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(Fonte : Emporium - n° 136 - Aprile 1911)
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IN MEMORIAM - ENRICO COLEMAN - UGO VALERI
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Nel 1831 arrivava a Roma da Parigi, dove aveva con fervore
grande studiato pittura, Carlo Coleman, un artista
ventunenne nato a Ponctfranct nella contea di York. In quel
giro di tempo signoreggiava nel campo dell'arte il più
freddo, compassato ed accademico classicismo ed il giovino
inglese era stato indotto a venire in Italia, così come
molti stranieri, dal vivo desiderio e dal fermo proposito di
studiare direttamente la sapienza di disegno e l'abilità di
composizione di Raffaello e degli altri pittori italiani che
venivano additati come maestri unici ed insuperabili a
coloro che si avviavano alla carriera artistica.
Volle, però, il caso che il Coleman, durante le periodiche
escursioni, che aveva preso l'abitudine di fare nei dintorni
di Roma per riposarsi dalle lunghe ore trascorse a copiare
con tediosa meticolosità i vecchi quadri di fama ortodossa
nei musei e nelle chiese, si lasciasse sedurre a poco per
volta dalla campagna romana, fino al punto di non volere più
che il vero per guida. Fu così che la nobile, grandiosa ed
austera poesia di essa, anche più che negletta, tenuta in
nessuna considerazione dai pittori italiani di quell'epoca,
parlò il rude ma intenso ed impressionante suo linguaggio ad
uno straniero, riuscendo a farlo rinunciare d'un tratto alle
lezioni del passato per consacrare intera la sua attività di
pittore e d'incisore a evocare, col pennello o con la punta
metallica, le vaste e solitarie pianure che circondano
d'ogni parte la Città Eterna, solcate qua e là da corsi
d'acqua, disseminate di vecchi ruderi e sulle quali le
numerose greggi di pecore e bufali dalle grandi corna limate
pascolano lentamente, sotto la vigile guida dei guardiani a
cavallo dai cappelli a cono e dai calzoni vellosi.
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L'arte del patire doveva trovare un continuatore ed un
ampliatore di più sicura perizia di tecnica e di più
profondo acume di visione nel figlio Enrico, la cui morte
improvvisa, avvenuta lo scorso mese, all'età di 65 anni, ha
suscitato il compianto sincero di tutti coloro che con lui
ebbero dimestichezza o che anche semplicemente ebbero
l'occasione di avvicinarlo una qualche volta. Eppure non fu
senza lunghe e ripetute incertezze ed oscitanze che,
malgrado il primo avviamento e le prime nozioni dell'arte
sua avute dal padre e malgrado gl'incitamenti del
dilettissimo suo amico d'infanzia Onorato Carlandi, con cui
si era ritrovato nelle domenicali esercitazioni della
Guardia Nazionale per poi accompagnarlo nelle gite in
campagna destinate a dipingere dal vero, addimostrandovi una
perizia eccezionale fino dalle primissime prove, Enrico
Coleman si persuase a chiedere l'ispirazione ed i soggetti
dei propri quadri esclusivamente od almeno per buona parte a
quella campagna romana, che egli in seguito doveva
magnificare in una serie magistrale di quadri ad olio e
sopra tutto di acquerelli di così spontanea ed insieme
vigorosa potenza e di così suggestiva efficacia
rappresentativa.
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Non c'è del resto da sorprendersene oltremodo, se si ripensa
che, negli anni nei quali egli esordì nella pittura, non
piaceva, non si lodava e non trovava compratori che l'arte
artificiosa e leziosetta dei seguaci degeneri di Mariano
Fortuny, sicchè, quando il giovine Coleman si vide
disdegnato e si sentì deriso per un quadro, esposto al
Circolo Artistico, della più schietta ed onesta osservazione
realistica, che rappresentava una mandria di bufali nelle
Paludi Pontine, pensò che il torto era forse suo e che, in
ogni modo, meglio valeva non andare contro corrente. Dipinse
quindi anche lui, per vari anni, cavalieri settecenteschi in
giamberga ricamata, parrucca incipriata e spadino dal manico
prezioso e dame imbellettate ed in guardinfanti, finchè un
bel giorno, disgustato di quella pittura falsa e mercantile,
utile forse ai suoi interessi ma che non dava alcuna
soddisfazione alle compresse sue aspirazioni estetiche,
cambiò rotta e di proposito deliberato ritornò alle primiere
visioni d'arte, in cui aveva avuto un predecessore così
scrupoloso e tanto degno nel genitore ed ebbe in tal modo
agio finalmente di manifestare in tutta l'intierezza e in
tutta la possanza l'individuale sua originalità.
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La mostra di varie sue tele ad olio, fra le quali una di
tecnica più elaborata e di qualità più delicatamente
raffinata del solito, a cui egli aveva lavorato fino alla
vigilia della sua molte, e di tutta una collezione davvero
squisita di acquerelli, che, ordinata con ammirativo affetto
da un gruppo di suoi amici, occupa tutta una sala
dell'odierna esposizione internazionale d'arte di Roma,
attesta, in modo evidente, che, se Enrico Coleman ha potuto
trovar talvolta in alcuni dei suoi confratelli d'arte, da
Carlandi a Sartorio, emuli interessanti e valorosi
nell'evocare gli aspetti maestosi e melanconici della
campagna romana, ne rimane pur sempre, per l'intensità
emotiva e per la varietà grande di motivi che in essa ha
saputo attingere, il pittore per eccellenza.
In quanto alla sua esistenza, essa è stata delle meno
movimentate e delle più metodiche. D'indole placida e
bonaria, se egli, per ereditario orgoglio brittannico e come
salvaguardia contro le prepotenze del governo papale, aveva
conservata la nazionalità inglese, non si decise mai a
recarsi nella sua patria d'origine, chè anzi delle città
grandi non conobbe, oltre quella in cui nel 1846 aveva avuto
i natali da padre anglosassone ma da madre italiana, che
Torino e fu proprio per un puro caso.
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Oltre la pittura, amò con vivo trasporto la caccia,
l'alpinismo e specialmente la botanica, come l'attestano i
suoi studi, corredati di disegni scrupolosamente minuziosi
ma non mai privi di certa garbata e gustosa grazia di segno,
sulle orchidee della campagna romana, ad una delle quali,
scoperta da lui e trapiantata con successo nel suo giardino,
ebbe la civetteria, pure essendo per tutto quanto riguardava
l'arte sua di una rara modestia, d'imporre il suo nome.
Quanto diverso, per indole d'arte e per abitudini di vita,
dal placido, mite e consuetudinario pittore romano il
disordinato, turbolento e simpatico Ugo Valeri, con la cui
fine tragica, che da alcuni è stata supposta volontaria ma
che io, per conto mio, amo credere casuale, è stata
prematuramente sottratta all'arte italiana
dell'illustrazione una delle personalità meglio dotate, più
brillanti e più originali !
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