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(Fonte : Emporium - n° 196 - Aprile 1911)
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Artisti contemporanei - Francesco Gioli
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Ma non si accontenta l'artista di sentirne la possanza nei
piccoli vasi; sulle ampie distese dei mari egli la studia
nei suoi ritmi e nelle voci sue: o che gioisca nel sole e
nell'azzurro, o che sia fonte di lavoro agli uomini, o che
nella maestà dell'infinito si senta madre degli esseri e si
dia sovranamente come lavacro di sanità. Talvolta, come nel
Tramonto a Castiglioncello o nell'
Ora che volge il desio..., il sentimentalismo si
scioglie liricamente in strofe giovenili; talaltra, come in
Sera di luna, la ampiezza malinconica delle notti
illuminate lo fa divenire elegiaco; ma quando il cuore di
lui pulsa più virilmente l'acqua si fa lavoro ed energia:
così nella
Pesca a sciabica, ove alla maestà dell'acqua sovrasta la
laboriosa avidità dell'uomo, come nella semplice
Venditrice di arselle, ove è colto un delicato aspetto
industrioso della vita marinaresca; così nei Renaioli,
in cui il lavoro inturgida tra l'onde e la spiaggia i
muscoli agl'infaticati; come nelle
Renaiole che, avvolte di sole e di spruzzi salmastri,
sembrano cantare un inno al vigore femminile. Ma più ancora
l'acqua, la luce, l'aria e l'ampiezza fanno sentire la loro
magica sinfonia in
Vita, una magnifica opera d'arte, che inneggia alla
perpetuità e alla castità, benedette dallo spazio e dalle
sue forze misteriose.
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Così il Gioli, il pittore di
Alla messa, che parve tanto audace ai milanesi nel 1872,
osserva e scruta nel grave e nobile silenzio della sua arte
tutte le forze della natura e le coglie nei loro effetti più
belli e più opportuni; così può, dopo tanti anni di
indefesso lavoro, presentarsi a Venezia nel 1909 con le
Armonie fiorentine, quattro deliziose riproduzioni di
certi angoli più noti di Firenze, che a lui han saputo dir
parole non prima rivelate. E continua, già adulto e già
celebre, e giunge, si direbbe meglio, là d'onde molti
cominciano; ma con la differenza che agli altri le cose si
presentano con un complesso di ombre e di luci allo scopo di
esercitare il potere cromatico della tavolozza, e a lui
parlano e svelano i loro misteri: vite occulte che solo
l'arte vera può genialmente riprodurre e fissare nella tela.
Né di minor conto è la rivelazione della beltà femminile nei
suoi quadri. Egli ha della donna un concetto alto e sereno,
procedente non dal puro estetismo, ma dalla convinzione che
ella è chiamata sulla terra dal potere della perpetuità, per
dare al mondo figli forti e robusti, quanto e più dei padri.
Perciò le figure muliebri del Gioli hanno quella formosità
sicura e matronale, che, scaturita dal lavoro, si fa sempre
più atta a produrre lavoro; nè ciò menoma in loro la grazia
della linea, la flessibilità del corpo e la delicatezza
dell'atteggiamento: anzi quasi sempre l'armonia tra la forza
e la bellezza si presenta immediata e conferisce maestà ed
energia al quadro.
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Chi ha potuto ammirare in Sola la mesta bellezza di
quel corpo visto alle spalle e pur così promettente; chi ha
potuto deliziarsi innanzi a quel
Fiori di campo, che è un grande inno alla maternità
prolifica; chi ha potuto soffermarsi innanzi a
Babbo ritorna, che vuole essere una plastica
incarnazione della "Maria bionda„ del Carducci, cui il
quadro è dedicato, può dire se le donne del Gioli non
insegnino dalle tele, onde balzano così vive, l'energia e
l'amore insieme. Che se poi alle donne vogliamo aggiungere i
fanciulli ne avremo nell'illustre pittore tutto uno sciame
pieno di grazia e di giocondità, tutto un rosario di testine
gaie e gentili, di manine che si protendono, di occhi che
ridono tra un ricciolo e l'altro, serenissimamente.
Il Gioli indovina l'anima nei bimbi e ne fissa i moti
inconsci, che così immediati traspaiono dai volti. Ho visto
nel suo studio il ritratto della nipotina, appoggiata con la
manuzza sulla testa di un cane alto quanto lei, che è
meraviglioso e altri studi di bimbi mi son passati
d'innanzi, nei quali la gentilezza infantile aveva
atteggiamenti profondi e vitali. Né mi piace dimenticare il
quadro
Giovine madre: dolce poema di felicità e di
soddisfazione materna, in cui la carezza e il profumo della
bontà sono diffusi a piene mani.
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Di questo artista così vario, così molteplice e nello stesso
tempo così tipico, oltre alla pleiade dei quadri è
necessario anche conoscere l'indole: e per giudicarlo
bisogna penetrare nel suo studio di via Marsilio Ficino e
sorprenderne le tele in abbozzo sui cavalletti: nessun mezzo
migliore per farsi un concetto preciso delle sue intenzioni
e della sua virtù assimilatrice. Egli passa da un chiaro
effetto di sole meridiano sovra alcune ciocche rosee di
gerani alla rappresentazione ardita di un cielo bigio mosso
da altissimi venti; si leva dall'aver fissato con pochi
tratti una fisonomia sovra una tela e corre verso un angolo
noto ove un tronco annoso si colora di pallidi raggi
occidui; va dalla piccola macchia d'impressione all'ampio
disegno del quadro solenne: e in questa varietà
sconcertante, in questa febbre di osservazione continua
trova riposo e soddisfazione la sua spiritualità
eccezionale. Nè l'operosità straordinaria gli fa trascurare
le cure quotidiane, dell'esistenza intellettuale: che anzi
egli trova tempo per tutto, e si diffonde e si profonde ove
la sua autorità di maestro, la sua esperienza di uomo e la
sua natura aristocratica fanno sentire la necessità di suoi
consigli. A Firenze Francesco Gioli è l'animatore delle cose
belle e delle cose buone: la letteratura, la poesia, la
musica, in mille modi coltivate, lo hanno amico e
sostenitore schietto; e non vi è idea audace che egli non
appoggi, non vi è lotta per la verità e per la giustizia che
non intraprenda con animo franco, schierandosi pei giovani
contro i vecchi accademici, per i ribelli di buon senso
contro gli ostinati per sistema.
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Figura cavalleresca, anima aperta, mente colta, parola
arguta sono le sue qualità precipue; e la sua conversazione
è incantevole, perchè ai ricordi della vita d'arte si
intrecciano commozioni gravi di dolori recenti; allo sdegno
di tutte le convenzionalità sociali si rannoda un'ingenua
credulità piacevolissima; alla grande modestia una sicurezza
di giudizio per la propria opera. Egli è dei pochissimi che,
avendo vissuto per mezzo secolo tra i maggiori artisti
d'Italia, potrebbe darci un prezioso contributo di storia
intima della pittura, della scoltura e della letteratura
toscana dall'unità d'Italia a oggi: e un libro di sue
memorie sarebbe accolto con la maggior curiosità e il più
grande consenso di ammirazione.
Ma credo che egli sia ben lontano dal pensare a ciò, e
voglia invece dipingere ancora, dipingere molto, aggiungere
alla gran prole dei quadri altre belle opere luminose e
pure, create tra un raggio di sole e un soffio di vento, tra
una carezza di bimbo e un canto di donna, tra l'ampia
distesa del mare e la verde dovizia d'un colle. A lui la
natura non dirà mai l'ultima parola, ed egli la coglierà
nelle sue inattese ricorrenze di laboriosità, come in
Macchiaiole di San Rossore, o nei beati ozi
fanciulleschi, come in
Primavera; nelle silenti malinconie notturne, come in
Novilunio e
Giardino triste, o nelle chiassose comitive vesperali,
come in
Incontro ed in
Ritorno dal lavoro; e sempre ce ne tramanderà la
bellezza e la forza, sempre colla sua anima sicura e buona.
Ora ce lo ha rubato all'arte l'esposizione del Ritratto
Italiano, che richiama tanti ammiratori a Palazzo Vecchio, e
della quale egli è entusiasta; e forse anche un'altra
esposizione più caratteristica: quella dei ritratti di
bambini, che sarà una novità ben accetta ai visitatori della
mostra fiorentina. Ma poi con più fervore al lavoro e alla
gloria, che hanno tanti sorrisi e tante carezze per lui!
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Almerigo Ribera
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