Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 253 - Gennaio 1916)
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Artisti contemporanei : Pompeo Mariani

 

Il caso di Pompeo Mariani appare assai caratteristico ed istruttivo a colui che lo consideri con una certa attenzione. Ecco un pittore a cui ben si può affermare che tutto sia andato a seconda fino dall'inizio della sua carriera, mentre bisogna riconoscere che egli deve proprio alle circostanze che più sembrano averlo favorito di non occupare, ora che è giunto alla piena e savorosa maturità del versatile e brillante suo talento, il posto a cui avrebbe diritto nella scala delle reputazioni degli artisti italiani dell' ultimo trentennio.

L'avere esordito sotto gli auspicii di uno zio illustre, fulgida ed incontrastata gloria della moderna scuola lombarda di pittura, giovò a fargli superare con relativa sollecitudine e senza troppe difficoltà la barriera di disdegnosa noncuranza che ostacola di solito chi muove i primi passi sullo scabro sentiero dell'arte e contribuì non poco a richiamare sulla giovanile produzione di lui, malgrado che non si elevasse di molto dalla comune mediocrità, l'attenzione benevola del pubblico, procurandogli in pari tempo più di una benaugurante frase d'incoraggiamento da parte di coloro che fanno i resoconti delle esposizioni sui giornali quotidiani, senza troppo preoccuparsi di riuscire acuti nei giudizi e di apparire imparziali nel distribuire biasimi ed elogi.

A fargli però scontare tali vantaggi, non tardò molto a gravare su lui il fato che incombe su chiunque possegga un prossimo parente celebre e vieta o, nella migliore ipotesi, ritarda di molto il riconoscimento esplicito e definitivo di un'individualità, sia di ordine estetico sia di ordine politico o professionale. E' così che Pompeo Mariani, anche oggidì, che può dirsi più prossimo alla sessantina che alla cinquantina, continua ad essere da molti considerato sopra tutto, se non proprio esclusivamente, come il nipote di Mosè Bianchi, tanto più che, con l'avanzare dell'età, egli ha finito col richiamare le sernbianze dello zio, specie per la barba candida e fluente, per la faccia rosea ed aperta e per la fronte alta ed ampia, resa dalla calvizie di apparenza anche più vasta, e tanto più che della memoria dell'autore dei Fratelli al campo, per la quale serba in fondo all'anima un vero culto, fatto di ardente tenerezza e di entusiastica ammirazione, egli si è addimostrato, in ripetute circostanze, il più strenuo difensore ed il più convinto ed efficace esaltatore.

Ciò poi che ha senza dubbio contribuito a tenere vivo l'interessamento, sebbene troppo a fior di pelle e non abbastanza provvisto di calore, dei visitatori delle periodiche mostre italiane d'arte per l'abbondante e piacente produzione del Mariani è che essa, evitando di stufirli coi medesimi due o tre motivi pittorici conditi sempre con la medesima salsa cromatica, ha saputo, di tempo in tempo, presentarsi loro sotto un aspetto affatto differente per scelta di soggetto, taglio di quadro e fattura tecnica. Siffatti coraggiosi tentativi di rinnovarsi, sforzandosi di allargare il campo delle proprie osservazioni e di rendere più acuta efficace e sottile la propria visione del mondo reale, a me sembra che siano sempre da applaudire. E lo sono tanto più qualora essi rispondano davvero al sincero e spontaneo bisogno di una limpida coscienza di artista e vengano ripetuti più volte con buoni risultati, come proprio è avvenuto pel Mariani. Egli, infatti, progredendo di tappa in tappa, è riuscito a liberarsi in buona parte dalle scorie del convenzionalismo e del manierismo che menomavano il valore di parecchie delle tele della prima e della seconda sua giovinezza e in pari tempo a comprendere, cosa tuttora molto rara ad incontrarsi in un pittore italiano che non viva o non abbia vissuto per alcuni anni all'estero, il particolare fascino della moderna vita elegante delle grandi città ed a rievocarla, con brio e con buon gusto, sulla tela o sulla carta.

La critica, però, che l'aveva seguito con benevolenza per un lustro o due, encomiandolo ma non affrettandosi a catalogarlo, un bel giorno si decise a proclamarlo emerito marinista e, d'allora in poi, ha continuato sì a lodarlo, ma senza troppo attardarsi a prendere in considerazione le ulteriori trasformazioni del suo talento artistico e ad esaminare particolareggiatamente nei loro pregi e nei loro difetti i suoi quadri più recenti, pur tanto diversi dagli antecedenti. E' così che Pompeo Mariani, anche oggidì che impiega quasi tutta l'attività agile e sapiente dei suoi pennelli a ritrarre scene dal Casino di Montecarlo, continua da molti ad essere considerato sopra tutto, se non proprio esclusivamente, come "il pittor delle marine al tramonto".

Infine, essendo egli un discorritore piacevolissimo, impareggiabile in ispecie nel narrare episodii e nel tratteggiare figure, mescolando alla parlata italiana vivificatrici e gustose espressioni dialettali, è accaduto sovente che il critico d'arte, il quale si era recato allo studio di lui per vedere i suoi quadri od i suoi monotipi più recenti e consacrar loro l'indomani un articolo di giornale od un capitolo di volume, si sia lasciato conquistare d'un tratto dalla sua vivace conversazione e, più che guardare, ha ascoltato, di modo che, nelle pagine scritte subito dopo, si è sbrigato con poche frasi vagamente laudative delle opere esaminate con scarsa attenzione, e si sia attardato invece, preferendo per una volta tanto essere divertente piuttosto che sembrare profondo, a descrivere l'uomo nella sua simpatica bonarietà, a raccontare i casi della sua vita di pittore e di galante cavaliere nella versione gioconda datane da lui medesimo e a ripeterne gli aneddoti, le definizioni ed i motti meneghinamente maliziosi.

E' così che da molti anche oggidì, che egli vive soltanto per l'arte e per la famiglia e che, confinato durante buona parte dell'anno nella deliziosa sua diletta di Bordighera, non ha occasione di incontrarsi e di parlare che con un numero ristrettissimo di persone, viene considerato sopra tutto, se non proprio esclusivamente, come e "l'arguto e mondano pittore milanese"

Orbene io credo che il Mariani, il quale, pure essendo alieno da ogni istrionismo auto-ammirativo e pure sdegnando, per nativa signorile fierezza, ogni astuta manovra per richiamare l'attenzione su di sè e fare prendere in sempre maggiore considerazione l'opera propria, ha intera e sicura coscienza del suo non comune valore artistico, debba, durante le inevitabili ore di sconforto, rilevare, con un certo vago senso di amarezza, che il successo, il quale pure gli ha sorriso anche sotto la forma lusinghiera dei premii e delle medaglie ed in quello proficuo degli acquisti da parte delle pubbliche gallerie e degli amatori privati, si è addimostrato per solito di scarsa chiaroveggenza, trascurando o lasciando del tutto in ombra proprio gli aspetti più originali e davvero vitali della sua produzione di pittore.

A questo incompreso fortunato, a questa vittima del successo banale il conforto spirituale, a cui ha diritto ed a cui non può non aspirare, più che dal pubblico, al quale non bisogna mai domandare troppo ad evitare il rischio di non ottenerne nulla, deve venire dalla critica, come riparazione di una troppo lunga disattenzione o di un troppo superficiale esame. Ciò essa potrà e dovrà fare, non già esaltandone enfaticamente e cervelloticamente le opere, ma sottoponendole a quel severo coscienzioso e intelligente giudizio analitico che è mancato loro finora quasi del tutto e che, precisandone la particolare fisonomia estetica, ne metta bene in chiaro i pregi e le deficienze.

Fu a Monza che nacque, nel settembre del 1857, Pompeo Mariani, ma il trasporto verso la pittura, che doveva in appresso accendere sempre più i suoi entusiasmi ed assorbire sempre più i suoi pensieri e la sua attività, non fu a dire il vero molto precoce in lui. Adolescente, egli s'inizia agli studii classici per stancarsene abbastanza presto e troncarli di colpo. Giovanetto, seguendo le ripetute incitazioni del padre suo, esperto ragioniere ed assai apprezzato direttore di una scuola di commercio, si reca a Milano per fare pratica in una banca. Gli studii finanziarii non riescono però ad esercitare sull'animo suo una maggiore attrattiva di quelli letterarii ed egli li trascura del suo meglio per giocare al bigliardo e per corteggiare le belle donnine, finché, a ventidue anni, credendo di scoprire in sè una spiccata vocazione per la musica, delibera di entrare nel Conservatorio, salvo che, cedendo ad una nuova e non meno improvvisa ispirazione, suscitata forse dalle lodi esuberanti con cui alcune sue caricature erano state accolte dai suoi compagni di ufficio e dai suoi amici di caffè, domanda ed ottiene di frequentare lo studio di Eleuterio Pagliano, stimatissimo allora fra tutti i pittori che vivevano ed operavano a Milano.

Appena il Pagliano si fu convinto che nel giovane Pompeo, destinato a diventare uno degli ultimi ma anche uno dei migliori suoi allievi, eravi davvero la stoffa di un artista, incominciò a ben volerlo, incoraggiandolo nelle prime prove ancora incerte, aiutandolo con sagaci consigli ed inducendolo a frequentare con assiduità, durante circa due anni, il corso di anatomia e la scuola del nudo nell'Accademia di Brera. Il Mariani, da parte sua, corrispose molto bene a tale interessamento. Rapidissimi e di giorno in giorno più promettenti furono i suoi progressi, tanto che, avendone il De Nittis, di passaggio per Milano, veduti, in una visita fatta al Pagliano, alcuni saggi di pittura, ne rimase colpito e volle parlarne, con grandi elogi, a Mosè Bianchi. Costui, che era affatto ignaro della decisione, presa dal figliuolo della più diletta fra le sue sorelle, di abbracciare la carriera delle arti belle, ne accolse con gradita sorpresa la notizia e delle parole lusinghiere di un giudice tanto competente che l'accompagnarono rimase commosso fino alle lagrime.

Fu un secondo premuroso maestro e tenero consigliere che in lui trovò d'allora in poi il Mariani, il quale, diciamolo a sua lode, pure accogliendo con grande e riconoscente deferenza le esortazioni e gli ammonimenti dello zio benamato, seppe mantenersene abbastanza indipendente, in maniera da preservare la individuale sua visione di pittore da un'influenza, che, diventando sempre più immediata ed imperiosa, avrebbe potuto finire col farne un seguace più o meno disinvolto e un imitatore più o meno abile dell'illustre lombardo.

Un viaggio al Cairo, in compagnia degli altri due pittori Dall'Orto e Fornara, ed una assai operosa permanenza che vi fece per circa sei mesi, gli permisero, dopo avere esordito due anni prima a Torino con alcuni modesti studii di alta montagna, di presentarsi brillantemente in una mostra internazionale tenutasi a Nizza nel 1883, con una serie di scene e di figure egiziane. Esse piacquero molto e gli fruttarono la sua prima medaglia, procurandogli in pari tempo la viva soddisfazione di sapere che una ne era stata acquistata dal presidente della giuria in persona, il quale era nientemeno che il famoso pittore francese Ziem, le cui vaste tele di soggetto veneziano, di colorazione così gustosa e sapiente, destavano, in quel giro di tempo, un vero fanatismo in tutta l'Europa.



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