Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr. 94 - Ottobre 1902)

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ESPOSIZIONE QUADRIENNALE DI BELLE ARTI IN TORINO

 
Di Telemaco Signorini si sono raccolti solamente gli studi ed i quadri di piccole proporzioni : forse appena quello che era nello studio quando la morte spietata lo colpi. Vittorio Pica, nell'Emporium, ha dato dell'artista toscano una singolare e vivida pittura. Non sarebbe perciò il caso di riesaminare le qualità del compianto pittore, davanti all'opera sua minore, che va dagli studi affrettati, eppure cosi sinceri, di Riomaggiore, agli appunti della campagna senese, di Val di Magra, dell' isola dell'Elba e di Settignano. Bella e ricca prova, questa, dell'indole del Signorini, tutto fervido dei propri ideali, largo nell'inspirazione, piacevole nel colore, sobrio nella ricerca delle tonalità troppo alte, con un senso pieno di verità ed una tendenza a rivelare le cose umili, a dare anche al tenue la ricchezza dell'impressionabilità e del pittoresco.
E' un peccato che un'altra delle forme d'arte in cui il Signorini si compiaceva di affermarsi, l'acquaforte, si sia qui a Torino quasi trascurata. O c'è da chiedere perchè le undici stampe del Mercato vecchio si siano cacciate in una sala lontano, in fondo ad un paravento, mentre potevano figurare cosi bene qui, dove il Signorini pare, tra gli schizzi, gli sbozzi e le piccole tele finite, che riviva!

Mose Bianchi non e rappresentato che da poche tele ; le quali non appartengono, tranne una o due, al periodo di lui più peculiare. Ma il suo amore per Chioggia, la gioia tutta intima ch'egli ritrovava nel ricercare le penombre e gli effetti serotini, appare dagli studi ad olio, a pastello ed a acquerello che si sono avuti e che formano, storicamente, una raccolta fra le più importanti della mostra. II Cav. Giulio Pisa ha voluto concorrere con un'opera di sua proprietà, A Chioggia, a completare la figura dell'artista lombardo, a cui vorremmo che da queste colonne giungesse un augurio fervido che lo risanasse e ce lo ridesse all'arte. Ed attorno a questo quadro che resta fra le cose più belle del Bianchi, quante idee, quanti propositi, quante inspirazioni colte ed espresse in una pennellata maestra, in un profilo ancor ruvidamente segnato col lapis ed appena completate con un tono monocromo! Che macchia felicissima di colore nello studio pel quadro La mosca cieca, e che impressioni gustose della Milano caratteristica : sotto la nebbia, nell'ora del tramonto, nella notte già rischiarata dalla Luce artificiale ! Come davanti alla mostra di Telemaco Signorini, cosi dinanzi a questa del Bianchi, ci si sente il lavoro vigile e caldo dell'artista che e pieno dell'arte sua e che si esprime rapido con la freschezza della mano e dell'occhio, che vedono e sentono la verità.


Qua e là è ancora il romantico, ancora, fuori della tecnica, qualche tendenza verso l'accademismo dell' Hayez e verso la ribellione intuitiva del Cremona, ma che tavolozza soffice che sa toccare tutte le bellezze ed i colori che son nella natura e tutte le angosce ed i tormenti che sono nell'umanità ! Qui sentiamo veramente la personalità del Bianchi nella cara intimità del suo studio ora muto e deserto, e non ci par vero che la tavolozza non senta più la stretta nervosa delle sue dita!

Dal bianco e nero si e finito per giungere, in onore di Antonio Fontanesi,  ad una raccolta molto discutibile e certamente niente ortodossa, degli studi d'album e di cavalletto. Indubbiamente tutto ciò che è del maestro reggiano interessa e scuote. Ma confondere l'opera commerciale con l'opera apostolica non è sempre conveniente. E questa stanzetta intima, dove pure avrebbe potuto collocarsi il busto modellato da Leonardo Bistolfi, finisce per non persuadere, sebbene contenga più d'un gioiello, come lo studio per l' Armento e l'abbozzo per la Quiete. Questa del Fontanesi è una figura gigantesca : e per serbarne intero il fascino dobbiamo saper scegliere fra le cose sue, e scegliere con gusto. Un'esposizione postuma deve sempre rivelare qualche lato ignorato dell'artista. Ora nulla ci rivelano questi centotrenta tra studi, disegni, litografie ed acqueforti che già non si sappia. E pare, che il nome del Fontanesi abbia servito niente altro che ad un pretesto per ricordare il nome suo, già cosi nel cuore di tutti. Più degnamente, ci sembra, egli doveva essere commemorato.


Dei vivi, Vittorio Cavalleri ci si presenta, ad un tempo, come il più discusso ed il più ammirato. Esso offre la materia varia d'una esposizione individuale. Ha il paesaggio e la figura : la scena di genere ed il quadro sacro: il ritratto di piccole dimensioni e quello d'aria aperta. Ha, insomma, un insieme di opere che rivelano i suoi vari atteggiamenti d'artista e ce lo presentano come veramente è nella sua forte virilità. E qui ci sembra, innanzi tutto, un comotivo ed un sincero. Non gli si può dire di ricercare con arte fittizia quello che non c'e. Se predomina, in questa raccolta di tele piccole ed ampie, un difetto, gli e precisamente un'esagerazione di comotività, che lo pone troppo audacemente avanti al vero, e gli fa dipingere coute qui coute tutto ciò che lo impressiona. L'occhio d'artista venuto su indisciplinato, ma gagliardo e schietto, gli dà per fortuna quasi sempre gli elementi della scena pittoresca, quella in cui l'esuberanza, qualche volta eccessiva, della tavolozza, può essere messa a profitto e bene. Vivendo continuamente nel silenzio, in mezzo alla campagna, davanti allo spettacolo delle Alpi che cingono lontano la estrema pianura piemontese, sente l'idillico ed il tragico della natura, i colori foschi del tramonto dopo l'uragano, lo splendore del meriggio tutto infocato dal sole, l'ora dolce dell'alba e del risveglio mattutino. E non c'e fenomeno di tono anche violento, anche audace ch'egli non tenti.

Ma quest'eccesso di impressionabilità lo porta ad una disuguaglianza di mezzi. Certe ruvidezze ed asprezze di colore paiono artificiose : indispongono l'occhio calmo e riflessivo. II disegno più d'una volta vi e trascurato ; egli dà, in altre parole, l'opera come sgorga dal suo temperamento, libero e franco, sincero ed appassionato, senza ritornarvi poi sopra, colla pupilla educata a soffocare l'eccesso della improvvisazione. La Sacra Famiglia, bellissima sinteticamente, sentita con grazia spirituale ed espressa con lucido sentimento, è guastata da un'indolenza di forme incomprensibile. Ed il difetto si ripete nella Madre e nel Turbine che e fra le cose migliori del Cavalleri. Questa sfilata di comunicanti Bianco vestite, colte dal turbine, nel breve cortiletto della sagra, è magnifico come impressione pittorica, e rivela l'audacia del Cavalleri, la sua ricchezza di colori, la sua esuberanza di vitalità artistica. Ma la tavolozza vivida di questo pittore piemontese si estrinseca ancor meglio nella Battaglia di fiori, che ha particolari veramente deliziosi, nella Primavera e nel Fior d'Alpe che il Municipio volle acquistare. II contrasto delle luci, delle tonalità alte e basse ; certe luminosità, certe trasparenze ottenute con un impasto da maestro, dimostrano quarto il Cavalleri studi la natura e come l'ami di affetto inestinguibile.


Con due quadri di grandi dimensioni, una serie di ritratti e di studi, una figura al vero, all'aria aperta, sotto il sole : con la femme, premiata a Milano, Giacomo Grosso ' ci da il concorso suo. La Sacra Famiglia è sentita ben diversamente dal Cavalleri. II Cavalleri l'ha imbevuta di tradizione e di simbolo. Il Grosso la rappresenta nella realtà della storia e dei fatti. Nell'umile bottega da falegname, tra il padre che solleva la persona dal quotidiano lavoro per ascoltarlo e la madre che lo guarda amorosamente tra la gioia ed il timore, futuro redentore dell'umanità parla, col gesto fermo, coll'occhio vivo, col piccolo corpo teso nell'espansione dell'animo che sa tutto e dice tutto. Lungo la strada soleggiata la voce del precoce giovinetto si diffonde gloriosamente, ed il popolo s'affretta ad udirlo sulla soglia dell'officina, pendendo attenta e devota dal labbro suo. Una maggiore vivacità nel colorito avrebbe data una più profonda suggestione alla scena. Da un fondo più oscuro, da un contrasto più pieno di toni, essa sarebbe uscita più intensamente comotiva. Nel suo complesso l'opera è, ad ogni modo, significativa : e basterebbero questi studi separati di teste, la varia passione che è dipinta e espressa nel viso dei personaggi per mostrare quanto l'artefice sia sicuro di se.

Ma ancor più sicuro ci appare nel Rimpianto, in cui la pienezza della tecnica sconsiglierebbe qualsiasi appunto che si volesse fare. Al Grosso piace sfidare e risolvere le difficoltà. E quest'ampia tela, che avrebbe potuto pel suo soggetto essere contenuta anche in più piccole proporzioni, senza perder nulla del suo fascino e del suo valore rappresentativo, pare quasi la pietra di paragone e d'assaggio dell'artista. Il quale ha ottenuti nel lucore della notte lunare effetti notevolissimi di luce: ha sentito e conservato quello che di leggiero c'e nell'aria, con trasparenze morbide, con delicatezze indefinibili. Del ritratto all'aria aperta, è facile cogliere l'pressione simpaticissima. Sotto il sole procede la figura femminile, vestita in un leggero vestito chiaro. E la luce la copre, la innonda, le sorride attorno e le verzure mandano il loro profumo, come una carezza. Ben movimentata e solida pittura : pittura che rappresenterebbe il valore del Grosso come ritrattista, se non ci fossero qui la Femme, il ritratto della signorina C. B., quello in rosso della signora Oitana e del padre, opere già conosciute e che hanno data grande lode al Grosso. Il vigore dello sbozzo pel ritratto della contessa Carrié, non fa dimenticare la carezzevole onda spirituale che è nel Silenzio antico, con cui il Grosso riconferma il suo bel temperamento anche di paesista.


Di Marco Calderini e di Carlo Follini vi è buon nucleo di opere. II Follini ha un eccellente studio di luce vesperale, che l'Avondo, buon giudice, diceva sul fare del Turner. Le altre cose, sentite con l'eleganza consueta, risentono un po' della fretta con cui furono condotte. II Calderini non spicca che per poche tele, dipinte con quella austerità di sentimento e di verità che è cosi forte in lui. Ma ripete soverchiamente se stesso, e certi difetti di durezza negli studi recenti e nel grande quadro Ottobre al Lago Maggiore, di una intonazione quasi litografica, si vorrebbero evitati. Cosi nella Decorazione per sopraporta gli sfugge quel segreto del disegno e quel giusto senso della grazia che sono fra le sue doti più espressive, per la mania evidente di voler scendere nell'arcaico.

Andrea Tavernier ha qualcuna delle sue tele mirabili d'espressione e di verità. Non è certo il luogo di discutere la sua tecnica : il mezzo con cui giunge a cogliere la più lieve, la più impercettibile sfumatura del paesaggio ed a racchiudere nel quadro tanta potenza di vero. Nel Mattino autunnale, nelle Ginestre ed in Settembre egli dà la nota sicura della sua tavolozza. In Lungo l'Eurota abbonda maggiormente il sentimento; v'è qualche cosa che fa pensare agli antichi, se lo sfondo, forse un po' cupo, della boscaglia che chiude le acque, ed il nudo splendente sulla macchia candida del cigno, non rivelassero la tavolozza moderna che scruta e sente ed interpreta la natura nei suoi sfoggi più incantevoli. il Mattino autunnale era stato segnalato dalla Commissione pel premio degli artisti. Ed il Bistolfi notava, appunto, la vigoria dell'opera, che sarebbe stata perfetta, se certe parti alte del quadro non avessero sentito l'artificio non ancora completamente vinto. Questi cieli infatti del Tavernier sono duri. Non c'e la trasparenza ne la dolcezza, che sono nell'atmosfera. Le sue nubi non corrono veloci ; i suoi cirri non sono abbandonati nella libertà dello spazio. Difetto che il Ruskin diceva di evitare ed insegnava anche a superare.

P. C. Gilardi è pittore che sta fra il passato ed il presente, ma che sente I'arte con una grande nobiltà di intenti. II suo ciclo di opere non ne mostra interamente l'individualità. Nella Visita alla saga è forse un po' duro, ma è caro di colore e di disegno. I molti ritratti che espone, piccoli, sul genere degli antichi fiamminghi, hanno un fare nutrito. E ci si arresta volentieri davanti a quello del padre, che racchiude, in poco spazio, fortissime doti.

                 

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