caino ed Abele di Mario Ornati di
Vigevano ch'ebbe il Premio Gavazzi, Un gruppetto in bronzo
del sullodato De Strobel, una gustosa macchietta
settecentesca di Attilio Prendoni e un bronzettino del
calabrese Saverio Gatto, attraggono maggiormente
l'attenzione nella sala quinta, assai meno importante della
sesta, nella quale occorre fermarsi più a lungo.
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Prima di tutto per il paesaggio Fine serena di un
maestro: Giorgio Belloni. A misura che si guarda, la
serenità passa dal quadro all'anima nostra, mentre la mente
enumera i pregi della pittura, segnatamente nel primo piano,
dove l'artista ha trasfuso con la carezzevole pennellata
tutto il suo sentimento, tutte le raffinatezze della sua
esperienza, tutta la dolcezza dell'ora suggestiva sul breve
specchio del lago in cui si riflettono la cupa vellutata
montagna e le misteriose macchie degli alberi fasciati
d'ombre.
Altri degnissimi lavori sono in questa sala: i due pastelli
del Rietti, pronti ed espressivi; il plastico ritratto di
Giuseppe Mascarini; quello di Riccardo Galli pieno di
virtuosità pittoriche; il verde Bosco dell'usignuolo
dipinto, dopo la perdita dell'occhio, dal valentissimo
Emilio Borsa, come il Mariani degno nipote di Mosè Bianchi;
la Villa Medici del Balla, la cui poesia è un po'
diminuita dalla figuretta; la
Notte di Baldassarre Longoní; il vivissimo Ritratto del dott. A.
Gabrini di Luigi Rossi, nei viali della famosa villa che
chiude un autentico capolavoro sconosciuto di Vincenzo Vela;
e una stalla del Balestrini, una chiara veduta della Grigna
in contrasto con una verde collina di E. Spreafico, una
gioiosa impressione di A. Jemoli che vedemmo già in un
malinconico paesaggio, e altri pregievoli paesaggi del
Bersani, del D'Andrea, di A. Tominetti — il contadino
pittore, sempre accurato e piacevole —, e una bella
statuetta Columbae del Mistruzzi di Sermide. Non
bisogna uscir da questa sala senza aver rilevato le buone
qualità del ritratto della baronessa Carla Celesio di
Vegliasco che cerca da anni, con lodevoli sforzi, di farsi
una personalità artistica, e dì volta in volta noi
troviamo più progredita.
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