Il caso di Pompeo Mariani appare assai caratteristico ed
istruttivo a colui che lo consideri con una certa
attenzione. Ecco un pittore a cui ben si può affermare che
tutto sia andato a seconda fino dall'inizio della sua
carriera, mentre bisogna riconoscere che egli deve proprio
alle circostanze che più sembrano averlo favorito di non
occupare, ora che è giunto alla piena e savorosa maturità
del versatile e brillante suo talento, il posto a cui
avrebbe diritto nella scala delle reputazioni degli artisti
italiani dell' ultimo trentennio.
L'avere esordito sotto gli auspicii di uno zio illustre,
fulgida ed incontrastata gloria della moderna scuola
lombarda di pittura, giovò a fargli superare con relativa
sollecitudine e senza troppe difficoltà la barriera di
disdegnosa noncuranza che ostacola di solito chi muove i
primi passi sullo scabro sentiero dell'arte e contribuì non
poco a richiamare sulla giovanile produzione di lui,
malgrado che non si elevasse di molto dalla comune
mediocrità, l'attenzione benevola del pubblico,
procurandogli in pari tempo più di una benaugurante frase
d'incoraggiamento da parte di coloro che fanno i resoconti
delle esposizioni sui giornali quotidiani, senza troppo
preoccuparsi di riuscire acuti nei giudizi e di apparire
imparziali nel distribuire biasimi ed elogi.
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A fargli però scontare tali vantaggi, non tardò molto a
gravare su lui il fato che incombe su chiunque possegga un
prossimo parente celebre e vieta o, nella migliore ipotesi,
ritarda di molto il riconoscimento esplicito e definitivo di
un'individualità, sia di ordine estetico sia di ordine
politico o professionale. E' così che Pompeo Mariani, anche
oggidì, che può dirsi più prossimo alla sessantina che alla
cinquantina, continua ad essere da molti considerato sopra
tutto, se non proprio esclusivamente, come il nipote di Mosè
Bianchi, tanto più che, con l'avanzare dell'età, egli ha
finito col richiamare le sernbianze dello zio, specie per la
barba candida e fluente, per la faccia rosea ed aperta e per
la fronte alta ed ampia, resa dalla calvizie di apparenza
anche più vasta, e tanto più che della memoria dell'autore
dei Fratelli al campo, per la quale serba in fondo
all'anima un vero culto, fatto di ardente tenerezza e di
entusiastica ammirazione, egli si è addimostrato, in
ripetute circostanze, il più strenuo difensore ed il più
convinto ed efficace esaltatore.
Ciò poi che ha senza dubbio contribuito a tenere vivo
l'interessamento, sebbene troppo a fior di pelle e non
abbastanza provvisto di calore, dei visitatori delle
periodiche mostre italiane d'arte per l'abbondante e
piacente produzione del Mariani è che essa, evitando di
stufirli coi medesimi due o tre motivi pittorici conditi
sempre con la medesima salsa cromatica, ha saputo, di tempo
in tempo, presentarsi loro sotto un aspetto affatto
differente per scelta di soggetto, taglio di quadro e
fattura tecnica. Siffatti coraggiosi tentativi di
rinnovarsi, sforzandosi di allargare il campo delle proprie
osservazioni e di rendere più acuta efficace e sottile la
propria visione del mondo reale, a me sembra che siano
sempre da applaudire. E lo sono tanto più qualora essi
rispondano davvero al sincero e spontaneo bisogno di una
limpida coscienza di artista e vengano ripetuti più volte
con buoni risultati, come proprio è avvenuto pel Mariani.
Egli, infatti, progredendo di tappa in tappa, è riuscito a
liberarsi in buona parte dalle scorie del convenzionalismo e
del manierismo che menomavano il valore di parecchie delle
tele della prima e della seconda sua giovinezza e in pari
tempo a comprendere, cosa tuttora molto rara ad incontrarsi
in un pittore italiano che non viva o non abbia vissuto per
alcuni anni all'estero, il particolare fascino della moderna
vita elegante delle grandi città ed a rievocarla, con brio e
con buon gusto, sulla tela o sulla carta.
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La critica, però, che l'aveva seguito con benevolenza per un
lustro o due, encomiandolo ma non affrettandosi a
catalogarlo, un bel giorno si decise a proclamarlo emerito
marinista e, d'allora in poi, ha continuato sì a lodarlo, ma
senza troppo attardarsi a prendere in considerazione le
ulteriori trasformazioni del suo talento artistico e ad
esaminare particolareggiatamente nei loro pregi e nei loro
difetti i suoi quadri più recenti, pur tanto diversi dagli
antecedenti. E' così che Pompeo Mariani, anche oggidì che
impiega quasi tutta l'attività agile e sapiente dei suoi
pennelli a ritrarre scene dal Casino di Montecarlo, continua
da molti ad essere considerato sopra tutto, se non proprio
esclusivamente, come "il pittor delle marine al tramonto".
Infine, essendo egli un discorritore piacevolissimo,
impareggiabile in ispecie nel narrare episodii e nel
tratteggiare figure, mescolando alla parlata italiana
vivificatrici e gustose espressioni dialettali, è accaduto
sovente che il critico d'arte, il quale si era recato allo
studio di lui per vedere i suoi quadri od i suoi monotipi
più recenti e consacrar loro l'indomani un articolo di
giornale od un capitolo di volume, si sia lasciato
conquistare d'un tratto dalla sua vivace conversazione e,
più che guardare, ha ascoltato, di modo che, nelle pagine
scritte subito dopo, si è sbrigato con poche frasi vagamente
laudative delle opere esaminate con scarsa attenzione, e si
sia attardato invece, preferendo per una volta tanto essere
divertente piuttosto che sembrare profondo, a descrivere
l'uomo nella sua simpatica bonarietà, a raccontare i casi
della sua vita di pittore e di galante cavaliere nella
versione gioconda datane da lui medesimo e a ripeterne gli
aneddoti, le definizioni ed i motti meneghinamente
maliziosi.
E' così che da molti anche oggidì, che egli vive soltanto
per l'arte e per la famiglia e che, confinato durante buona
parte dell'anno nella deliziosa sua diletta di Bordighera,
non ha occasione di incontrarsi e di parlare che con un
numero ristrettissimo di persone, viene considerato sopra
tutto, se non proprio esclusivamente, come e "l'arguto e
mondano pittore milanese"
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Orbene io credo che il Mariani, il quale, pure essendo
alieno da ogni istrionismo auto-ammirativo e pure sdegnando,
per nativa signorile fierezza, ogni astuta manovra per
richiamare l'attenzione su di sè e fare prendere in sempre
maggiore considerazione l'opera propria, ha intera e sicura
coscienza del suo non comune valore artistico, debba,
durante le inevitabili ore di sconforto, rilevare, con un
certo vago senso di amarezza, che il successo, il quale pure
gli ha sorriso anche sotto la forma lusinghiera dei premii e
delle medaglie ed in quello proficuo degli acquisti da parte
delle pubbliche gallerie e degli amatori privati, si è
addimostrato per solito di scarsa chiaroveggenza,
trascurando o lasciando del tutto in ombra proprio gli
aspetti più originali e davvero vitali della sua produzione
di pittore.
A questo incompreso fortunato, a questa vittima del successo
banale il conforto spirituale, a cui ha diritto ed a cui non
può non aspirare, più che dal pubblico, al quale non bisogna
mai domandare troppo ad evitare il rischio di non ottenerne
nulla, deve venire dalla critica, come riparazione di una
troppo lunga disattenzione o di un troppo superficiale
esame. Ciò essa potrà e dovrà fare, non già esaltandone
enfaticamente e cervelloticamente le opere, ma
sottoponendole a quel severo coscienzioso e intelligente
giudizio analitico che è mancato loro finora quasi del tutto
e che, precisandone la particolare fisonomia estetica, ne
metta bene in chiaro i pregi e le deficienze.
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Fu a Monza che nacque, nel settembre del 1857, Pompeo
Mariani, ma il trasporto verso la pittura, che doveva in
appresso accendere sempre più i suoi entusiasmi ed assorbire
sempre più i suoi pensieri e la sua attività, non fu a dire
il vero molto precoce in lui. Adolescente, egli s'inizia
agli studii classici per stancarsene abbastanza presto e
troncarli di colpo. Giovanetto, seguendo le ripetute
incitazioni del padre suo, esperto ragioniere ed assai
apprezzato direttore di una scuola di commercio, si reca a
Milano per fare pratica in una banca. Gli studii finanziarii
non riescono però ad esercitare sull'animo suo una maggiore
attrattiva di quelli letterarii ed egli li trascura del suo
meglio per giocare al bigliardo e per corteggiare le belle
donnine, finché, a ventidue anni, credendo di scoprire in sè
una spiccata vocazione per la musica, delibera di entrare
nel Conservatorio, salvo che, cedendo ad una nuova e non
meno improvvisa ispirazione, suscitata forse dalle lodi
esuberanti con cui alcune sue caricature erano state accolte
dai suoi compagni di ufficio e dai suoi amici di caffè,
domanda ed ottiene di frequentare lo studio di Eleuterio
Pagliano, stimatissimo allora fra tutti i pittori che
vivevano ed operavano a Milano.
Appena il Pagliano si fu convinto che nel giovane Pompeo,
destinato a diventare uno degli ultimi ma anche uno dei
migliori suoi allievi, eravi davvero la stoffa di un
artista, incominciò a ben volerlo, incoraggiandolo nelle
prime prove ancora incerte, aiutandolo con sagaci consigli
ed inducendolo a frequentare con assiduità, durante circa
due anni, il corso di anatomia e la scuola del nudo
nell'Accademia di Brera. Il Mariani, da parte sua,
corrispose molto bene a tale interessamento. Rapidissimi e
di giorno in giorno più promettenti furono i suoi progressi,
tanto che, avendone il De Nittis, di passaggio per Milano,
veduti, in una visita fatta al Pagliano, alcuni saggi di
pittura, ne rimase colpito e volle parlarne, con grandi
elogi, a Mosè Bianchi. Costui, che era affatto ignaro della
decisione, presa dal figliuolo della più diletta fra le sue
sorelle, di abbracciare la carriera delle arti belle, ne
accolse con gradita sorpresa la notizia e delle parole
lusinghiere di un giudice tanto competente che
l'accompagnarono rimase commosso fino alle lagrime.
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Fu un secondo premuroso maestro e tenero consigliere che in
lui trovò d'allora in poi il Mariani, il quale, diciamolo a
sua lode, pure accogliendo con grande e riconoscente
deferenza le esortazioni e gli ammonimenti dello zio
benamato, seppe mantenersene abbastanza indipendente, in
maniera da preservare la individuale sua visione di pittore
da un'influenza, che, diventando sempre più immediata ed
imperiosa, avrebbe potuto finire col farne un seguace più o
meno disinvolto e un imitatore più o meno abile
dell'illustre lombardo.
Un viaggio al Cairo, in compagnia degli altri due pittori
Dall'Orto e Fornara, ed una assai operosa permanenza che vi
fece per circa sei mesi, gli permisero, dopo avere esordito
due anni prima a Torino con alcuni modesti studii di alta
montagna, di presentarsi brillantemente in una mostra
internazionale tenutasi a Nizza nel 1883, con una serie di
scene e di figure egiziane. Esse piacquero molto e gli
fruttarono la sua prima medaglia, procurandogli in pari
tempo la viva soddisfazione di sapere che una ne era stata
acquistata dal presidente della giuria in persona, il quale
era nientemeno che il famoso pittore francese Ziem,
le cui vaste tele di soggetto veneziano, di colorazione così
gustosa e sapiente, destavano, in quel giro di tempo, un
vero fanatismo in tutta l'Europa.
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