Di Telemaco Signorini si sono raccolti solamente gli studi
ed i quadri di piccole proporzioni : forse appena quello che
era nello studio quando la morte spietata lo colpi. Vittorio
Pica,
nell'Emporium, ha dato dell'artista toscano una
singolare e vivida pittura. Non sarebbe perciò il caso di
riesaminare le qualità del compianto pittore, davanti
all'opera sua minore, che va dagli studi affrettati, eppure
cosi sinceri, di Riomaggiore, agli appunti della campagna
senese, di Val di Magra, dell' isola dell'Elba e di
Settignano. Bella e ricca prova, questa, dell'indole del
Signorini, tutto fervido dei propri ideali, largo
nell'inspirazione, piacevole nel colore, sobrio nella
ricerca delle tonalità troppo alte, con un senso pieno di
verità ed una tendenza a rivelare le cose umili, a dare
anche al tenue la ricchezza dell'impressionabilità e del
pittoresco.
E' un peccato che un'altra delle forme d'arte in cui il
Signorini si compiaceva di affermarsi, l'acquaforte, si sia
qui a Torino quasi trascurata. O c'è da chiedere perchè le
undici stampe del
Mercato vecchio si siano cacciate in una sala
lontano, in fondo ad un paravento, mentre potevano figurare
cosi bene qui, dove il Signorini pare, tra gli schizzi, gli
sbozzi e le piccole tele finite, che riviva!
Mose Bianchi non e rappresentato che da poche tele ; le
quali non appartengono, tranne una o due, al periodo di lui
più peculiare. Ma il suo amore per Chioggia, la gioia tutta
intima ch'egli ritrovava nel ricercare le penombre e gli
effetti serotini, appare dagli studi ad olio, a pastello ed
a acquerello che si sono avuti e che formano, storicamente,
una raccolta fra le più importanti della mostra. II Cav.
Giulio Pisa ha voluto concorrere con un'opera di sua
proprietà,
A Chioggia, a completare la figura dell'artista
lombardo, a cui vorremmo che da queste colonne giungesse un
augurio fervido che lo risanasse e ce lo ridesse all'arte.
Ed attorno a questo quadro che resta fra le cose più belle
del Bianchi, quante idee, quanti propositi, quante
inspirazioni colte ed espresse in una pennellata maestra, in
un profilo ancor ruvidamente segnato col lapis ed appena
completate con un tono monocromo! Che macchia felicissima di
colore nello studio pel quadro La mosca cieca, e che
impressioni gustose della Milano caratteristica : sotto la
nebbia, nell'ora del tramonto, nella notte già rischiarata
dalla Luce artificiale ! Come davanti alla mostra di
Telemaco Signorini, cosi dinanzi a questa del Bianchi, ci si
sente il lavoro vigile e caldo dell'artista che e pieno
dell'arte sua e che si esprime rapido con la freschezza
della mano e dell'occhio, che vedono e sentono la verità.
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Qua e là è ancora il romantico, ancora, fuori della
tecnica, qualche tendenza verso l'accademismo dell' Hayez e
verso la ribellione intuitiva del Cremona, ma che tavolozza
soffice che sa toccare tutte le bellezze ed i colori che son
nella natura e tutte le angosce ed i tormenti che sono
nell'umanità ! Qui sentiamo veramente la personalità del
Bianchi nella cara intimità del suo studio ora muto e
deserto, e non ci par vero che la tavolozza non senta più la
stretta nervosa delle sue dita!
Dal bianco e nero si e finito per giungere, in onore di
Antonio Fontanesi, ad una raccolta molto discutibile e
certamente niente ortodossa, degli studi d'album e di
cavalletto. Indubbiamente tutto ciò che è del maestro
reggiano interessa e scuote. Ma confondere l'opera
commerciale con l'opera apostolica non è sempre conveniente.
E questa stanzetta intima, dove pure avrebbe potuto
collocarsi il busto modellato da Leonardo Bistolfi, finisce
per non persuadere, sebbene contenga più d'un gioiello, come
lo studio per l' Armento e l'abbozzo per la
Quiete.
Questa del Fontanesi è una figura gigantesca : e per
serbarne intero il fascino dobbiamo saper scegliere fra le
cose sue, e scegliere con gusto. Un'esposizione postuma deve
sempre rivelare qualche lato ignorato dell'artista. Ora
nulla ci rivelano questi centotrenta tra studi, disegni,
litografie ed acqueforti che già non si sappia. E pare, che
il nome del Fontanesi abbia servito niente altro che ad un
pretesto per ricordare il nome suo, già cosi nel cuore di
tutti. Più degnamente, ci sembra, egli doveva essere
commemorato.
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Dei vivi, Vittorio Cavalleri ci si presenta, ad un tempo,
come il più discusso ed il più ammirato. Esso offre la
materia varia d'una esposizione individuale. Ha il paesaggio
e la figura : la scena di genere ed il quadro sacro: il
ritratto di piccole dimensioni e quello d'aria aperta. Ha,
insomma, un insieme di opere che rivelano i suoi vari
atteggiamenti d'artista e ce lo presentano come veramente è
nella sua forte virilità. E qui ci sembra, innanzi tutto, un
comotivo ed un sincero. Non gli si può dire di ricercare con
arte fittizia quello che non c'e. Se predomina, in questa
raccolta di tele piccole ed ampie, un difetto, gli e
precisamente un'esagerazione di comotività, che lo pone
troppo audacemente avanti al vero, e gli fa dipingere
coute qui coute tutto ciò che lo impressiona. L'occhio
d'artista venuto su indisciplinato, ma gagliardo e schietto,
gli dà per fortuna quasi sempre gli elementi della scena
pittoresca, quella in cui l'esuberanza, qualche volta
eccessiva, della tavolozza, può essere messa a profitto e
bene. Vivendo continuamente nel silenzio, in mezzo alla
campagna, davanti allo spettacolo delle Alpi che cingono
lontano la estrema pianura piemontese, sente l'idillico ed
il tragico della natura, i colori foschi del tramonto dopo
l'uragano, lo splendore del meriggio tutto infocato dal
sole, l'ora dolce dell'alba e del risveglio mattutino. E non
c'e fenomeno di tono anche violento, anche audace ch'egli
non tenti.
Ma quest'eccesso di impressionabilità lo porta ad una
disuguaglianza di mezzi. Certe ruvidezze ed asprezze di
colore paiono artificiose : indispongono l'occhio calmo e
riflessivo. II disegno più d'una volta vi e trascurato ;
egli dà, in altre parole, l'opera come sgorga dal suo
temperamento, libero e franco, sincero ed appassionato,
senza ritornarvi poi sopra, colla pupilla educata a
soffocare l'eccesso della improvvisazione. La Sacra
Famiglia, bellissima sinteticamente, sentita con grazia
spirituale ed espressa con lucido sentimento, è guastata da
un'indolenza di forme incomprensibile. Ed il difetto si
ripete nella Madre e nel Turbine che e fra le
cose migliori del Cavalleri. Questa sfilata di comunicanti
Bianco vestite, colte dal turbine, nel breve cortiletto
della sagra, è magnifico come impressione pittorica, e
rivela l'audacia del Cavalleri, la sua ricchezza di colori,
la sua esuberanza di vitalità artistica. Ma la tavolozza
vivida di questo pittore piemontese si estrinseca ancor
meglio nella Battaglia di fiori, che ha particolari
veramente deliziosi, nella Primavera
e nel Fior d'Alpe che il Municipio volle acquistare.
II contrasto delle luci, delle tonalità alte e basse ; certe
luminosità, certe trasparenze ottenute con un impasto da
maestro, dimostrano quarto il Cavalleri studi la natura e
come l'ami di affetto inestinguibile.
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Con due quadri di grandi dimensioni, una serie di
ritratti e di studi, una figura al vero, all'aria aperta,
sotto il sole : con la femme, premiata a Milano,
Giacomo Grosso ' ci da il concorso suo. La Sacra Famiglia
è sentita ben diversamente dal Cavalleri. II Cavalleri
l'ha imbevuta di tradizione e di simbolo. Il Grosso la
rappresenta nella realtà della storia e dei fatti.
Nell'umile bottega da falegname, tra il padre che solleva la
persona dal quotidiano lavoro per ascoltarlo e la madre che
lo guarda amorosamente tra la gioia ed il timore, futuro
redentore dell'umanità parla, col gesto fermo, coll'occhio
vivo, col piccolo corpo teso nell'espansione dell'animo che
sa tutto e dice tutto. Lungo la strada soleggiata la voce
del precoce giovinetto si diffonde gloriosamente, ed il
popolo s'affretta ad udirlo sulla soglia dell'officina,
pendendo attenta e devota dal labbro suo. Una maggiore
vivacità nel colorito avrebbe data una più profonda
suggestione alla scena. Da un fondo più oscuro, da un
contrasto più pieno di toni, essa sarebbe uscita più
intensamente comotiva. Nel suo complesso l'opera è, ad ogni
modo, significativa : e basterebbero questi studi separati
di teste, la varia passione che è dipinta e espressa nel
viso dei personaggi per mostrare quanto l'artefice sia
sicuro di se.
Ma ancor più sicuro ci appare nel Rimpianto, in
cui la pienezza della tecnica sconsiglierebbe qualsiasi
appunto che si volesse fare. Al Grosso piace sfidare e
risolvere le difficoltà. E quest'ampia tela, che avrebbe
potuto pel suo soggetto essere contenuta anche in più
piccole proporzioni, senza perder nulla del suo fascino e
del suo valore rappresentativo, pare quasi la pietra di
paragone e d'assaggio dell'artista. Il quale ha ottenuti nel
lucore della notte lunare effetti notevolissimi di luce: ha
sentito e conservato quello che di leggiero c'e nell'aria,
con trasparenze morbide, con delicatezze indefinibili. Del
ritratto all'aria aperta, è facile cogliere l'pressione
simpaticissima. Sotto il sole procede la figura femminile,
vestita in un leggero vestito chiaro. E la luce la copre, la
innonda, le sorride attorno e le verzure mandano il loro
profumo, come una carezza. Ben movimentata e solida pittura
: pittura che rappresenterebbe il valore del Grosso come
ritrattista, se non ci fossero qui la Femme,
il ritratto della signorina C. B., quello in rosso della
signora Oitana e del padre, opere già conosciute e che hanno
data grande lode al Grosso. Il vigore dello sbozzo pel
ritratto della contessa Carrié, non fa dimenticare la
carezzevole onda spirituale che è nel Silenzio antico,
con cui il Grosso riconferma il suo bel temperamento anche
di paesista.
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Di Marco Calderini e di Carlo Follini vi è buon nucleo di
opere. II Follini ha un eccellente studio di luce vesperale,
che l'Avondo, buon giudice, diceva sul fare del Turner. Le
altre cose, sentite con l'eleganza consueta, risentono un
po' della fretta con cui furono condotte. II Calderini non
spicca che per poche tele, dipinte con quella austerità di
sentimento e di verità che è cosi forte in lui. Ma ripete
soverchiamente se stesso, e certi difetti di durezza negli
studi recenti e nel grande quadro Ottobre al Lago
Maggiore, di una intonazione quasi litografica, si
vorrebbero evitati. Cosi nella Decorazione per
sopraporta gli sfugge quel segreto del disegno e quel
giusto senso della grazia che sono fra le sue doti più
espressive, per la mania evidente di voler scendere
nell'arcaico.
Andrea Tavernier ha qualcuna delle sue tele mirabili
d'espressione e di verità. Non è certo il luogo di discutere
la sua tecnica : il mezzo con cui giunge a cogliere la più
lieve, la più impercettibile sfumatura del paesaggio ed a
racchiudere nel quadro tanta potenza di vero. Nel
Mattino autunnale, nelle
Ginestre ed in Settembre egli dà la nota
sicura della sua tavolozza. In Lungo l'Eurota
abbonda maggiormente il sentimento; v'è qualche cosa che fa
pensare agli antichi, se lo sfondo, forse un po' cupo, della
boscaglia che chiude le acque, ed il nudo splendente sulla
macchia candida del cigno, non rivelassero la tavolozza
moderna che scruta e sente ed interpreta la natura nei suoi
sfoggi più incantevoli. il Mattino autunnale
era stato segnalato dalla Commissione pel premio degli
artisti. Ed il Bistolfi notava, appunto, la vigoria
dell'opera, che sarebbe stata perfetta, se certe parti alte
del quadro non avessero sentito l'artificio non ancora
completamente vinto. Questi cieli infatti del Tavernier sono
duri. Non c'e la trasparenza ne la dolcezza, che sono
nell'atmosfera. Le sue nubi non corrono veloci ; i suoi
cirri non sono abbandonati nella libertà dello spazio.
Difetto che il Ruskin diceva di evitare ed insegnava anche a
superare.
P. C. Gilardi è pittore che sta fra il passato ed il
presente, ma che sente I'arte con una grande nobiltà di
intenti. II suo ciclo di opere non ne mostra interamente
l'individualità. Nella
Visita alla saga è forse un po' duro, ma è caro di
colore e di disegno. I molti ritratti che espone, piccoli,
sul genere degli antichi fiamminghi, hanno un fare nutrito.
E ci si arresta volentieri davanti a quello del padre, che
racchiude, in poco spazio, fortissime doti.
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