Pillole d'Arte

    
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Fonte : Gl'impressionisti francesi - Vittorio Pica - 1908
(Begamo - Istituto Italiano d'Arti Grafiche)

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Edouart Manet

Ho già di sopra parlato della Musica nei giardini delle Tuileries, la quale da vicino non presentava che un complesso abbastanza confuso di macchiette di vari colori e poi, ad una certa distanza, evocava dinanzi alle pupille dello spettatore il brulichio di una fitta folla in mezzo al verde dei boschetti, avvolta dal pulviscolo d'oro del sole, filtrante tra i rami degli alberi. Rammenterò ancora Olimpia , donata dal Caillebotte al Museo del Lussemburgo e che, se non è certo la migliore, è però fra le opere più tipiche del Manet e suscitò polemiche lunghe e violentissime. Essa, al primo guardarla, non presenta che due sole tinte opposte, cioè una larga macchia pallida sur un fondo nero, ma, subito dopo, la visione si rischiara e si scorge una fanciulla a metà sdraiata, in tutta la baldanzosa impudicizia della sua giovane ma non più fresca nudità, sui bianchi lini di un letto ed in fondo un gatto nero ed una donna mora, che le porge un mazzo di fiori. Dinanzi al sempre differente ed al sempre rinnovato spettacolo della realtà Édouard Manet, che non aveva fisime idealistiche nè preoccupazioni e sottintesi letterarieggianti e per cui i due meriti essenziali di un quadro erano di suggerire l'impressione del vero, intensificata dalla squisita sensibilità di una particolare indole d'artista, e di essere, siccome aveva proclamato Delacroix, una festa pegli occhi, si propose deliberatamente di dimenticare le lezioni della scuola ed i processi tecnici dei maestri del passato.

Fu in tal modo che si creò un disegno ed una gradazione cromatica affatto suoi ed adatti, quindi, ad esprimere con fedeltà e con intensità le sue sensazioni ottiche. D'altra parte, mercè lo sviluppo sempre maggiore della sua personalità e mercè lo svincolo di essa dalle influenze, che, nelle prime prove, si erano, per affinità di visione o per simpatia estetica, imposte ad essa, egli cercò esclusivamente l'ispirazione così nella vita moderna come nelle sembianze dei suoi contemporanei. In quanto poi alla fattura, si attenne sempre più rigorosamente all'opposizione franca ed ardita dei colori semplici, senza transizione di mezze-tinte e di ombre convenzionali, non curandosi punto di recare ai rigidi domini accademici della modellazione quell'offesa che, a trent'anni di distanza, Jules Breton, nel volume di ricordi e d'impressioni Nos peintres du siècle, non ha saputo trattenersi, malgrado la tanto ostentata pretesa di serena imparzialità, di rimproverargli acerbamente.

Se la schiera degli artisti, dei critici e dei buongustai conquistati dall'opera di Edouard Manet andò accrescendosi di anno in anno, le ostilità della grande massa di pubblico e del mondo ufficiale non si chetavano e, quando la giuria d'accettazione del Salon dovette finire, cedendo alle pressioni morali di una parte assai autorevole dell'opinione pubblica, con l'aprirgliene qualche volta la porta, si vendicò col situarne le tele, accettate contro voglia, in pessima luce e più in alto che poteva. Giunti poi che si fu alla grandiosa esposizione mondiale del 1867, il pericoloso rivoluzionario della tavolozza venne escluso sdegnosamente.

Edouard Manet, che le scarse vittorie e le molte sconfitte nella lotta sua assidua e fierissima contro l'incomprensione, il malanimo e l'ilarità schernitrice dei più, non avevano scosso dai suoi propositi di rinnovazione estetica e che procedeva serenamente per la sua strada, non si turbò molto per questo nuovo rifiuto e decise di ripetere in proporzioni molto maggiori la prova fatta qualche anno prima. Egli radunò, quindi, in una vasta baracca di legno presso il ponte dell'Alma, non meno di cinquanta tele di varia dimensione e di svariatissimi soggetti, le quali rappresentavano quasi per intero la sua produzione pittorica.

La prefazione che accompagnava il catalogo di questa seconda mostra individuale di Édouard Manet merita proprio, nella sua risoluta ma semplice e simpatica franchezza, esente da alterigie e da spavalderie, di essere qui riportata per intero :

" Fino dal 1861 Edouard Manet espone o tenta di esporre. Quest'anno egli si è deciso a mostrare direttamente al pubblico il complesso dei suoi lavori.

Al suo esordio al Salon, Manet ottenne una menzione d'onore, ma in seguito si è visto troppo spesso respinto dalla giuria per non pensare che, se i tentativi d'arte sono da considerare combattimenti, bisogna però lottare con armi eguali : potere, cioè, mostrare anche quello che si è fatto. Senza di ciò, il pittore sarebbe troppo facilmente rinchiuso in un'arte da cui non si esce più. Lo si obbligherebbe ad ammucchiare le sue tele o ad arrotolarle in un granaio. L'ammissione, l'incoraggiamento, le ricompense ufficiali sono, a quanto almeno si dice, un brevetto di talento per una parte di pubblico, prevenuta quindi a favore o contro le opere accettate o rifiutate. D'altra parte, si dichiara al pittore che è l'impressione spontanea di detto pubblico che cagiona la scarsa accoglienza che le giurie fanno ai suoi quadri."

" Data tale situazione, è stato consigliato all'artista di aspettare. Aspettare che cosa ? Che non ci sia più giurìa ? Egli invece ha preferito troncare la questione col pubblico. L'artista non dice già, oggi: ? Venite a vedere delle opere senza difetti, ma: ? Venite a vedere delle opere sincere.

" È l'effetto della sincerità l'attribuire alle opere un carattere che le fa rassomigliare ad una protesta, mentre il pittore non si è preoccupato che di riprodurre la sua impressione. Edouard Manet non ha inteso mai di protestare. E invece contro di lui, che non se lo aspettava, che si è protestato, sia perchè v'è un insegnamento tradizionale delle forme, dei mezzi d'esecuzione, dell'aspetto totale della pittura, sia perchè coloro che sono stati istruiti in tali principii non ammettono che ve ne siano altri e da essi attingono una frettolosa intolleranza. Nulla, al difuori delle loro formole, può esservi che valga ed eglino se ne fanno non soltanto i critici, ma gli avversari e avversari attivi.

" Mostrare l'opera propria è per l'artista la questione vitale, il sinequa non, giacchè accade che, dopo alcune contemplazioni, ci si familiarizzi con ciò che sorprendeva e, se così si vuole, urtava. A poco per volta lo si comprende e lo si ammette, e Il tempo stesso agisce sui quadri come un insensibile levigatone e ne fonde le primitive rudezze. Mostrare l'opera propria significa trovare amici ed alleati per la lotta. Edouard Manet ha sempre riconosciuto il talento là dove esso esiste e non ha preteso nè rovesciare un'antica pittura, nè crearne una nuova. Ha cercato semplicemente di essere lui e non un altro.

" D'altronde, egli ha incontrato importanti simpatie ed ha potuto accertarsi quanto i giudizi degli uomini di vero ingegno gli diventino di giorno in giorno sempre più favorevoli. Non trattasi adunque più per lui che di conciliarsi il pubblico, di cui gli si fa un preteso nemico."

Quale linguaggio sereno, misurato ed assennato e come completamente l'avvenire doveva dargli ragione ! In questa seconda mostra individuale, che nel 1867 era seguita da una terza ed ultima, provocata anche essa da uno scandaloso rifiuto da parte della giuria ufficiale, oltre ai quadri già in antecedenza da me mentovati, vi erano tele della più varia ispirazione e dei più differenti soggetti, che attestavano che il Manet, piuttosto che rincantucciarsi, come hanno fatto tanti pittori anche di rara valentia, in un sol genere, amava dare prova di agile ed accorta versatilità. Accanto, difatti, a scene ed a tipi spagnoli, come il bellissimo Torero morto, da lui tagliato dalla vasta rappresentazione di un combattimento di tori, di cui, dopo averla esposta, non era rimasto soddisfatto appieno, alla figura della danzatrice spagnola Lola di Valenza, che possedeva " le charme inattendu d'un bijou rose et noir", come ebbe a scrivere Baudelaire in una quartina famosa, e di un gruppo di Studenti di Salamanca, vi erano scene e tipi di Parigi e della campagna francese; accanto a ritratti di una rara efficacia di vita vissuta e di sottile penetrazione psicologica, che in seguito dovevano ritrovarsi anche più spiccatamente in quelli del baritono Faure, di Zola, di Mallarmé, di Proust, di Rochefort e delle due sue scolare in pittura, Eva Gonzales e Berthe Morisot, vi erano alcune magistrali copie di Velasquez e di Tintoretto; accanto a nature morte di mirabile evidenza e di gustosa pastosità cromatica, vi era una scena di battaglia navale, Combattimento fra il Kearsarge e l'Alabama, che suscitò l'entusiasmo di un giudice assai severo quale Jules Barbey d'Aurevilly, e, accanto ad un tragico episodio di storia contemporanea La fucilazione di Massimiliano nel Messico, che la sospettosa polizia di Napoleone III fece, nel secondo giorno della mostra, togliere via, due evocazioni della vita di Gesù, che, se non erano di sicuro fra le opere migliori del Manet, non possedendo egli quelle profonde doti di pensiero e di sentimento indispensabili per profumarle di misticismo, possono però farle additare, sotto più di un aspetto, come precorritrici di certa realistica interpretazione delle sacre scritture, la quale doveva, di li a non molto, essere tentata dalla pittura con vivo successo.

L'opera capitale della prima maniera, che potrebbe anche battezzarsi la maniera scura di Edouard Manet, è Il buon bicchiere di birra, che, per la naturalezza della posa della pingue, barbuta e bonaria figura di artista nottambulo che ne è il protagonista e specie per la bravura robusta e disinvolta della pennellata, s'impose, nel Salm del 1873, anche all'ostinato malvolere denigratore dei suoi feroci avversari. Ma, sotto influenza di coloro che il pubblico chiama suoi seguaci, ma che il Manet, a dire il vero, considerò e trattò sempre come suoi amici, suoi compagni e suoi emuli, e specie di Claude Monet, egli doveva subire, nella sua carriera artistica troppo presto troncata, una trasformazione, non nella scelta dei soggetti, suggeritigli anzi sempre più dalla vita moderna, ma nella preparazione della tavolozza e nell'applicazione dei colori sulla tela, in modo da formarsi una seconda maniera, che, pure non arrivando fino alla metodica divisione dei colori, si avvicinava, per la rinuncia del bitume, per l'uso dei complementari e per la ricerca spiccata della trasparenza atmosferica e del brio luminoso, ai procedimenti di coloro che sono da additare come i più completi e schietti rappresentanti della novatrice formola impressionistica.

A questa seconda maniera chiara del Manet appartengono Argenteuil, La biancheria, La serra, In battello, Nana, Nella trattoria di babbo Lathuile, Primavera, Un banco di vendita alle Folies - Bergère ed alcune altre delle tele, le quali sono anche fra le sue più riuscite e più caratteristiche e furono da lui dipinte negli ultimi anni della sua vita, prima che un'inesorabile atassia locomotrice non l'uccidesse, appena cinquantenne, il 30 aprile 1883, malgrado l'eroico tentativo fatto da un chirurgo di salvarlo mercè l'amputazione di un piede.

Se, nella varia ed abbondante sua produzione, che comprende non soltanto quadri ad olio, ma pastelli, schizzi a penna, acqueforti e litografie, Édouard Manet dette più di un'opera eccessiva e scadente, se non seppe forse mai liberarsi del tutto da alcune deficienze, specie di disegno, che egli, del resto, tante volte, riuscì abilmente a semplificare ed a sintetizzare, e se in varie delle ricerche di rinnovazione cromatica fu preceduto e sopravanzato da più di uno dei componenti di quel gruppo impressionistico, di cui, ancora oggi, viene designato, non del tutto a torto, come il fondatore e come il capo, egli rimane pur sempre uno dei moderni pittori francesi più originali e più ardimentosi e l'opera sua, considerata nelle varie fasi progressive, è una delle più interessanti e più significative della seconda metà del secolo decimonono.

Allorquando, alla vigilia dell'apertura del Salon del 1884, Alexandre Dumas figlio, punto tenero pegli artisti d'avanguardia, apprese la morte dell'autore d'Olimpia esclamò: " Si pensi ciò che si voglia della sua pittura, ma il certo è che egli ha trovato la scuola francese oscura o livida e la lascia con la finestra aperta sulla gran luce ! ". In queste poche parole vi è forse la lode maggiore di Edouard Manet.

 

Vittorio Pica                  


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