La mostra individuale di Felice Carena comprende venti
dipinti di vario carattere, che rappresentano l'operosità e
i progressi del giovane pittore durante i quattro anni del
suo pensionato. Allievo di Giacomo Grosso nell' Accademia
Albertina di Torino, il Carena poco risente degli
insegnamenti del maestro; egli ha cercata una via diversa e
vi si è messo coraggiosamente, senza pur tuttavia riuscire a
sottrarsi a influenze estranee, che qua e là traspariscono
dalle sue opere. Leonardo Bistolfi può considerarsi come il
maestro spirituale del Carena, che non solo si ispira alla
sua arte raffinata in cui il sentimento vibra con note
possenti, ma, nei tre pannelli della Maternità, si
studia di riprodurne i tipi e gli atteggiamenti più
consueti. Ciò però non impedisce di scorgere nel Nido
insistenti ricordi dell'arte di Carrère, mentre la Perla
richiama alla memoria uno degli studi eseguiti dal Sartorio
per il nudo della Gorgone e la
Vittoria ha vibrazioni e ricordi coloristici che derivano direttamente da
Franz von Stuck. Accenno a queste reminiscenze non per amore
di casistica ipercritica - chi mai potrebbe addebitarle a
grave colpa di un pittore che non ha ancora trent'anni? - ma
per indicare gli elementi principali, i quali, non ancora
forse del tutto fusi ed assimilati, innegabilmente
contribuirono a formare la personalità artistica del Carena.
|
Nessuno tra i nostri giovani pittori mostra di intendere più
di lui che l'arte è arte quando rende con la massima
espressione ciò che ha sentito. Quella forza e quella lena
che altri, pertanto, mettono nella ricerca di aspetti della
natura e della vita che seducono con l'effetto del primo
momento egli la pone tutta nel frugarne il più intimo, il
più profondo sentimento. Perduto in questa visione, egli
sopprime intorno alle sue figure l'ambiente, le fa vivere in
un'atmosfera grigia e uniforme, dove i contorni si
smarriscono, le forme diventano indefinite, i rapporti di
spazio e di distanza non hanno più nessun valore.
Innegabilmente emana da quest'arte un fascino che avvince e
vi trasporta a poco a poco in un mondo irreale di sogni, ma
quell'insistere su una nota unica, quell'assorbirsi in una
contemplazione interiore che sa trovare una sola forma di
rivelazione finiscono con lo stancare e appariscono talvolta
illogici e poco sinceri.
Se è facile cogliere tutto quello che esce dai confini del
bello, non si arriva ugualmente ad afferrare alla prima
tutto quello che può esservi compreso. Ed è questo appunto
uno dei grandi caratteri della bellezza, quello che le
permette di non rimanere stazionaria e di trasformarsi,
nell'arte, come nella vita, pur rimanendo ferma ad una base
immutabile, che è l'essenza dell'assoluto esistente.
L'artista il quale non sente e non sa cogliere le infinite
forme di questo continuo divenire, inaridisce le fonti della
sua ispirazione, si chiude volontariamente in una cerchia
angusta, esaurisce in una serie di tentativi l'alta virtù
che quando è riuscita a creare un tipo, ad esprimere
un'idea, deve esercitare per altre vie la sua aspirazione a
creare il tipo eterno.
|
Ho detto che la base immutabile del bello è l'essenza
dell'assoluto esistente. Questa essenza che nella musica si
esprime per mezzo del ritmo, nella poesia per mezzo della
parola, nell'architettura per mezzo della linea, si rivela
nelle arti figurative mediante la forma. Il linguaggio
dell'arte non è quello che il Carlyle paragona alla musica
delle sfere di Pitagora, ma è un linguaggio umano, e
l'artista che se ne fa eco apparisce a noi come la voce
della natura, il riflesso fedele del fiore della vita. Ne
deriva che nessuna espressione delle arti figurative può
prescindere dalla forma, e che quella eliminazione che il
Carena si affatica a compiere, non giova alla manifestazione
del sentimento, il quale deve esercitare la sua efficacia
suscitando la commozione, ma abolisce l'unico legame che
unisce l'artista all'anima delle cose, tende a scambiare i
metodi dell'arte con i principi della filosofia, a ridurre
ad una vuota astrazione concettuale quello che deve fremere
e vibrare nella vita.
|
Se la pittura del Carena non ispirasse la più viva simpatia,
se il giovane pensionato torinese fosse tale da compiacersi
più del successo momentaneo, comunque ottenuto, che delle
fatiche necessarie per giungere alla meta lontana, non
varrebbe la pena di insistere nella discussione e si
potrebbe senz'altro rivolgere a lui quella parola di lode a
cui gli danno diritto la virtuosità della tecnica, e l'alto
ideale nobilmente perseguito, se non ancora del tutto
raggiunto. Ma ad un pittore che è al principio della sua
carriera, assai più della espressione dell'entusiasmo
compiacente, giova additare i pericoli di un indirizzo il
quale ci fa ripensare a quel capolavoro di cui parla
il Balzac, e che, salito al cervello dell'artista che
l'aveva creato, aveva finito col naufragare
nell'indecifrabile lasciando salvo solo un piede,
mirabilmente dipinto, documento di quel che doveva essere
l'intiera figura prima che l'ebbrezza della propria pittura
sconvolgesse il criterio dell'artista.
La qualità più simpatica dell'arte del Carena è costituita
dal colore. Ma la forza coloristica del pittore torinese non
consiste solo nel mettere dei toni intensi sulle tele, bensì
nel disporli e nell'equilibrarli in modo che essi abbiano il
valore di aspetti luminosi. E una specie di istrumentazione
soggetta ad una matematica istintiva, una trama sapiente in
cui il colore è ricchezza, fioritura, musicalità, potenza
suprema.
|
Giacomo Balla ha inviate all'esposizione di Via Nazionale
due pitture: Salutando e Affetti. La prima è
esclusivamente un esercizio di virtuosità tecnica, la
seconda, in forma di trittico, è opera di sentimento e di
pensiero, cioè di poesia. In Salutando il Balla ha
figurata la tromba di una scala; tre giovani donne
discendono, e giunte a metà del secondo rampante, si volgono
indietro, per sorridere a chi le guarda dall'alto.
L'episodio semplicissimo e gentile è qui soltanto il
pretesto per la rappresentazione di quell'ampia spirale, che
gira con giustezza mirabile di prospettiva, in un calcolo
minuto e infallibile delle luci, delle ombre e delle
distanze, in cui ogni gradino, ogni asta della ringhiera
trovano il loro posto preciso, il loro valore esatto e
immutabile. Questo quadro potrà anche aver costato notevole
fatica all'artista, e pure esso vi lascia indifferenti,
perchè sentite subito che qui il mezzo è stato scambiato col
fine dell'arte. Giordano Bruno ha espressa con stupenda
chiarezza una verità profonda quando ha scritto: "Ars
tractat materiam alienam; natura materiam propriam; ars
circa materiam est; natura interior materiae". In ogni
organismo della natura noi vediamo appunto che sostanza e
apparenza costituiscono un'assoluta identità; quella che
apparisce la naturale destinazione delle piante, la lotta
per ascendere, per espandersi nell'aria, per fiorire nella
luce, passa direttamente e immediatamente si rivela nei
fasci, nei rilievi, nelle fibre, negli attorcimenti, nei
grovigli dei rami; nel mondo dei minerali la materia solida
e la forma geometrica si compenetrano e coincidono. Non
avviene altrettanto nell'arte, in cui una volontà estranea
si sostituisce alla volontà primitiva e vuol costringere la
materia in una forma differente dalla forma naturale. Questa
violenza si esercita mediante il lavoro, che si giova
delle varie conquiste della tecnica. È pertanto
evidente che la tecnica non può essere fine a se stessa,
perchè essa non è l'arte, ma il mezzo di espressione
dell'arte, così come il suono non è musica, i movimenti del
corpo non sono danza, se una volontà cosciente non regola la
loro successione nel tempo mediante il ritmo.
|
Ma se noi possiamo considerare la rappresentazione della
scala esposta dal Balla come un saggio della sua virtuosità
tecnica, come una bizzarra prova nella quale l'artista ha
voluto porsi un problema per il gusto di risolverlo,
dobbiamo riconoscere in Affetti la più alta, la più
significativa espressione che ci abbia data finora il suo
nobile ingegno. Nel centro di una stanza quasi priva di ogni
arredamento siede una donna, mentre una bambina legge un
libro appoggiandosi alle sue ginocchia; a sinistra,
abbandonati su una sedia, sono il cappello e il soprabito di
un uomo, a destra, da una finestra aperta, entra un raggio
di luce e il respiro di un mattino felice e sereno.
Niente più di questo, e pure c'è qui la commozione profonda
che dona l'oblio, c'è l'emozione estetica che vi pone in uno
stato d'inconsapevolezza, che vi libera momentaneamente dai
dolori e dall'ansietà dell'esistenza. Dice lo Schopenauer
che un quadro è come un re, dinanzi al quale è necessario
aspettare che parli prima di noi. E parla veramente il
dipinto del Balla e il significato della sua parola
consolatrice suscita nel nostro spirito un'eco come di
lontana fanciullezza. Nessuno spettacolo è più semplice e
più comune di quello che ci pone dinanzi una così pura
immagine dell'affetto famigliare; ognuno di noi ne ha letto
l'elogio nei libri, vi è passato mille volte accanto per le
strade, lo ha veduto nella sua casa. Qui invece esso ci
appare come una visione nuova e ci fa sentire l'impressione
che danno le apparizioni inattese, perchè l'artista ha
saputo infondervi quel senso di meraviglia che in lui, conte
nel fanciullo, si rinnova ogni giorno dinanzi alla perpetua
gioventù delle cose.
|
Come il bambino, ignaro della quotidiana vicenda dei suoni e
delle forme, vive in uno stato di stupore, di sorpresa, di
paura e di gioia serena che gli consiglia domande
inaspettate e profonde, così l'artista nelle nuvole, nei
fiori, nel focolare, nelle stelle che vede tutti i giorni
sente sempre nuove parole, vede sempre la rivelazione di
qualche nuovo aspetto della vita. A questa condizione
l'anima sua più intimamente di ogni altra può entrare in
relazione con l'anima dell' universo, il suo occhio limpido
riflettere le cose senza velo, il suo cuore può battere
all'unisono col cuore del mondo.
Quando la meraviglia dell'artista rispecchia nell'opera
d'arte allora essa ha la virtù di comunicarsi agli altri e
diventa, per chi la scopre e sa intenderne l'intimo
significato, una forma di conoscenza. I sentimenti di cui
l'artista vive, la visione che egli segue con instancabile
ansietà, l'ebrezza che desta in lui lo sgorgare e il fiorire
dell'opera d'arte dal mistero alla luminosa atmosfera della
vita, passano per un istante in noi intatti, sopiscono il
tumulto delle passioni, ci riconducono agli anni della
nostra prima adohlescenza, quando lo spettacolo
dell'universo più tosto che una visione ci sembrava uno
stato dello stesso nostro cuore, suscitano in noi il
desiderio di sentire sul nostro capo la protezione materna,
ci rivelano tutta la bontà di quella semplice esistenza
familiare lontana dal veleno del mondo, di quella stanzetta
in cui una bambina legge, una madre vigila e sogna, un uomo
lavora, mentre dalla finestra aperta insieme con la luce del
mattino entra il canto degli uccelli e un mormorio di
fontane.
|
Pagina
1 |
2 |
3
|
|
|