Alla semplicità dell'idea rappresentata fa riscontro nel
trittico del Balla la sobrietà veramente straordinaria dei
mezzi della sua espressione. Ivi nel colore, nel disegno,
nella disposizione delle figure, negli atteggiamenti, nella
descrizione dell'ambiente non si vede se non quello che è
essenziale per rendere il concetto in tutta la sua evidenza.
Con due soli colori, il bianco e il nero, il pittore ha
saputo dar vita ad una sinfonia completa, in cui tutto ciò
che plasma i corpi, che dà splendore alla luce, profondità
alla distanza, euritmia allo spazio si concentra e si
adombra in un tono sintetico e rivelatore, come la più
chiara e più completa rievocazione. Per questa semplicità di
tecnica, per questa mancanza di ogni raffinata virtuosità di
mestiere, l'opera d'arte ci conquista subito con la
spontaneità della sua creazione. Essa non conserva nessun
segno della fatica che l'artista ha dovuto durare per
compierla, sembra nata dalle stesse forze spontanee onde la
natura produce la sua innumerevole generazione di alberi e
di fiori, e poichè nel contemplarla qualche cosa sembra
guidarci oltre gli stessi confini che il pittore ha posti al
suo sogno, noi dimentichiamo il soggetto del quadro e le sue
qualità di stile, il suo significato morale e il suo valore
estetico, sentiamo e vediamo soltanto la vita.
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Una vera rivelazione è stata per molti la mostra delle
sensazioni di paese di Giuseppe Sacheri. Poeta prima che
pittore, il Sacheri cerca nella natura il sentimento e
infonde nelle sue visioni di campagna e di mare il palpito
di un'anima originale e profonda. Ove la natura comincia a
parlare, ove essa principia il suo canto, l'artista afferra
lo spunto e compie trionfalmente l'armonia, svolgendo con
delicata e magistrale istrumentazione la frase appena
accennata dagli alberi e dai poggi. Gl'intimi colloqui della
luna con le vecchie mura e con le acque addormentate, il
rombo, il tuono e l'urlo della bufera, le alate profezie del
vento, l'ampia polifonia del mare, l'angusta immobilità e il
silenzio delle montagne, il respiro dell'aria sui vertici
che ascendono nello spazio e nella luce, ecco alcune delle
infinite cose che dice la natura allo spirito del Sacheri,
il quale, come un mago, ce ne rivela la significazione e la
verità entro un cerchio d'incanti.
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Romantico per sentimento, ma di un romanticismo sano e
fecondo di commozione, l'artista ligure è classico nella
forma. Il suo lavoro non è mai una fredda e precisa
riproduzione dello spettacolo naturale, ma è invece una
invenzione, un ritrovamento, una voce nuova aggiunta al gran
coro della vita. Perciò i suoi paesaggi, nei quali la
solidità della linea si associa alla delicata fusione dei
toni, vivono artisticamente non solo per quello che essi
sono, ma anche per quello che appariscono. Essi ci rivelano
che il pittore è andato spesso oltre la verità tangibile,
che ha obbedito ad una forza superiore, ad una diversa
legge, la quale gli ha imposto di procedere oltre e lontano
da ciò che cade immediatamente sotto il senso. Il paese
allora non è più un pezzo di mondo su cui l'artista abbia
gittato un suo velo per immobilizzarlo in un aspetto solo e
monotono: è un pezzo di mondo che continua a vivere e a
innovarsi in tutte le sue parti e che tutt'insieme sente
l'impressione di una nota dominante e ne risuona con un
accordo unico, in cui ogni cosa mette la propria vibrazione.
Il segreto di quest'arte non è tutto nella poesia dell'idea,
esso consiste anche nella sintesi della rappresentazione.
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La vita e la bellezza di un quadro non risultano mai
dall'esecuzione accurata di minuti particolari riprodotti
secondo la più fedele imitazione della realtà. In pittura le
forme che veramente servono a mostrare l'essenza e la virtù
del vero sono quelle nelle quali appare la maggior somma di
vita ed è più intensamente concentrata la luce dello stile.
In questa scelta dell'essenziale, in questa eliminazione
degli accessori inutili, in questa semplificazione della
sovrabbondanza naturale è un lavorio del pensiero, nel quaie
l'io dell'artista inconsapevolmente si rivela.
Guardiamo le quarantasette piccole tele esposte dal Sacheri.
Ognuna di esse è un quadretto indipendente e compiuto,
corrispondente a pieno all'idea che la natura ha comandato
all'artista di esprimerei ma nel loro complesso si proietta
il simbolo di un particolare aspetto della vita. Ciò vuol
dire che in tutti quei dipinti sotto alle forme visibili
esiste una linea invisibile e comune, la quale vive entro la
trama del lavoro pittorico, ne rivela il ritmo misterioso e
indica quanto efficacemente l'artista sappia mettere nel
segno l'intimo fremito del proprio spirito in presenza d'una
visione.
La caratteristica più saliente di questo spirito è la
malinconia. I cieli grigi della Danimarca, le grandi pianure
olandesi, le colline del Piemonte, le roccie della riviera
ligure ci appariscono soffuse di una uguale, dolcissima
mestizia, che tocca a volte i confini della potenza
drammatica. Ma la tristezza è buona, e, se il balenio di una
nota più vivace e vibrante ci ridesta nell'anima un
rimpianto di cose lontane, quel fugace apparire che dilegua
come una musica e si spegne come un raggio che d'improvviso
si offuschi, lascia nell'anima una scia di beatitudine.
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Tale è il significato dell'arte di Giuseppe Sacheri, la
quale, come le canzoni che esprimono la malinconia
dell'anima popolare, ama il tono minore, parla con voce
tenute e sommessa, non per ripetere, ma quasi per
accompagnare da lontano la nota limpida e potente, la voce
che suona dominatrice sotto la luce del cielo e dinanzi al
riso delle onde.
La mostra delle incisioni è quest'anno assai più ristretta
del solito e se, dallo Chahine al Cottet, dal Raffaélli allo
havermann, dal Meunier allo Zoir, vi figurano i più gloriosi
campioni del bulino, nessuno ci si presenta in una forma che
lasci intravedere nuovi atteggiamenti d'ispirazione e di
tecnica. Fra i nostri debbono ricordarsi una bella visione
di
Verona scomparsa di Angelo Dall'Oca Bianca, tre nitide e incisive punte
secche di Lionne, l'Incubo e la
Veglia delle streghe dí Umberto Prencipe e due delicate, suggestive
acqueforti di Angelo Rossini.
Ma basterebbe a nobilitare la mostra del bianco e nero, a
dare anzi ad essa un carattere ed una importanza
assolutamente eccezionali, la raccolta quasi completa delle
acqueforti di Frank Brangwyn. Il Brangwyn è il più alto
glorificatore della forza e del lavoro fra tutti gli artisti
oggi viventi. Spenta l'espressione sacra, all'arte è rimasta
la realtà del presente e del passato, la realtà dell'uomo e
della natura. Rappresentare l'umanità con le sue gioie e con
i suoi dolori, col suo genio e con la sua degenerazione, con
i suoi doveri umili e con i suoi atti eroici, è un ideale
non meno alto, non meno nobile di quello che spingeva gli
antichi artisti a popolare di Vergini e di Santi la
solitudine delle chiese. Frank Brangwyn ha intesa la nobiltà
di questo compito ed ha celebrata la bellezza di tutto ciò
che nella vita vi ha di grande, di possente, di spettacoloso
e di solenne. Non c'è immagine dell'attività manuale
dell'uomo, non c'è segno della sua forza, non c'è conquista
nella sua volontà che non abbia trovata la sua elevazione,
la sua gloriicazione anzi, nella impressionante efficacia
delle acqueforti del grande pittore inglese. I soggetti più
comuni e più volgari si nobilitano per virtù della sua
ispirazione; i facchini della darsena di Londra, gli
scaricatori di Anversa, i beccai di Rouen, gli sterratori, í
carpentieri, i falegnami, i fabbri sono i personaggi di
questa grande evocazione che tra i moderni vi fa ripensare a
Constantin Meunier e ad Emilio Zola, tra gli antichi vi
riconduce a Michelangelo.
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Come Frank Brangwyn, Michelangelo amò rivelare in ogni segno
un segreto della vigoria umana e una legge della vita, ma,
sotto questa somiglianza apparente, quanta diversità fra
l'ideale estetico che animò l'altissimo artefice del
rinascimento e quello del grande incisore moderno!
Nelle opere di Michelangelo il genio che creò l'Ilisso del
Partenone sembra rinascere prodigiosamente, per esprimere la
perfezione della bellezza e della forza. Le Sibille, i
Profeti, gli Efebi della Cappella Sistina, chiusi nel cupo
raccoglimento della loro visione terribile, sembrano il
simbolo tragico della colpa e del dolore umano. Attorno a
loro la vita si svolge in un ritmo di procella, con la
violenza di un vasto incendio, in un'onda di follia che par
traversare gli oscuri fondi delle scene, ma nell'impeto
della bufera la figura umana appare incrollabile come i pini
e come le montagne. La stanchezza non trapela in quei segni
di una forza che ignora se stessa, l'isolamento del pensiero
tormentoso non offusca quegli occhi abituati a leggere
nell'avvenire. Adolescenti che non conoscono il sorriso,
donne alle quali è ignota la speranza, veglianti in cui è la
rivelazione dell'eroismo fatidico, tutti appariscono
ugualmente estranei alle leggi dell'esistenza e del tempo;
la loro immobilità li tiene segregati dal mondo, sotto la
legge di un ferreo destino; tra la loro giovinezza e la loro
vecchiaia non è nessuna differenza, poichè esse non sono se
non un pieno sviluppo di maestà e di forza.
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Al contrario dei personaggi della grande epopea
michelangiolesca, gli uomini del Brangwyn non conoscono la
solitudine e il riposo. Essi appariscono in folla, nel
turbinìo e nel rumore delle officine e dei cantieri,
ansimanti, vellosi, possenti, tra foreste di travi, in mezzo
a nugoli di polvere, immagini reali di una vita drammatica e
maravigliosa, simboli rappresentativi di un'epoca e di
un'idea. Lo sforzo che sembra determinare ogni figura ad una
imminente azione impetuosa deforma ossa e muscoli, la
continuità della fatica che abbrutisce spegne la luce negli
occhi senza sguardo, curva le spalle, prostra i corpi
giganteschi in attitudini di stanchezza suprema.
Anche il segno con cui l'artista esprime la sua visione è
vigoroso, risoluto, eroico. Ne deriva una grandiosità epica,
in un ambiente che e quello della esistenza di tutti i
giorni; una pittura che sembra rivelazione di cose di per sè
evidenti, ma che pur sono ignote alla folla, la quale vi
passa accanto senza vederle, fino a quando uno sguardo più
profondo non ne penetra la vita e un cuore più largo non ne
ripercuote il sentimento. Quello sguardo e quel cuore che
sono la prerogativa, anzi l'essenza stessa del genio!
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Arduino Colasanti
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