Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 136 - Aprile 1911)
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IN MEMORIAM - ENRICO COLEMAN - UGO VALERI

 
Nato nel 1874 a Piave, piccolo borgo del Veneto, il Valeri fu dai suoi genitori avviato pegli studi classici ed ottenne la licenza ginnasiale, ma, mentre frequentava il liceo di Padova, venne preso dalla febbre figurativa e, poichè, avendo mostrato le prime ed assai incerte prove grafiche al professore di disegno del patavino istituto tecnico, costui aveva avute parole di lusinghiero incoraggiamento, egli di colpo si esaltò e, non dubitando più della sua vocazione, cedette agli stimoli dell'indole sua impulsiva e, senza dir nulla a nessuno, abbandonò i corsi iniziati e se ne fuggì a Venezia per iscriversi all'Accademia di belle arti.

Ma l'incorreggibile sua indisciplinatezza lo obbligò, dopo un anno circa, a lasciare l'Accademia, dove era venuto a diverbio ed aveva mancato clamorosamente di rispetto a non so quale dei suoi professori. Si recò allora a Bologna e, ammesso in quell'Istituto di belle arti, riuscì, malgrado parecchie delle sue stravaganze e delle sue fin troppo frequenti intemperanze, ad accaparrarsi la benevolenza dei maestri e la simpatia dei condiscepoli. Ciò gli riuscì tanto più bene in quanto alle mostre felsinee, a cui partecipò fino dal suo primo arrivo a Bologna, seppe richiamare l'attenzione su di sè, con alcune tele di fattura ardita, gradevole e personale, di cui una, intitolata Maternità, gli fece guadagnare nel 1889 il premio di mille lire che la Società Francesco Francia suole assegnare ogni anno al migliore lavoro esposto da artista non ancora trentenne.

Lasciata Bologna, visse saltuariamente, della vita bisbetica della più schietta scapigliatura, a Padova, a Milano ed a Venezia, lavorando di continuo, talvolta per conto di editori e di direttori di giornali, ma più spesso per conto proprio, fuori delle strettoie, a lui oltremodo antipatiche, dell'ordinazione a tempo fisso e del tema obbligato, sia come pittore, sia e più specialmente come disegnatore, con una foga briosa e con una giazia spontanea, che a Parigi od a Monaco avrebbero fatto la sua fortuna e che in Italia, malgrado i suoi gusti e le sue abitudini frugali, gli bastavano, a stento e non sempre senza sacrificio, a sbarcare il lunario.

Più che le composizioni fantasiose pel Ca ira di Carducci, esposte a Milano nel 1906, più che i due quadretti di così squisita piacevolezza cromatica esposti alla penultima delle "biennali" veneziane e più che le sue vignette per l'Italia ride di Bologna e pel Pedrocchi di Padova, valse a farlo conoscere ed apprezzare dai suoi confratelli d'arte e dai buongustai una numerosa e varia sua mostra personale, tenuta nel settembre 1909 in due salette del Palazzo Pesaro di Venezia.

All'arte sua d'illustratore, che mi aveva colpito fin dalle sue prime prove e che io amavo molto per la sua gustosa spontaneità, per la sua grazia espressiva e briosa e per la sua movimentata eleganza, io dedicai, alcuni anni fa, varie pagine dell'Emporium, accompagnandole con numerose riproduzioni di suoi disegni, fra cui trovavisi un rassomigliante autoritratto, donatomi da lui e che portava in margine la seguente scritta, che è insieme una confessione ed un programma d'arte: "Vi presento il mio autoritratto nel mio studio: la strada, mio vero ambiente naturale. Buona sera !"

Rimando a quelle pagine, ripubblicate nel secondo volume di Attraverso gli albi e le cartelle, coloro fra i miei lettori che desiderassero conoscere od anche soltanto ricordare le caratteristiche dell'arte del disegnatore padovano, limitandomi qui a trascrivere un breve brano, in cui tentavo di determinare le più spiccate fra esse: "Contemplate attentamente i suoi schizzi, che sono di una fattura così personale nella disinvolta sovrapposizione delle macchie di acquerello e nell'intrico di segni di penna e di matita e che, guardate da vicino, danno l'impressione di un gomitolo di refe nero aggrovigliato dalle zampine di un micio e ditemi voi se non si sprigioni da essi un singolare fascino di giocondità e di vita in movimento. È il sorriso della giovinezza, esaltato dall'amore, dal vino e dalla danza, che glorifica tutte quelle figurine sgambettanti, occhieggianti, trincanti, che il Valeri, un po' illeggiadrendole ed un po' caricaturandole, ha posto in iscena nei vivacissimi suoi quadretti. Fissandole a lungo, finiamo quasi, per un suggestivo inganno ottico, col credere che esse si muovano e si agitino, innalzando il bicchiere per brindare, aprendo la gola al canto, lanciandosi nei vortici della danza o strusciandosi l'una all'altra voluttuosamente"


Vittorio Pica                  


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