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Fonte : Gl'impressionisti francesi - Vittorio Pica - 1908
(Begamo - Istituto Italiano d'Arti Grafiche)
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Edouard Manet
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Gustave Courbet e Edouard Manet: ecco i due novatori, che,
nella storia tanto varia e tanto interessante di quella
pittura francese del secolo decimonono, la quale ha
esercitato la sua influenza, con più o meno efficacia, su
tutti i popoli d'Europa e di America, hanno maggiormente
posto a rumore il campo delle belle arti, con la loro
convinta e ferma ribellione ai rigidi dommi ed alle secolari
convenzioni degli accademici ed alle mercantili abilità dei
lusingatori nell'infrollito gusto del pubblico, coi loro
tentativi audaci in quanto all'ispirazione ed in quanto alla
tecnica e con l'indole loro strenuamente pugnace. Per
trovare lotte parimenti lunghe ed accanite e simili prove di
fermezza in un nobile ideale estetico da una parte e simili
scatenamenti di proteste clamorose, di denegazioni iraconde
e d'ilarità sprezzanti e schernitrici dall'altra bisogna
ricorrere, nella storia della musica, al caso di Wagner e,
in quella della letteratura, al caso di Zola.
Quanto diverso come indole, come abitudini, come maniere
Edouard Manet da Gustave Courbet! Uscito da famiglia
secolarmente signorile, nato, educato e vissuto quasi sempre
a Parigi, di spirito equilibrato, sottile ed arguto, egli
seppe serbare una moderazione, piena di eleganza e di tatto,
anche in mezzo alle mischie più feroci e di fronte agli
attacchi più spietati e, pure avendo piena coscienza del
valore non comune dell'originale sua visione personale e
della riforma da lui tentata nel campo della tecnica
pittorica, non s'inorgoglì mai troppo e riuscì, in alcune
prefazioni di cataloghi rimaste celebri e di cui riferirò in
seguito la più caratteristica, a presentare al pubblico, con
mirabile serenità e senza alcuna esagerazione enfatica, le
sue tele rifiutate periodicamente dalle giurie ufficiali.
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Ma a Courbet, di cui l'influenza appare in maniera
spiccata in più di un suo quadro giovanile, lo avvicinavano,
ad onta della spiccata disparità dell'indole, lo spontaneo
senso novatore, l'interessamento sincero agli aspetti della
vita che ci circonda ed intorno a noi di continuo si agita
ed il bisogno indomabile di combattività artistica. E fu per
tale suo spirito pugnace che egli divenne il porta-bandiera
dell' impressionismo, benché questo, a dire il vero, si
manifestasse in forma assai più schietta, più audace e più
completamente nuova nelle opere di Claude Monet e di altri
componenti del gruppo, i quali, aggiungiamolo anche per
dovere di esattezza, più che subire la sua influenza, ne
esercitarono una profonda su di lui, tanto da farlo passare
dalla prima maniera bituminosa e talvolta fin troppo
vibrantemente marcata ad una seconda, più libera ed agile
nella sua luminosa chiarezza e nella squisita delicatezza
dei colori e dei rapporti. Costoro, però, al contrario di
lui, come lo dimostra il volontario allontanamento dalle
esposizioni ufficiali per aggrupparsi in piccole esposizioni
particolari, destinate ad un ristretto numero d'iniziati,
erano piuttosto timidi ed amanti di calma, schivi quindi dai
pubblici clamori, e rassegnati a lavorare nel silenzio e
nell'ombra per le generazioni venture, piuttosto che per la
grande maggioranza dei contemporanei, di cui non volevano nè
sapevano, come Manet, vincere le ostilità e violentare le
simpatie.
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Nato a Parigi nel 1833, Edouard Manet non riuscì a persuadere il padre,
severo magistrato e poco proclive a vederlo seguire la carriera artistica, di
permettergli di studiare pittura che a diciassette anni, in seguito ad un lungo
viaggio per mare, il quale dalla passione per essa non era riuscito a
distoglierlo. Dopo aver seguito per circa cinque anni il corso del Couture, il
famoso autore dei
Romani della decadenza, a cui riuscì poco simpatico, pel suo carattere
risoluto di ribelle, tanto che, in un momento di malumore, ebbe a dire di lui,
non intendendo certo di fargli un complimento : " Sarà il Daumier del 1860 ! ",
egli viaggiò per la Germania, copiando Rembrandt a Monaco, per l'Italia,
copiando Tintoretto a Venezia, e per la Spagna, dove si appassionò per Velasquez
e per Goya, i quali, insieme con l'olandese Frans Hals, dovevano esercitare una
grande influenza sulla sua prima maniera. La prima volta che egli espose nella
primaverile mostra ufficiale parigina fu nel 1861 e la figura di
Chitarrista spagnolo che vi mandò, se per la vigorosa
arditezza della fattura destò qualche sorpresa e suscitò qualche protesta, trovò
anche vari estimatori, fra cui Théophile Gautier, e finì con l'ottenere dalla
giuria di premiazione una menzione d'onore, mentre l'altra sua tela
Ritratti dei miei genitori incominciò a risvegliare la vena delle contumelie
dei giornalisti benpensanti e spiritosi, uno dei quali osservò malignamente che
i due sventurati modelli dovevano maledire il giorno che aveva posto il pennello
in mano ad un tale ritrattista, privo di viscere filiali.
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I rifiuti incominciano l'anno susseguente con La
colazione sull'erba, che è stata rivista a Parigi, nel
1900, nella mostra centenaria della pittura francese, con
piacere e con ammirazione come l'opera oltremodo savorosa di
un pennello sapiente e disinvolto, ma che, al suo primo
apparire, produsse un vero scandalo per la giovanile e
formosa figura di donna nuda, seduta sul prato accanto ad
altre figure vestite.
Ed i rifiuti si rinnovarono pertinaci, con rare
parentesi di accettazioni singole, per parecchi anni, come,
del resto, era già accaduto a Courbet. Senza lasciarsi
scoraggiare dalle ingiustizie e dalle persecuzioni dei suoi
confratelli d'arte, Manet continuò imperterrito a lavorare e
nel 1863, spinto da un nuovo rifiuto della giuria ufficiale,
decise di affrontare coraggiosamente l'incomprensione e la
derisione del grosso pubblico, così poco disposto, in ogni
tempo ed in ogni paese, nella sua neghittosità
intellettuale, ad accogliere con benevolenza le novità di
ordine estetico. Egli dunque espose presso il negoziante di
quadri Martinet, in una sala a pianterreno sul "boulevard
des Italiens", quattordici quadri, fra i quali si notavano
La cantatrice ambulante,
Il balletto spagnuolo e
Musica nei giardini delle Tuileries e con ognuna delle
quali la sua personalità si affermava vigorosa, audace e
molto originale, nel desiderio quasi sempre felicemente
effettuato di evocare sulla tela il vero aspetto delle cose,
secondo appariva alle sue pupille.
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Fu un fiasco solenne ed insieme uno scandalo clamoroso. Si racconta perfino
di un fido amatore dell'arte tradizionale. che, nella sua esasperazione,
minacciò di arrivare a vie di fatto con la punta del suo ombrello se si fosse
continuato a tenere esposta
Musica nei giardini delle Tuileries. In questo quadro, il quale raffigurava
tutta una folla che passeggiava al sole sotto gli alberi, ogni figura, specie
quelle di secondo piano, era rappresentata da una semplice macchia di colore
appena appena contornata e determinata e nella quale i particolari non erano che
semplici lineette o puntini neri. Piazzandosi, però, ad una conveniente
distanza. d'un tratto, quasi per incanto, tutte quelle macchie acquistavano
vita. quella folla si muoveva, camminava, gesticolava. È facile quindi
comprendere quali e quante ire dovesse suscitare questa tela, che rivoluzionava
tutte le convenzioni tutte le forme dominanti fin'allora in pittura e per cui si
sarebbe potuto ripetere la frase pronunciata da Corot per non ricordo più qual
quadro, in cui era disdegnosamente trascurata quella minuziosa ricerca del
finito tanto cara agli spiriti scolastici : "Non vi si vede nulla e pure vi
è tutto ".
Se questa mostra procurò al Manet ingiurie e derisioni senza fine. richiamò
altresì intorno a lui, come intorno ad un capogruppo valente, simpatico e
battagliero, molti giovani artisti, che avevano in uggia il gretto
convenzionalismo accademico, reclamavano la più ampia libertà in arte ed
aspiravano più o meno coscientemente verso qualche cosa di nuovo, fra i quali
l'americano Whistler, il belga Stevens ed i francesi Monet. Renoir, Degas,
Sisley, Pissarro, Legros, Bazille, Desboutin, nonchè quel Fantin-Latour
(1), pittore di raffinata delicatezza, che lo
doveva raffigurare dinanzi al cavalletto, circondato da vari dei suoi più
affettuosi amici e fervidi ammiratori, in un quadro,
Omaggio a Manet, di molto pregio e diventato con ragione famoso, che trovasi
oggidì nel Museo del Lussemburgo di Parigi. Essa, d'altra parte, gli assicurò la
stima preziosa di più di un critico d'arte acuto e chiaroveggente, come, ad
esempio, Charles Baudelaire, il quale ne sposò la causa con non minore
entusiastica convinzione di quanto in precedenza avesse fatto per Delacroix e
per Wagner, ed Émile Zola, a cui, di lì a qualche anno, essendo stato vietato di
continuare a lodarlo sulle colonne dell' Évènement, pubblicò tutto un
opuscolo in sua difesa ed a sua glorificazione.
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Poiché ho ricordato questo coraggioso e penetrante studio dello Zola su
Manet, parmi non inutile il tradurne la mezza-pagina in cui molto acconciamente
è descritta la fattura caratteristica dei quadri di lui, facendo ben rilevare in
che consista l'originalità novatrice di essa :
" L' artista, posto di fronte ad un soggetto qualsiasi, si lascia guidare dai
suoi occhi, che scorgono codesto soggetto a larghe tinte, imperanti le une sulle
altre, Una testa, per esempio, situata dinanzi ad un muro, non è altro che una
macchia turchina posta accanto ad un'altra macchia più o meno bianca. Da ciò una
grande semplicità, quasi nessun particolare, ma un complesso di macchie esatte e
delicate, le quali, a qualche passo di distanza, danno al quadro un risalto
meraviglioso. Insisto su questo carattere delle opere del Manet, perché domina
in esse e le rende ciò che sono. Tutta la personalità di lui consiste nel modo
come è costruito il suo occhio: esso vede biondo e vede per masse ".
Infatti le tele del Manet non presentano per solito a prima vista che larghe
macchie di colori differenti, ma poi, a poco per volta, sotto l'insistenza dello
sguardo, gli oggetti e le figure si profilano, la scena si precisa e l'insieme
appare vigoroso e nel medesimo tempo luminoso e si rimane sorpresi ed
affascinati al cospetto d'una riproduzione del vero così originale ed efficace.
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