Conquistato il favore del pubblico e della stampa, nonchè
delle giurie e delle commissioni di acquisti ufficiali, esso
in seguito non gli venne più meno, pure non giungendo a
quell'elevato grado di entusiasmo, che, per ragione di
contrasto, suscita impetuose opposizioni e pugnaci
polemiche. Durante quindi circa un ventennio, i paesaggi, le
scene di caccia, i quadri di genere ed i ritratti, da lui
eseguiti con feconda facilità, trovarono sempre nelle mostre
d'arte liete accoglienze, ma i maggiori successi egli li
ottenne con le vedute del porto di Genova al tramonto od al
chiaro di luna, di cui l'una, Saluto del sol morente,
gli fece vincere a Milano, nel 1884, il premio Umberto di
4000 lire, l'altra, Sorge la luna, gli fece assegnare
una medaglia, nel 1888, a Monaco di Baviera ed una terza,
Vaporino rimorchiatore, venne acquistata dal Ministero
dell'Istruzione Pubblica per la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna.
Altre marine gli suggeriva negli anni susseguenti
Bordighera, ma la fiera ed indomabile indipendenza del suo
carattere anche contro le lusinghiere richieste del pubblico
e contro le complimentose esigenze della critica, che
parevano non voler più vedere ed ammirare in lui che il
pittore del mare, lo indusse, insieme con l'incessante
lodevole bisogno di nuove ricerche che tormentava il suo
cervello, a chiedere ed a trovare in un campo affatto
diverso da quelli coltivati fin allora l'ispirazione pei
suoi pennelli. Evitò così il pericolo, che già da qualche
tempo lo minacciava da presso, di scivolare nell'artificioso
e nel manierato, col troppo frequente ripetere i medesimi
effetti di luce solare, lunare e siderale, riflessi nel
mobile specchio delle acque del mare, e, d'altra parte,
studiando e ritraendo, con acuto sentimento di modernità, le
eleganze mondane di Milano e poi di Montecarlo, egli dette
vita alla parte più originale e più geniale della sua opera
di pittore, se anche possa dirsi che finora non sia tenuta
nel pregio in cui meriterebbe di essere.
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Oltremodo interessante è il seguire, attraverso una scelta
collezione di quadri ad olio, di acquerelli e di monotopie,
eseguiti da Pompeo Mariani in diverse epoche, da quelli
esposti a Nizza nel 1885 a quelli esposti a Roma nel 1913,
le successive fasi della produzione varia e sovrabbondante
di questo valente e simpatico pittore dalla intelligenza
sveglia e indagatrice, dalla vista acuta e penetrante e
dalla mano agile disinvolta e mirabilmente pronta a fissare
sulla carta o sulla tela qualunque cosa riesca a colpire la
sua sensibilità, molto facile ad essere impressionata.
Desideroso, fino dalle sue prime prove, di tenersi in
cospetto alla natura per ritrarne, con appassionata fedeltà,
i mutevoli aspetti caratteristicamente pittoreschi, egli a
venticinque anni intraprese un abbastanza lungo viaggio per
terra e per mare per recarsi da Milano al Cairo a riprodurre
direttamente dal vero quelle figure e quelle scene
dell'Egitto, di cui ho già fatto parola poco innanzi. Però,
mentre la realtà gli stava dinanzi agli occhi, la sua mente
era tutta occupata dal ricordo delle opere di Fortuny e di
Morelli, che in quel tempo facevano delirare d'entusiasmo
artisti giovani e vecchi, e siffatto ricordo ossessionante
ebbe su quanto egli dipingeva influenza mollo maggiore del
vero, che gli era presente, ma a scorgere nitidamente ed a
gustare sinceramente il quale non era stato abbastanza
preparato dai suoi iniziatori all'arte. Sicchè, potendo
riuscire, sia anche soltanto in parte, giovanilmente
originale nella notazione pittorica delle sue impressioni
africane, riuscì invece accorto e piacevole nel richiamare
ora la maniera dell'autore spagnolo del
Matrimonio alla Vicaria ora quella dell'autore del
Conte Luca. Però bisogna convenire che, come purtroppo
accade di sovente, egli dovette il primo suo successo
proprio al suo errore ed eziandio — riconosciamolo per
dovere di lealtà — alla vivace grazia della tavolozza, in
cui già rivelavasi il colorista di razza.
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Della comprensione schietta della realtà e della ferma
sicurezza di visione e di riproduzione, indispensabili per
potersene fare interprete, il Mariani non darà prova affatto
persuasiva che parecchi anni dopo, con varie scene di
caccia, fra le quali io amo in ispecie una, con effetto di
neve sotto il chiaro di luna, intitolata
Tesa all'anitra selvatica, perchè, oltre ad un'efficacia
evocativa non comune, a me pare di ritrovarvi una nota di
spiccata originalità individuale.
Se queste scene cinegetiche passarono quasi inosservate,
furono invece accolti con largo favore alcuni quadretti di
genere di una piacevolezza alquanto leziosa, come ad esempio
Foglia caduta e
Ultimo raggio di sole, e sopra tutto la numerosa
collezione di marine, suggerite al fecondo pennello del
pittore di Monza dall'incantevole riviera ligure. Fra esse
ve ne sono senza dubbio di quelle a cui si potrebbe a
ragione rimproverare una ricerca dell'effetto scenografico
ottenuto con mezzi artificiosi ed altre a cui l'autore si è
sforzato di aggiungere, mercé figure dalle pose e dalle
espressioni teatrali, un interesse novellistico, che è un
fuor d'opera di discutibile buon gusto, ma ve ne sono pure
di molto degne di ammirativa considerazione per la
delicatezza suggestiva con cui vi è espresso il sentimento
dell'ora, che più di una volta è proprio la dantesca ora
in cui volge il desio, o per l'efficacia rappresentativa
con cui vi è riprodotto il turbinoso e fumicante movimento
d'imbarcazioni d'ogni forma e d'ogni mole in un vasto porto
commerciale, quale è quello di Genova.
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Come ritrattista, il Mariani ha avuto, una quindicina di
anni fa, il suo momento di voga, tanto che nobili dame,
severi prelati e brillanti ufficiali, nonchè un ammiraglio
inglese ed un sovrano italiano, vollero posare dinanzi a lui
per dargli agio di fissare le loro sembianze sulla tela.
Pure riconoscendo a questi ritratti il pregio, troppo tenuto
a disdegno dagli artisti e tanto ricercato dai non-artisti,
della rassomiglianza fisica e la lodevole cura di cercare,
con iscrupolo grande se non sempre con buon risultato, di
atteggiare con la maggiore naturalezza possibile la figura
della persona da ritrarre, a me pare di riscontrare in quasi
tutti un non so che di rigido e d'impacciato che mi fa
pensare che un tale genere ponderato e laborioso mal si
attagli all'indole sua di impetuoso spontaneo e rapido
pittore di primo getto. E in questa opinione mi confermo se
contemplo l'uno o l'altro di quelli che egli suole chiamare
semplicemente "studii per ritratti", eseguiti non per
contentare un cliente ma per contentare sè stesso, non per
cogliere una rassomiglianza ma per fissare un gradevole
accordo di tinte, perchè in essi io ritrovo, come ad esempio
nell' ottimo
Studio pel ritratto di mia moglie, tutte le più
seducenti doti del suo pennello.
Una dozzina di anni fa, avvenne che, non potendosi dedicare
alla pittura con la completa abituale dedizione di sè
stesso, perchè le cure assidue che al suo premuroso affetto
chiedeva una grave malattia di Mosè Bianchi assorbivano gran
parte del suo tempo, il Mariani profittasse di un torchio
che aveva sotto mano per consacrare le poche ore di libertà
della giornata ad un particolar genere di monotipo da lui
inventato e che consiste nel dipingere a uno e più colori
sopra una lastra di rame, senza servirsi di acido o di
bulino, e nel tirarne poi una prova unica su carta da
acqueforti. Per quanto si tratti di un genere ibrido, come
quello che non è più pittura e non è ancora incisione ed in
cui inoltre l'accidente fortunato della leggendaria spugna
di Apollo sembra quasi elevato a sistema, devesi riconoscere
che egli ne ha ricavato, mercé la briosa e civettuola grazia
delle tinte vivaci e del disegno sommario, effetti
piacevolissimi, ciò che spiega la favorevole accoglienza che
queste sue "prove uniche" trovarono a Venezia, a Milano e
dovunque in seguito le espose.
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Le più caratteristiche fra esse presentavano figure e scene
della vita notturna delle strade dei caffè e dei teatri di
Milano. La scelta di tali soggetti, che il Mariani più di
una volta si compiaceva di battezzare con titoli umoristici,
lo indusse a contemplare, con speciale attenzione, la vita
che si svolgeva dintorno a sè ed a sentire alfine quella
sottile malia della modernità, che era destinata a
trasformare profondamente l'arte sua. Fu essa che gli ispirò
quelle eleganti e movimentate scene del campo delle corse di
San Siro a Milano e del casinò di giuoco a Montecarlo, le
quali nella sua abbondante produzione artistica sono degne,
a mio avviso, di occupare un posto d'onore. Eppure, così
come le scene di caccia, hanno trovato minor consenso di
simpatia e di lode da parte del gran pubblico italiano, il
quale, benchè non abbia fatto loro il viso d'armi, non ha
mostrato di comprenderne e di apprezzarne appieno la
novatrice e gustosa originalità.
E' da notarsi però che se, fra le scene di vita sportiva
milanese, ve ne è più d'una che assurge all'importanza
compiuta e complessa del quadro, come può affermarsi di
quella, di composizione e di taglio tanto arditamente
modernisti, la quale porta per titolo
Alle corse di San Siro, tutte le scene invece suggerite
da Montecarlo e dipinte a tempera su cartone, con rapida
rievocazione impressionistica di cose e di persone,
rimangono allo stadio di bozzetti. So bene che alcuni di
questi bozzetti, fra i quali vi sono veri gioielli di grazia
di composizione e di savorosità cromatica, possono a buon
diritto preferirsi a molti pregiati e pregevoli quadri
moderni. Ciò però non mi vieta di credere che un artista il
quale in potenzialità vale anche più di quanto valga
fin'adesso l'opera sua in estrinsecazione come io giudico
sia il caso pel Mariani, non possa, mercè un più sapiente
lavoro cerebrale di selezione, dí sintesi e
d'intensificazione, ricavare dal materiale già radunato su
di un così ricco campo di osservazione pittorico e sociale,
due, tre e più quadri di più efficace e profondo significato
estetico.
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Tutto sta nel vedere, se, data l'indole sua primesautière,
per dirla alla francese, che attribuisce tanto spesso a ciò
che egli dipinge le qualità affermative e insieme quelle
negative dell'improvvisazione, gli riesca possibile, mercè
un contenuto e fermo sforzo di volontà, di serbare intatte
la gioconda foga della tavolozza, la schietta spontaneità
della creazione e il brio indiavolato del movimento, che
sono fra le doti maggiori dei suoi bozzetti di Montecarlo,
mentre tenterà di aggiungervi l'equilibrio di composizione,
la saldezza di disegno costruttivo, il giuoco dell'aria e
della luce, nonchè la tipica intensità di espressione delle
figure, considerate in uno scenario di opulenza fattizia e
di lusso equivoco e sotto l'esaltante e traviante duplice
azione della febbre del giuoco e della febbre dei piaceri
sensuali.
Se riuscirà ad ottenere ciò e se, in pari tempo, saprà
rinnovare la sua fattura tecnica, eccellente sotto tanti
aspetti ma sotto altri aspetti tuttora alquanto
convenzionale e tradizionalistica, egli potrà alfine
manifestare interamente la sua genialità d'artista e
produrre qualche opera davvero completa e di ordine
superiore, a cui rimarrà principalmente affidata la sua fama
presso le generazioni future. Non è però improbabile che, al
cospetto di queste nuove opere di cosciente e completa
arditezza modernista, il favore di pubblico e di critica,
che l'ha accompagnato fino ad oggi con mirabile costanza,
venga meno e che egli abbia la sorpresa sgradevole di
sentirsi rivolgere parole di compatimento ed anche
d'ingiuria proprio da coloro che più nel passato l'hanno
encomiato.
Egli però serba tanta impetuosa giovanilità e tanta arguta
serenità di spirito che la cosa non può di sicuro
spaventarlo e chissà che proprio il desiderio paradossale di
provare una buona volta l'acre e pungente emozione di un
vero e pieno insuccesso non l'induca al coraggioso
tentativo. Come suo amico ed estimatore già di antica data,
io mi permetto di sperarlo e di augurarglielo, ben sapendo,
come in Italia lo attesta l'esempio eloquente di un Giovanni
Segantini, che nel mondo delle belle arti i fiaschi
clamorosi dell'oggi molto spesso diventano per un pittore o
uno scultore i suoi maggiori titoli di gloria per
l'avvenire.
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Vittorio Pica
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