Pillole d'Arte

    
Autori   |   Opere   |   Documenti   |   Bibliografia   |   Contatti   |   Esci

 
(Fonte : Emporium - nr 192 - Dicembre 1910)

Pagina   1   |  2  |  3  |  4  

Francesco Paolo Michetti

 
L'ho riveduto a Venezia l'aprile scorso, dopo molti anni, ma immutato e, pare, immutabile.
- Quando riparti ?
- Quando finisce la carica.
Uno dei presenti ha osato domandate:
- Che carica ?
Michetti s'è fatto indietro con la testa, quasi per contemplare nelle sue tre dimensioni la cubica ignoranza dell'interlocutore, gli ha spalancato addosso i suoi grandi occhi neri, e ha ripetuto:
- Mah... la carica, - e l'ha sillabato con tanto stupefatta semplicità che quell'altro ha pensato a qualche carica senatoriale, professorale, ministeriale del celebre pittore, notissima a tutti e sfortunatamente a lui ignota, e non ha più fiatato. Ma Michetti l'ha soccorso; ha chiuso gli occhi come per raccogliersi prima di rivelare il terribile mistero, poi gli ha spiegato tra paterno e scanzonato:
- Vede, quando io vado in una città, carico dentro di me la molla della pazienza. Ma non posso sapere quanto dura la carica. All'improvviso la molla scatta. E allora non c' è santi che tengano. Da un'ora all'altra, da un minuto all'altro, io lascio tutto in asso e torno a Francavilla. Dalle città io non parto, fuggo. Ha capito che cos'è la carica ?

Infatti era arrivato lì all'esposizione un giorno prima dell'inaugurazione. Fino allora non erano giunte che le cornici dei suoi paesaggi. La segreteria gli aveva telegrafato e ritelegrafato per sapere almeno i titoli: nessuna risposta. Michetti esporrà? Non esporrà? La sala che gli era destinata aspettava, vuota. Il catalogo era stato stampato con questa sola indicazione per quella sala: "Quindici paesaggi abruzzesi". Fradeletto già pensava a che cosa bisognava mettervi se mancavano i quadri di Michetti. E finalmente Michetti è arrivato sereno, un gran rotolo sotto il braccio.
- E i quadri ?
- Eccoli, - e ha mostrato il rotolo.
- Tutti e quindici ?
- Non bastano ?
- Ma per metterli in cornice? Per appenderli? Ci son più poche ore.....
- Sono anche troppe, - e s'è messo da sè a lavorare rifiutando ogni aiuto.


Traeva dal rotolo una tempera, la stendeva sul cartone bianco, la appuntava in quattro gesti con certe sue spille. Due ore dopo la sala era pronta. E' passato un altro mese prima che si risolvesse a dare i prezzi di quei paesaggi. Ad alcuni intanto sembrava che i quadri fossero esposti troppo in alto; ad altri che quella crudissima carta bianca su cui egli aveva appuntato le sue tempere, le scurisse. Qualcuno ha osato dirglielo. Michetti è stato inflessibile: era un suo metodo, un suo ragionamento, una sua scoperta, e non ammetteva discussioni. Lo stesso aveva fatto trent'anni fa, nel 1881, alla grande Nazionale di Milano. Aveva telegrafato promettendo trentacinque opere, ma chiedendo tutt'una sala parata di tela azzurra. E arrivò all'ultimo momento con tutte le sue opere, ma quando non trovò la tela azzurra si rifiutò di trarle dalle casse. Ci volle del bello e del buono a convincerlo; egli aveva la sua teoria sulla tela azzurra e Leonardo in persona non l'avrebbe smosso.

Perchè con Michetti potete discutere, fino a un certo punto, sulla bellezza d'una sua pittura, ma non sui vantaggi d'una sua scoperta tecnica o meccanica. Da dieci anni, ad esempio, egli ha dipinto poco perchè ha atteso a rendere perfetta questa sua nuova tempera in cui il colore è sciolto con uno speciale processo nella glicerina, e a renderla maneggevole tanto che ha inventato anche un lungo sgocciolatoio automatico perchè sulla carta scorra sempre un po' d'acqua e sgrassi il colore. Adesso egli pensa che la sua tempera sia trasparente, maneggevole, definitiva, e solo per questo ha dipinto in poco tempo questi suoi paesaggi e ha accettato l'invito di Venezia e li ha esposti. - Ho perduto molto tempo per poter fare presto.

Far presto. Un pittore che in piena accademia di divisionisti, di puntinisti, di ricamisti faticosi, d' "ingenuisti" grafomani capaci magari di costruire una teoria filosofica per sorreggere quattro freghi di bianco rosso e verde e farli credere pittura, si occupa ancora di raggiungere una tecnica veloce fluida e sicura per dire presto e chiaramente quel che ha da dire, è un miracolo. Anche prima che d'arte, è un miracolo di sincerità e d'abnegazione. Di sincerità, perchè Michetti s'affanna dietro a questi problemi tecnici soltanto per togliere alla sua irruenza di meridionale ogni impaccio nel mezzo d'espressione, cioè per essere più immediato e più semplice che gli è possibile, forse in quest'ansia di ricerche dimenticando qualche volta che non basta un buon inchiostro per scrivere una buona poesia. D'abnegazione, perchè di fatto pochi pittori moderni raggiunsero tanto presto quanto lui tanta destrezza e prontezza nel dipingere ad olio, a pastello, a guazzo, a tempera felicemente; e di questi pochi nessuno, dopo l'ebbrezza dei primi anni, diffidò quanto lui di questa destrezza e continuò, come egli continua anche sessantenne, a cercare sempre di imitare la piacevole abilità in meditata semplicità. Il quale sforzo giustificò dieciotto anni fa l'iperbole affettuosa di Gabriele d'Annunzio: "Egli non è soltanto il più possente e il più felice organismo pittorico apparso in questo secolo; ma è ben anco la più acuta intelligenza che sia penetrata nel pieno spirito dell'Arte moderna".

A Tocco Casauria, in quel di Chieti, si sale dalla strada di Popoli per bere l'ardente e limpido Centerbe che vi si distilla dall'erbe della Majella, e per vedere la casa dov'è nato Francesco Paolo Michetti. Della casa, veramente, dal grande stradale bianco non si vede che una finestrella cogli stipiti bianchi sulla facciata rosa, ma appena arriva un forestiero, tutte le dita si tendono a quella finestrella: - Lassù è nato Michetti! - Gli abruzzesi hanno infatti, fra i viventi, molti uomini celebri: d'Annunzio, Michetti, Tosti e Benedetto Croce. Ma il mastro, cioè il maestro, resta Michetti, non solo perchè è Michetti, ma perchè non ha lasciato mai l'Abruzzo.

Suo padre, Crispino Michetti, maestro di musica e capobanda a Tocco, morì che Cicillo era bambino. - Ero nel negozio di mio nonno ? narra Michetti, ? e molte persone si chinavano su me, accarezzandomi: "Papà è morto". Morto? Non capivo. Andai su a casa e mi sedetti in fondo alla scala. Tanta gente saliva e scendeva e passando tutti mi facevano una carezza. Io li guardavo curioso e orgoglioso di meritare tante attenzioni. E della morte di mio padre non ricordo altro.

Aveva quattro fratelli e una sorella. Per essi, sua madre, una romana, Aurelia Terzini, dovette risposarsi, con un cuoco che condusse la nuova famiglia a Chieti dove Francesco Paolo fu mandato alle tecniche. Vi insegnava disegno alla meglio un tipografo, e il ragazzo lo seguiva anche fuori di scuola per aver carta e matita. Tanto disegnò che a diciassette anni, nel 1868, ottenne dalla Provincia trenta lire al mese e corse a Napoli. L'avevano raccomandato all'incisore Bocchini, un chietino. Proprio il giorno dopo l'arrivo del Michetti, egli doveva andare all'Accademia per presentare le prime prove di alcune incisioni al professore Gabriele Smargiassi abruzzese anche lui, di Vasto, che aveva insegnato pittura, si diceva, a Napoleone terzo, era stato carissimo al Conte d'Aquila fratello di re Francesco, aveva viaggiato mezza Europa e aveva venduto paesaggi storici ed eroici a tutte le corti del mondo. Il Bocchini condusse con sè il suo raccomandato. Lo Smargiassi, elegante, solenne, vestito all'inglese, la barba a spazzola, li ricevè con sussiego.
- Sa, questo è un giovanetto che viene da Chieti per diventare un pittore....
- Comme, tu vo' fa o' pittore? Fa chiuttosto 'o solachiaviello, - che in napoletano vuol dire calzolaio.
 
Adesso il Michetti descrivendo quell'incontro commenta: ? Quella fu la prima parola che udii dall'arte ufficiale. ? Naturalmente all'accademia di nudo non fu ammesso. Ci si ficcò da sè, con la sua imperturbabile sicurezza. Edoardo Dalbono, che frequentava quell'accademia, una sera di inverno, durante il riposo del modello, passeggiando dietro i banchi per scaldarsi, vide in un angolo buio quel ragazzo scuro come un mulatto, con due occhi lucidi e impertinenti, vestito di panno turchino come un capraio.
- Perchè non andate a disegnare sui banchi ?
- E chi mi dà una tavoletta? Chi mi dà un foglio di carta da disegno? E poi chi mi dà il permesso? Il bidello se mi vede mi mette alla porta. - Lasciatemi vedere quel che fate,
- e il Dalbono dovè strappargli di mano il pezzo di carta da droghiere su cui quello disegnava. Restò stupefatto, lo invitò al suo studio, convinse suo zio Cesare Dalbono presidente dell'Accademia ad ammetterlo ai corsi regolarmente. E Michetti studiò, dipinse, incise, scolpì con una furia di cui solo più tardi capì la ragione segreta: voleva imparare tutto quel che poteva imparare, e poi tornarsene in Abruzzo. Né imparare gli riusciva difficile, che egli era nato per dipingere come gli uccelli son nati per volare. Era scontroso sempre e di poche parole: pareva temesse che, a vederlo ancora così giovane e povero e ignoto, qualcuno potesse dubitare di lui e di tutto quel che egli ormai era certo di poter fare. Dipingeva sopra tutto animali perchè Palizzi li aveva messi di moda in pittura, perché gli facevan pensare alla campagna desiderata e lontana, infine perchè come modelli non costavano niente.



Pagina   1   |  2  |  3  |  4