|
|
|
(Fonte : Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova - 1821)
|
|
RITORNO DI TELEMACO
Basso rilievo in gesso
|
|
La gioja universale, e le liete grida del popolo esultante pel sospirato ritorno di Telemaco, già echeggiano nella Reggia d'Ulisse, e penetrano negli appartamenti dell'afflitta Regina. Ecco che scende essa velocemente dalle sue stanze, e mentre corre incontro al figlio, le viene questo additato da due ancelle, che stavano allora allora accomodando la sala, e stendendo, di mala voglia, morbide pelli sopra i sedili dei proci. Penelope porta scolpita nel volto, ed in tutta la nobil persona, quella matronale dignità, per la quale Omero a Diana soleva paragonarla; ed esprime in tutta se stessa più la meraviglia, e l'inquietudine di non Vedere in compagnia del figlio lo sposo, che la contentezza di rivedere Telemaco.
Il movimento della testa, delle braccia, della persona tutto interroga in essa, tutto richiede d'Ulisse. Quantunque fosse Penelope amorosissima madre, non meno che sposa affettuosissima, Canova , indagatore profondo, ed attento di tutte le affezioni del cuore, e delle tortuose sue vie, non esitò punto a rappresentarcela più inquieta per l'assenza dell'uno, che lieta per ritorno dell'altro.
La presenza medesima di Telemaco la rassicura. Cedono nella vista di lui le amorose sue sollecitudini pel figlio, e tutte si rivolgono alla mancanza del troppo necessano, e troppo sospirato suo sposo. Il ritorno di Telemaco, che s'era posto in viaggio espressamente per andare in traccia del padre, le riesce tanto più amaro, quanto le toglie l'ultimo, e caro bene, la dolce speranza, che pure avea, ch'ei potesse rinvenirlo. E quante volte non abbiamo sentito in noi stessi, che il pericolo, o la perdita di un oggetto assai caro ci fa provare una certa apparente si, ma assoluta indifferenza per tutti gli altri oggetti che ci
circondano, e che ci sono pur tuttavia forse più cari di quello medesimo, che tutta sembra occupare in quel punto l'anima nostra!
|
Telemaco, entrato anch' egli in quell' istante nella sala, e lasciata l'asta, che aveva in mano alla porta, corre incontro alla madre; se non che viene trattenuto da Euriclea, che nella confusione del piacere, e nel trasporto della gioja volendogli baciare la mano, con bell'errore gli bacia avidamente il braccio, che sostiene con ambe le mani. Essa, quasi non paga di stringerlo, alza gli occhi per riguardarlo, e lo guarda con l'ansietà di quell'amore si naturale in una Greca nutrice; che vice-madre con ben dovuto nome nella Grecia veniva chiamata non solo quella benemerita donna, che di si' crescea il figlio, ed integra lasciava la beltà della madre, ma quella pure che, non so se con uguale o maggiore benemerenza, vegliava sollecita ed attenta con la madre, o con la nutrice, per allontanare da quella inferma e misera età i pericoli, che la circondano.
Telemaco, mentre abbandona il braccio destro alla buona Euriclea, stende con vivacità l'altro verso la madre, esprimendole e la gioja, che aveva di rivederla, e quasi rassicurar volendola, che più non temesse, che non lontano stava il desiato suo sposo. Una giovinetta semplicissimamente vestita, e di candida semplicitade adorna il volto, sta dietro al figliuolo d'Ulisse, e non veduta né da lui, né dagli altri, inchinandosi alquanto, gli bacia il lembo della veste. Essa esprime nella sua divina attitudine la bella spontaneità di quell'atto segreto, non consigliato nè della speranza, né dal timore. Omaggio purissimo, altrettanto dolce per chi l'ottiene, quanto difficile ad ottenersi.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|