Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr 185 - Maggio 1910)
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L'esposizione internazionale d'arte in Roma

 
La mostra individuale di Felice Carena comprende venti dipinti di vario carattere, che rappresentano l'operosità e i progressi del giovane pittore durante i quattro anni del suo pensionato. Allievo di Giacomo Grosso nell' Accademia Albertina di Torino, il Carena poco risente degli insegnamenti del maestro; egli ha cercata una via diversa e vi si è messo coraggiosamente, senza pur tuttavia riuscire a sottrarsi a influenze estranee, che qua e là traspariscono dalle sue opere. Leonardo Bistolfi può considerarsi come il maestro spirituale del Carena, che non solo si ispira alla sua arte raffinata in cui il sentimento vibra con note possenti, ma, nei tre pannelli della Maternità, si studia di riprodurne i tipi e gli atteggiamenti più consueti. Ciò però non impedisce di scorgere nel Nido insistenti ricordi dell'arte di Carrère, mentre la Perla richiama alla memoria uno degli studi eseguiti dal Sartorio per il nudo della Gorgone e la Vittoria ha vibrazioni e ricordi coloristici che derivano direttamente da Franz von Stuck. Accenno a queste reminiscenze non per amore di casistica ipercritica - chi mai potrebbe addebitarle a grave colpa di un pittore che non ha ancora trent'anni? - ma per indicare gli elementi principali, i quali, non ancora forse del tutto fusi ed assimilati, innegabilmente contribuirono a formare la personalità artistica del Carena.

Nessuno tra i nostri giovani pittori mostra di intendere più di lui che l'arte è arte quando rende con la massima espressione ciò che ha sentito. Quella forza e quella lena che altri, pertanto, mettono nella ricerca di aspetti della natura e della vita che seducono con l'effetto del primo momento egli la pone tutta nel frugarne il più intimo, il più profondo sentimento. Perduto in questa visione, egli sopprime intorno alle sue figure l'ambiente, le fa vivere in un'atmosfera grigia e uniforme, dove i contorni si smarriscono, le forme diventano indefinite, i rapporti di spazio e di distanza non hanno più nessun valore. Innegabilmente emana da quest'arte un fascino che avvince e vi trasporta a poco a poco in un mondo irreale di sogni, ma quell'insistere su una nota unica, quell'assorbirsi in una contemplazione interiore che sa trovare una sola forma di rivelazione finiscono con lo stancare e appariscono talvolta illogici e poco sinceri.

Se è facile cogliere tutto quello che esce dai confini del bello, non si arriva ugualmente ad afferrare alla prima tutto quello che può esservi compreso. Ed è questo appunto uno dei grandi caratteri della bellezza, quello che le permette di non rimanere stazionaria e di trasformarsi, nell'arte, come nella vita, pur rimanendo ferma ad una base immutabile, che è l'essenza dell'assoluto esistente. L'artista il quale non sente e non sa cogliere le infinite forme di questo continuo divenire, inaridisce le fonti della sua ispirazione, si chiude volontariamente in una cerchia angusta, esaurisce in una serie di tentativi l'alta virtù che quando è riuscita a creare un tipo, ad esprimere un'idea, deve esercitare per altre vie la sua aspirazione a creare il tipo eterno.

Ho detto che la base immutabile del bello è l'essenza dell'assoluto esistente. Questa essenza che nella musica si esprime per mezzo del ritmo, nella poesia per mezzo della parola, nell'architettura per mezzo della linea, si rivela nelle arti figurative mediante la forma. Il linguaggio dell'arte non è quello che il Carlyle paragona alla musica delle sfere di Pitagora, ma è un linguaggio umano, e l'artista che se ne fa eco apparisce a noi come la voce della natura, il riflesso fedele del fiore della vita. Ne deriva che nessuna espressione delle arti figurative può prescindere dalla forma, e che quella eliminazione che il Carena si affatica a compiere, non giova alla manifestazione del sentimento, il quale deve esercitare la sua efficacia suscitando la commozione, ma abolisce l'unico legame che unisce l'artista all'anima delle cose, tende a scambiare i metodi dell'arte con i principi della filosofia, a ridurre ad una vuota astrazione concettuale quello che deve fremere e vibrare nella vita.

Se la pittura del Carena non ispirasse la più viva simpatia, se il giovane pensionato torinese fosse tale da compiacersi più del successo momentaneo, comunque ottenuto, che delle fatiche necessarie per giungere alla meta lontana, non varrebbe la pena di insistere nella discussione e si potrebbe senz'altro rivolgere a lui quella parola di lode a cui gli danno diritto la virtuosità della tecnica, e l'alto ideale nobilmente perseguito, se non ancora del tutto raggiunto. Ma ad un pittore che è al principio della sua carriera, assai più della espressione dell'entusiasmo compiacente, giova additare i pericoli di un indirizzo il quale ci fa ripensare a quel capolavoro di cui parla il Balzac, e che, salito al cervello dell'artista che l'aveva creato, aveva finito col naufragare nell'indecifrabile lasciando salvo solo un piede, mirabilmente dipinto, documento di quel che doveva essere l'intiera figura prima che l'ebbrezza della propria pittura sconvolgesse il criterio dell'artista.

La qualità più simpatica dell'arte del Carena è costituita dal colore. Ma la forza coloristica del pittore torinese non consiste solo nel mettere dei toni intensi sulle tele, bensì nel disporli e nell'equilibrarli in modo che essi abbiano il valore di aspetti luminosi. E una specie di istrumentazione soggetta ad una matematica istintiva, una trama sapiente in cui il colore è ricchezza, fioritura, musicalità, potenza suprema.

Giacomo Balla ha inviate all'esposizione di Via Nazionale due pitture: Salutando e Affetti. La prima è esclusivamente un esercizio di virtuosità tecnica, la seconda, in forma di trittico, è opera di sentimento e di pensiero, cioè di poesia. In Salutando il Balla ha figurata la tromba di una scala; tre giovani donne discendono, e giunte a metà del secondo rampante, si volgono indietro, per sorridere a chi le guarda dall'alto. L'episodio semplicissimo e gentile è qui soltanto il pretesto per la rappresentazione di quell'ampia spirale, che gira con giustezza mirabile di prospettiva, in un calcolo minuto e infallibile delle luci, delle ombre e delle distanze, in cui ogni gradino, ogni asta della ringhiera trovano il loro posto preciso, il loro valore esatto e immutabile. Questo quadro potrà anche aver costato notevole fatica all'artista, e pure esso vi lascia indifferenti, perchè sentite subito che qui il mezzo è stato scambiato col fine dell'arte. Giordano Bruno ha espressa con stupenda chiarezza una verità profonda quando ha scritto: "Ars tractat materiam alienam; natura materiam propriam; ars circa materiam est; natura interior materiae". In ogni organismo della natura noi vediamo appunto che sostanza e apparenza costituiscono un'assoluta identità; quella che apparisce la naturale destinazione delle piante, la lotta per ascendere, per espandersi nell'aria, per fiorire nella luce, passa direttamente e immediatamente si rivela nei fasci, nei rilievi, nelle fibre, negli attorcimenti, nei grovigli dei rami; nel mondo dei minerali la materia solida e la forma geometrica si compenetrano e coincidono. Non avviene altrettanto nell'arte, in cui una volontà estranea si sostituisce alla volontà primitiva e vuol costringere la materia in una forma differente dalla forma naturale. Questa violenza si esercita mediante il lavoro, che si giova delle varie conquiste della tecnica. È pertanto evidente che la tecnica non può essere fine a se stessa, perchè essa non è l'arte, ma il mezzo di espressione dell'arte, così come il suono non è musica, i movimenti del corpo non sono danza, se una volontà cosciente non regola la loro successione nel tempo mediante il ritmo.

Ma se noi possiamo considerare la rappresentazione della scala esposta dal Balla come un saggio della sua virtuosità tecnica, come una bizzarra prova nella quale l'artista ha voluto porsi un problema per il gusto di risolverlo, dobbiamo riconoscere in Affetti la più alta, la più significativa espressione che ci abbia data finora il suo nobile ingegno. Nel centro di una stanza quasi priva di ogni arredamento siede una donna, mentre una bambina legge un libro appoggiandosi alle sue ginocchia; a sinistra, abbandonati su una sedia, sono il cappello e il soprabito di un uomo, a destra, da una finestra aperta, entra un raggio di luce e il respiro di un mattino felice e sereno.

Niente più di questo, e pure c'è qui la commozione profonda che dona l'oblio, c'è l'emozione estetica che vi pone in uno stato d'inconsapevolezza, che vi libera momentaneamente dai dolori e dall'ansietà dell'esistenza. Dice lo Schopenauer che un quadro è come un re, dinanzi al quale è necessario aspettare che parli prima di noi. E parla veramente il dipinto del Balla e il significato della sua parola consolatrice suscita nel nostro spirito un'eco come di lontana fanciullezza. Nessuno spettacolo è più semplice e più comune di quello che ci pone dinanzi una così pura immagine dell'affetto famigliare; ognuno di noi ne ha letto l'elogio nei libri, vi è passato mille volte accanto per le strade, lo ha veduto nella sua casa. Qui invece esso ci appare come una visione nuova e ci fa sentire l'impressione che danno le apparizioni inattese, perchè l'artista ha saputo infondervi quel senso di meraviglia che in lui, conte nel fanciullo, si rinnova ogni giorno dinanzi alla perpetua gioventù delle cose.

Come il bambino, ignaro della quotidiana vicenda dei suoni e delle forme, vive in uno stato di stupore, di sorpresa, di paura e di gioia serena che gli consiglia domande inaspettate e profonde, così l'artista nelle nuvole, nei fiori, nel focolare, nelle stelle che vede tutti i giorni sente sempre nuove parole, vede sempre la rivelazione di qualche nuovo aspetto della vita. A questa condizione l'anima sua più intimamente di ogni altra può entrare in relazione con l'anima dell' universo, il suo occhio limpido riflettere le cose senza velo, il suo cuore può battere all'unisono col cuore del mondo.

Quando la meraviglia dell'artista rispecchia nell'opera d'arte allora essa ha la virtù di comunicarsi agli altri e diventa, per chi la scopre e sa intenderne l'intimo significato, una forma di conoscenza. I sentimenti di cui l'artista vive, la visione che egli segue con instancabile ansietà, l'ebrezza che desta in lui lo sgorgare e il fiorire dell'opera d'arte dal mistero alla luminosa atmosfera della vita, passano per un istante in noi intatti, sopiscono il tumulto delle passioni, ci riconducono agli anni della nostra prima adohlescenza, quando lo spettacolo dell'universo più tosto che una visione ci sembrava uno stato dello stesso nostro cuore, suscitano in noi il desiderio di sentire sul nostro capo la protezione materna, ci rivelano tutta la bontà di quella semplice esistenza familiare lontana dal veleno del mondo, di quella stanzetta in cui una bambina legge, una madre vigila e sogna, un uomo lavora, mentre dalla finestra aperta insieme con la luce del mattino entra il canto degli uccelli e un mormorio di fontane.

 

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