Determinare per mezzo d'un oggetto visibile e
meraviglioso, oltre cui non sappia vedere l'ardita
immaginazione, quelle idee vaghe ed incerte, che dietro le
antiche favole e le storie si creano le menti nostre della
famosa Spartana, fu dato finalmente a quell'esimio Scultore,
a cui il concepire della mente, e l'obbedir della mano sotto
la cosa medesima. Sembra però che a crearne quale il vediamo
l'archetipo felice, ispirato l'abbia il maggior de' Vati
quel sommo Pittore, che tutto mirabilmente colorire sapendo,
parve geloso così della sublime idea, che avea concepita di
questa celebre donna, che temette d'infievolirla pingendola,
e volle col mezzo soltanto delle meraviglie da essa operate
rappresentarla alla nostra immaginazione, lasciando a
ciascheduno fantasticare, ed a suo piacere vedere in lei la
perfezione di quel bello ideale, di cui tutti portiamo
nell'animo dalla natura impresso il desiderio, e quasi dissi
l'istinto. Ed oh pensiero felice! il quale, mille e mille
peregrine immagini suscitando, e nulla traccia certa di loro
lasciando, permise alla libera immaginazione dell'Artista di
correre senza i ceppi dell'imitazione fino là dove Omero
stesso non volle col suo canto arrischiarsi. E chi non
esclama, te pure ora veggendo nello spirante marmo, o
bellissima di tutte le Greche, o seducente figlia di Omero e
di Canova, chi non esclama coi vegliardi Troiani:
........ biasmarsi
Trojani e gli Achei certo non denno,
Se per costei sì diuturne e dure
Sopportano fatiche. Essa all'aspetto
Veramente è Dea!
(2)
Se non che dir si potrebbe con verità che se a costei rassomigliato avesse
l'Argiva, forse que' venerevoli Trojani commossi soggiunto pure non avrebbero :
........... ma tale ancora
Via per mar se ne torni, e in nostro danno
Più non si resti, nè de' nostri figli.
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La sorpresa e il diletto avrebbero impedita la voce della
ragione, nell'età stessa della ragione. Di tutte grazie, e
d'ogni più bel vezzo adorna, Elena, tu fosti un giorno
gradito pegno dell'alma riconoscenza di Venere, ed ora pure
impreziosita da questo senso morale, tu agli occhi miei ti
presenti. Riconoscenza! sentimento celeste, bisogno
soavissimo e possente delle anime gentili! La tua, o Canova,
volle crearsi quasi del tutto un soggetto pel soave piacere,
che nell'esercizio di questo dolcissimo sentimento a te
medesimo andavi ripromettendo. Godine, che ne sei ben degno.
Ma sappi almeno che della tua sola indulgenza io sarei
andata superba, e dirò quasi del tuo non isdeguarti che con
si deboli colori (poiché all'ardor dell'animo sempre mal
corrispose la penna) adombrato avessi i prodigj
splendidissimi del tuo scarpello: che già dolce e
lusinghiera ricompensa al cuore erami stato l'intaglio
d'altro monumento, nel quale al tuo gran nome ti piacque
d'unire il mio. Ma il crederesti, Amico? Nel ricevere qusta
sì vaga e lieta immagine, amare lagrime interruppero la
gioja ch'io pur ne provava, partecipe più non veggendone
Colui, che tanto diletto al solo ripensare d'ospite così
cara sentiva! Oime! che quasi presago del suo infaustissimo
destino, impaziente oltre il placido costume, già ne
affrettava co' voti l'arrivo, perché ogni mia gioja era sua
gioja maggiore, ogni mia compiacenza sua maggior
compiacenza. oh! troppo presto a me rapito, diletto
Compagno, rimanti in pace, alma cara del più dolce, del più
virtuoso degli uomini; e accogli con quel sorriso, che nè
por l'ora all'estrema ora vicina potè allontanar dal soave
tuo labbro specchio del cuore, le quotidiane mie lagrime, e
i caldi sospiri che nella dimora del giusto, unitamente al
nostro figliolino ognora io t'indirizzo, certa colà almeno
di rinvenirti per sempre!
Ma deluso non torni il tuo voto, o Canova gentile: possa,
tu dicesti con amica voce, possa questo mio pegno di
amistade alleviare, ingannare alquanto l'acerbo suo dolore.
Io torno dunque a vagheggiarti, vezzosa Donna, che pari
all'eccelsa bellezza avesti avventurosa la sorte. Cantata da
Omero, rabbellita da Ovidio sculta da Canova, a cui più
lieta fortuna arrise mai? Né panni già, scendendo dalle
maggiori alle minori cose, di dover negligere, parlando
appunto di buona fortuna, la qualità di questo marmo
candidissimo, immacolato, e de' più lucidi che vedere si
possano. Mirabile cosa é l'osservare, che la grandezza oltre
natura, la quale è sempre da' sommi artisti prescelta,
siccome quella che meglio favorisce lo sviluppo delle loro
grandiose idee, alla maestà che suol dare, concilj pure in
questa speciosissima testa squisitamente, e con singolare e
dolcissima gara, la gentilezza e la grazia. Un mezzo guscio
d'uovo, che chiamar potrebbesi simbolo gentilizio della
famiglia di Leda, poiché da uno simile veggiam distinti e
Castore, e Polluce, d'Elena fratelli, le cuopre a guisa di
berretto la parte diretra del capo. Ricchissima massa di
capelli non intrecciati ma mollemente ondeggianti, glie lo
contorna con vaghezza senta stringerlo, e allentandosi
alquanto, ed allargandosi con mirabile grazia e naturalezza,
viene ad allacciarsele con bel nastro dietro la testa.
Acconciatnente compartita questa massa maggiore in altre,
che si dividono nel mezzo della fronte, quasi lasciar ci
volessero ammirare la maestosa linea che da quella si parte,
e scende lungo il naso, escono simili a giovinetti pampili
inanellati i men lunghi capelli, e vengono scherzevolmente
cadendo ad ornade la fronte, le tempie, il finir delle
guancie, ed il collo, così ben disposti, e con si
meraviglioso artifizio arricciati, che ben ti fanno certo
della compiacenza che ne traeva, e del fine malizioso a cui
con tanto studio disponendoli mirava la vezzosa Spartana; di
guisa che quello pure che inanimato suol essere, con assai
d'eloquenza quivi ci addita la seducente sposa di Menelao.
Che dirò poi della serenità della fronte, degli eleganti
piccioli orecchi, delle gote fiorite, dell'amabile
tondeggiare del mento, del naso perfettamente Greco, e che
morbidissime ha pure quelle linee che taglienti sogliono
sovente altrove vedersi, delle labbra, che ti fan dolce e
insidioso invito, e delle quali sì gentile è la forma, sì
dolci le sinuosità, e si molle la freschezza, che irrorate
le diresti d'un'eterea rugiada, della bocca che s'apre a
celeste sorriso di voluttà, della maravigliosa espressione
degli occhi, alquanto socchiusi, dolcemente penetranti,
appassionatissimi, che chiedendo ti promettono amore, con un
vezzo e con un linguaggio, che la voce non può esprimere, ed
accompagnano essi pure sorridendo il dolce sorriso della
bocca, delle guancie, e del mento! Velati gli diresti da
finissime ciglia quasi di un'ombra leggera, e di persona
viva ti comparisce il ben piegato arco delle sopracciglia.
La freschezza poi, la rotondità, la morbidezza rendono il
collo di naturalezza, e di beltà sì meravigliosa adorno, che
ti pare vederlo lievemente agitato e rigonfio dal palpitare
inquieto e frequente dell'amorosa età giovanile: tale e
tanto stupenda è in costei la possanza d illudere! Or dimmi,
Scultore mirabile degli affetti, dimmi, Canova, donde poi
nasce ch'Elena tua spira ad un tempo tanto rispetto, e
voluttà si soave ? Donde ? Le forme desti a lei d'una Dea,
ma di umane passioni, e di lusinghe umane sì l'anomasti, che
or donna, or Dea rassembra. Rispetto e voluttà, affetti
misti e confusi eccita nel mirarla .... ma trionfa amore!
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